Imparare a leggere: “Il metodo globale è un equivoco biologico e pedagogico”

FONTE: LE FIGARO

AUTORE: Caroline Beyer

DATA: 20 novembre 2022

"Quando il bambino impara a leggere, deve applicarsi a collegare con precisione la forma delle lettere con i suoni della lingua orale", sottolinea Olivier Houdé. @ANNE VAN DER STEGEN/avds.be

INTERVISTA - Per il neuroscienziato Olivier Houdé, questo metodo di lettura (il globale) porta a "confusione, analogie fuorvianti e approssimazioni".

Olivier Houdé è Direttore Onorario del Laboratorio di Psicologia dello Sviluppo e dell'Educazione del Bambino (LaPsyDÉ) del CNRS alla Sorbona. Il neuroscienziato, membro dell'Accademia di scienze morali e politiche, spiega che il metodo di lettura globale o misto induce “confusioni, analogie fuorvianti e approssimazioni”.

Cosa succede nel cervello di un bambino quando impara a leggere?

Durante l'apprendimento della lettura e della scrittura, intorno ai 6 o 7 anni, il tasso di formazione delle sinapsi (contatti chimici tra i neuroni) è di circa 10 milioni al secondo! È un potenziale straordinario e abbondante. Ma devi incanalarlo. Il cervello ha bisogno di precisione. Quando il bambino impara a leggere, deve applicarsi a collegare con precisione la forma delle lettere (grafemi) con i suoni della lingua parlata (fonemi). Questo si chiama corrispondenze grafo-fonologiche, specifiche per ogni lingua. Si svolgono nelle regioni occipito-temporali...

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Io non sono abbonato a “LE FIGARO”. Lo leggo su internet, oltre ad altri quotidiani mondiali, alcune volte alla settimana, ed ho trovato l’articolo sopra riportato (in parte).

Ho sempre saputo quanto scritto nell’articolo. Io infatti per insegnare ai bambini di prima elementare a leggere e scrivere non ho mai usato il metodo globale, come fanno quasi tutte le docenti in Italia, ma quello analitico, dei singoli passi progressivi. E sicuramente i miei alunni se lo ricordano: lettere, sillabe, parole, frasi, …

Ho usato lo stesso metodo anche alla scuola pubblica, senza farmi intimidire, con gli stessi risultati.

Leggere ad alta voce in classe:buona pedagogia

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Emanuele Trevi

DATA: 2 ottobre 2015

Leggere in classe ad alta voce è buona pedagogia.

 

Scrittori affronteranno il più imprevedibile dei pubblici: una classe scolastica. Una volta l’insegnante otteneva il silenzio degli allievi con «Il barone rampante» di Calvino

calvino

Promuovere un generico amore per «i libri» o per «la lettura» non è mai stata un’idea pedagogica buona, tantomeno efficace. Sono convinto che tra leggere un brutto libro e non leggere affatto la seconda opzione rimanga la migliore, in tutte le età della vita. Proprio per questo motivo, è da lodare chi ha inventato un’iniziativa come «Libriamoci», basata su quell’infallibile prova del nove del valore di un singolo libro che è la lettura ad alta voce. Dal 26 al 31 ottobre, gli scrittori e gli artisti coinvolti affronteranno il più difficile e imprevedibile dei pubblici: una classe scolastica. Non sarà affatto necessario, per loro, cercare di essere «bravi» come in un teatro. Semmai, risvegliando i fantasmi che sonnecchiano nel libro che hanno scelto, avranno la possibilità di creare una suggestione, un contagio. La voce umana, come dice un personaggio di Thomas Pynchon, è un «miracolo». Personalmente, devo a qualcosa di molto simile nientemeno che la scoperta del potere dell’immaginazione letteraria.

Quando ero in prima media, all’inizio degli anni Settanta, erano i singoli insegnanti a inventarsi, per così dire, il loro «Libriamoci» quotidiano. I professori di oggi fanno fatica anche solo a immaginare cosa voleva dire governare delle classi che potevano arrivare a quaranta ragazzini, conseguenza diretta del più grande boom demografico della storia d’Italia. Credo che la cosa più bella della scuola di quell’epoca fosse l’assenza di quel gergo pseudo-scientifico che in seguito ha ammorbato i programmi e le strategie della Pubblica Istruzione. I professori non ragionavano in termini di «competenze linguistiche», per fare un esempio tra mille, perché i sani imperativi del leggere, scrivere e far di conto non avevano bisogno di parafrasi velleitarie e altisonanti scopiazzate dai manuali di linguistica.

E’ in questa cornice di beato empirismo che colloco il sortilegio della nostra professoressa di italiano. Questa donna intelligente (faceva Toro di cognome, come un famoso liquore alle erbe), quando voleva ottenere una classe totalmente assorta e silenziosa, tirava fuori dalla borsa un libro, e cominciava a leggerlo dal punto in cui era interrotta la volta precedente. E Il barone rampante funzionava, accidenti se funzionava. Ho detto che era una donna intelligente: mai si sarebbe sognata di usare quel capolavoro come pretesto di assurdi esercizi semiologici e narratologici, che hanno il solo scopo di trasformare a vita un adolescente in un nemico giurato dei libri e delle librerie. Probabilmente, non perdeva nemmeno tempo a ripeterci ogni volta il nome di Italo Calvino. Cosa ce ne poteva importare, dell’autore delle avventure di Cosimo Piovasco di Rondò, che un bel giorno decise di andare a vivere sugli alberi e non mise mai più i piedi sulla terra? L’essenziale era ben altro. Bastava una frase, e la magia ricominciava. Entravamo tutti insieme in un mondo poetico. Un mondo, vale a dire, dove si realizza una coincidenza perfetta della libertà e del destino, o se si preferisce del mondo e della capacità di ognuno di immaginarlo.

L’impressione prodotta di quell’avventura mentale è stata così indelebile che ho ancora davanti agli occhi il colore rosso del libro (doveva trattarsi di un vecchio «Struzzo» Einaudi senza la sovraccoperta). Sono passati quarant’anni, ma non credo di esagerare affermando che tutto, per me, è iniziato da lì. Ricordo addirittura che alcune pagine la professoressa Toro non ce le volle leggere. Perché a un certo punto della sua vita, come si sa, Cosimo fa anche l’amore, senza per questo abbandonare i suoi alberi. «Lo leggerete da grandi», ci spiegò la professoressa. E forse fu questo il suo trucco più sublime, una maniera di suggerirci una felicità ulteriore, che sarebbe durata ben oltre il suono della campanella dell’una e trenta. Solo i metodi semplici hanno valore ed efficacia in queste delicate imprese educative. Davvero basta un bel libro e la voglia di leggerlo ad alta voce: il resto è ipocrisia e provincialismo.

Perché i genitori non vogliono più leggere ad alta voce con i loro figli

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Caterina Belloni

DATA: 27 febbraio 2018 

Si sta perdendo un’abitudine utilissima per lo sviluppo cognitivo dei più piccoli. La colpa? In parte del digitale, che fagocita l’attenzione dei bambini, in parte del disagio crescente degli stessi genitori nel maneggiare i libri.

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Il numero dei genitori che leggono storie ai loro bambini è in continua diminuzione. A lanciare l’allarme è un sondaggio intitolato promosso in Gran Bretagna dalla Nielsen. Secondo questa indagine, dal 2013 ad oggi si è registrata una diminuzione del venti per cento nel numero di mamme e papà che si siedono con i pargoli a leggere. Eppure l’abitudine di sfogliare insieme un libro aiuta a sviluppare legami forti tra genitore e figlio e favorisce lo sviluppo cognitivo del piccolo. I pedagogisti lo ripetono, gli educatori lo sostengono, nelle biblioteche dei ragazzi si sono creati programmi e spazi speciali per invogliare a questa pratica. In Gran Bretagna, ad esempio, ai bambini delle elementari viene assegnato come compito di leggere insieme a un genitore per un quarto d’ora al giorno fino alla terza elementare e per mezz’ora dal quarto anno in poi. Linee guida ed indicazioni che mirano a far crescere bambini sani e felici, ma che sembrano disattese nella realtà.

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Colpa dei figli...

La conclusione del sondaggio lo dimostra, puntando il dito soprattutto sulla mancanza di momenti di lettura per i più piccoli. Durante lo scorso anno sono stati intervistati 1596 genitori di bambini da zero a tredici anni a proposito delle loro abitudini di lettura e anche 417 teenager tra i 14 e i 17 anni. E’ emerso che il 69 per cento dei bimbi in età prescolare nel 2013 aveva momenti di lettura quotidiani con un genitore, mentre adesso la percentuale è scesa al 51 per cento. Il 19 per cento dei genitori ha anche dato una spiegazione per questa riduzione: i bambini appaiono troppo stanchi e fissare la loro attenzione sul libro risulta impossibile, ma forse quelli esausti e poco motivati sono soprattutto gli adulti. Anche perché nel questionario un genitore su cinque ha confessato di provare disagio quando entra in una libreria, mentre ancora di più sostengono di sentirsi sopraffatti dall’ampia offerta di libri per bambini, con la conseguenza che non riescono a sceglierne uno e finiscono poi per non leggere ai figli (46 per cento).

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... o dei genitori?

La ricerca, poi, fa emergere un’altra causa di disinteresse per la parola scritta. Qualcuno sostiene che i piccoli non vogliano leggere i libri perché preferiscono fare altre cose, come ad esempio guardare cartoni animati alla tv o video sul computer (16 per cento). I genitori cedono alle loro richieste, «archiviano» i libri stampati e illustrati, ma poi confessano di essere spaventati dall’attenzione che i bambini dimostrano nei confronti dei nuovi strumenti tecnologici. Il 61 per cento degli intervistati ha segnalato questa preoccupazione, ma forse per evitarla bisognerebbe affidarsi di più alla vecchia abitudine della lettura sul divano. Mano nella mano. 

Leggere e non capire

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Annamaria Testa e Giuseppe Antonelli

DATA: 23 giugno 2017

Si chiamano “analfabeti funzionali” se la cavano con la lista della spesa ma non con un bollettino postale, cercano trucchi per nascondere la propria condizione. La colpa? Della scuola. E della pigrizia.

Confrontate queste due frasi: 1. Il gatto miagola. 2. Il gatto miagola perché vorrebbe il latte. Tra i due gatti, e le due frasi, c’è un confine. Separa le persone capaci di leggere e di capire una frase come la numero 2 e le persone che oltre la numero 1 non vanno. Sono gli analfabeti funzionali: quelli che possono decifrare un’insegna, un cartello stradale o un prezzo, ma non un bollettino postale, un grafico, un articolo come questo. Si tratta del 27,9 per cento degli italiani tra i 16 e i 65 anni. Cioè di quasi uno su tre, secondo i dati Ocse-Piaac del 2016. Sono circa 11 milioni di individui. Sono persone come noi: hanno un lavoro, un telefonino, una famiglia, un’automobile. Vanno in vacanza, fanno la spesa e parlano di politica con gli amici, ma possono informarsi solo per sentito dire. Sono ingegnose e mettono in atto complesse strategie per nascondere o compensare la propria condizione di analfabetismo funzionale. Magari, chiedono aiuto per leggere un modulo dicendo che hanno dimenticato gli occhiali. Intendiamoci: leggere (e soprattutto capire quel che si legge) è una prestazione tutt’altro che banale. In un bellissimo libro, intitolato Capire le parole, il linguista Tullio De Mauro dice che la parola scritta mette in gioco l’intera capacità di intelligenza e di vita di cui siamo dotati.
Quando leggiamo, il nostro cervello compie un lavoro complicatissimo, e lo fa in infinitesimi di secondo. Noi percepiamo e selezioniamo una catena di stimoli visivi (la forma delle lettere che compongono le parole sul foglio o sullo schermo) e li “fotografiamo” a gruppi con lo sguardo. Il nostro cervello li riconosce al volo, li decodifica (cioè risale al significato delle parole), li interpreta (cioè ricostruisce il senso che le parole hanno, messe assieme), li elabora (cioè connette ogni nuova frase con quelle che l’hanno preceduta) e si costruisce una rappresentazione dei contenuti del testo, mettendo in gioco tutte le sue capacità logiche, le sue memorie e le sue conoscenze. Fa tutto questo ininterrottamente e con fluidità, ma solo se è allenato. Altrimenti leggere è una fatica infernale. Per chi legge con facilità e con piacere, l’esempio dei gatti è sconcertante. Ma dobbiamo prenderlo sul serio: è tratto dal libro La cultura degli italiani, in cui Tullio De Mauro dice con forza quanto è pervasivo l’analfabetismo funzionale nel nostro Paese.

I dati Ocse-Piaac del 2016 ci dicono che il fenomeno non riguarda solo i più anziani, che sono andati poco a scuola e fanno mestieri non qualificati, ma anche un 9,6 per cento di ragazzi tra i 16 e i 24 anni che in gran parte non studiano e non lavorano, e un 15 per cento di giovani tra i 25 e i 34 anni. Si tratta di quasi due milioni e mezzo di persone. Il fenomeno riguarda anche un drammatico 20,9 per cento dei diplomati (uno su cinque!), e un incredibile 4,1 per cento di laureati. Ma come può succedere tutto questo? I motivi sono diversi. Il primo è che analfabeti funzionali si diventa. Lo conferma il pedagogista Benedetto Vertecchi: chi non esercita le competenze che ha imparato a scuola, nel tempo le perde. Disimpara a leggere e a scrivere chi non affronta mai testi più lunghi e complessi della lista della spesa. Disimpara a far di conto chi si affida solo alla calcolatrice del telefonino. Nel corso del 2016, secondo gli ultimi dati Aie, il 60 per cento degli italiani (laureati compresi) non ha aperto un libro di qualsiasi tipo: neanche un ricettario di cucina, una guida turistica, un manuale o un ebook. Il guaio è che, rinunciando a leggere, a scrivere e a far di conto, si disimpara anche a risolvere problemi e a pensare. E si torna indietro di almeno cinque anni di istruzione. In altre parole: anche chi ha fatto le scuole superiori può ritrovarsi con capacità di lettura, scrittura e calcolo da scuola media. E chi ha fatto le superiori proprio male, o le ha interrotte, precipita giù, giù fino alle elementari (continua nella card seguente)

Scheda 1 di 5

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2

Nuove incompetenze

3

Un brano per metterci tutti alla prova

4

E tu che analfabeta sei? (di Giuseppe Antonelli)

Dieci consigli per coltivare l’amore per la lettura nei nostri figli

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Cristina Marrone

DATA: 26 giugno 2016

I bambini diventano lettori per tutta la vita per svariate ragioni. A volte c’è un libro fondamentale che cattura la loro immaginazione. Altre volte sono gli insegnanti a proporre libri molto amati e in alcuni casi sono gli stessi genitori a influenzare l’amore per i libri andando spesso in libreria o in biblioteca, leggendo prima di andare a letto o valutando insieme i libri da leggere per le vacanze. Ecco qualche consiglio per coltivare l’amore per la lettura nei nostri figli, un piacere che può durare un’intera vita, suggeriti per la Cnn da Regan McMahon, giornalista di Common Sense Media

Leggere ad alta voce

Leggere ad alta voce può risultare naturale per molti neo genitori, ma è importante tenere il passo e proseguire nel tempo con questa buona abitudine. I bambini potranno goderne più a lungo di quanto si pensi. È molto piacevole ed emozionante leggere a un neonato o a un bambino che ci stanno rannicchiati addosso e condividere con loro immagini e parole. Vostro figlio potrebbe chiedervi di leggere lo stesso libro anche un centinaio di volte, ci vuole pazienza! Da grande si ricorderà sia la vicinanza fisica , sia la storia. È ideale cercare di assecondare le preferenze, quindi scegliere libri su pirati, vichinghi, animali, spazio, qualunque cosa interessi il bambino.

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I bambini imparano a leggere più in fretta se dormono con l’orsetto

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Emanuela Di Pasqua

DATA: 4 aprile 2017

Uno studio giapponese enfatizza l’importanza sociale e psicologica del peluche:
stimola la lettura nel bimbo piccolo che lo considera un interlocutore

La curiosità di imparare a leggere per raccontare storie e confondere immaginazione e realtà, come in un sogno e come solo i bambini sanno fare. Inizia così la lettura e il racconto, attraverso i quali i più piccini imparano, riflettono, crescono, fantasticano. E a questo proposito un team giapponese proveniente da vari atenei dimostra scientificamente l’importanza dell’animaletto di peluche che, nel sonno, esercita un effetto benefico profondo e a lungo termine e può essere utilizzato (con un po’ di fantasia) come stimolo all’apprendimento. Grazie a una sorta di messinscena onirica, gli studiosi hanno infatti convinto alcuni piccoli volontari a sperimentare la lettura e la motivazione non faceva una piega: raccontare le favole ai peluche dopo che essi stessi le avevano scelte. 

Quanto devono dormire bambini e adolescenti? Ecco le nuove linee guida

Protagonisti e spettatori

Orsetti, cagnolini, scimmiette: i peluche vanno tutti bene, sia per confortare il sonno dei piccolini che per stimolare l’apprendimento. Lo sostiene la ricerca promossa da Okayama University, Kanazawa University, Osaka Institute of Technology e Kyushu University, in cui si afferma che la presenza di animaletti di peluche incentivi la lettura e i comportamenti sociali. Questi compagni di gioco, in un’età in cui la fantasia non ha ancora confini, diventano di volta in volta protagonisti dei racconti, proprio come alcuni personaggi delle favole, e interlocutori con i quali dialogare e ai quali raccontare le fiabe. I ricercatori giapponesi lo hanno dimostrato osservando un piccolo campione di 42 bambini di età prescolare, coinvolti in una sorta di pigiama party in biblioteca . Dal monitoraggio è risultato infatti che i piccoli mostravano maggior curiosità nella lettura se motivati proprio dal fatto di poter raccontare ai loro giocattoli le storie ritratte nei libri. 

Dieci consigli per coltivare l’amore per la lettura nei nostri figli

Leggere ad alta voce

Le favole preferite

Non a caso esistono in tutto il mondo i cosiddetti stuffed animal sleepover programs, che dimostrano da sempre l’efficacia di questo concetto, allestendo dei riposini in biblioteca in compagnia di peluche. L’equipe giapponese è andata oltre e ha promosso una sorta di festicciola, durante la quale a un certo punto i bimbi sono stati addormentati mentre i giocattoli sono rimasti tra i libri. I ricercatori hanno poi fotografato i peluche intenti a leggere alcuni racconti “scelti da loro personalmente”. Mai escamotage fu più efficace e utile: i bimbi, vedendo le istantanee dei loro amichetti di peluche, hanno mostrato subito interesse verso le letture scelte dai loro giochi, rivelando un desiderio immediato di imparare a leggere per raccontare agli amici di peluche le favole preferite. L’esperimento è stato ripetuto e il comportamento dei bimbi è stato osservato dopo vari intervalli temporali, sottolineando che più era recente la scena della lettura dei peluche, più il bambino si dimostrava desideroso di libri. Ma al tempo stesso è stato rilevato che è sufficiente mostrare un’immagine del peluche-lettore per risvegliare il desiderio di lettura. L’importanza del peluche non si limita ai libri però: in un’età ancora tanto portata all’immaginazione l’orsacchiotto diventa un amico a tutti gli effetti che, soprattutto in assenza di fratelli, stimola la socializzazione e la creatività. Il peluche può diventare insomma amico, alleato, babysitter e persino bibliotecario. Basta saper cavalcare l’immaginazione infantile e, con un semplice orsacchiotto, si possono raggiungere molti obiettivi.

 

 

 

 

 

Johanna, bambina dislessica che legge al suo cane

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Caterina Belloni

DATA: 11 agosto 2015

In alcuni istituti inglesi i «cane dal lettura» aiutano i bambini con problemi di dislessia Gli psicologi: « I piccoli studenti si rilassano perché davanti all’animale spariscono le inibizioni»
cane
Per aiutare un bambino dislessico ad affrontare più serenamente la lettura di un libro può bastare un cane. Parola di Johanna, un bambina di nove anni, che dallo scorso settembre è stata affiancata da uno splendido esemplare di Golden Retriever nelle ore di lettura alla Saint Joseph Primary School di Poole, uno degli istituti britannici dove è stato avviato un programma di sperimentazione sui cani da lettura per affrontare i problemi di dislessia.

Golden retriever in classe
I risultati, dopo un anno di intervento, sono già positivi. I bambini hanno maggiore confidenza con i libri, li cercano, si dedicano alla loro scoperta. Come appunto Johanna, che durante le ore scolastiche, quando è il momento di fare grammatica, viene invitata ad andare in un’altra classe insieme a un’insegnante e a Monty, il cane della scuola. Si siedono uno vicino all’altro e Johanna legge delle storie ad alta voce. Monty si accuccia accanto a lei e la osserva, soprattutto la ascolta. Johanna lo sa, quindi si sforza di non sbagliare, di unire un vocabolo all’altro in una frase, di dare delle intonazioni, aiutata dall’insegnante che le spiega come fare ogni volta che ha dei dubbi. E la gioia di riuscire a raccontare al cane delle storie, magari di altri cani coraggiosi o avventurosi, è tale che Johanna, che un paio di mesi fa ha avuto un cucciolo come regalo di compleanno, ha cominciato a leggere anche a lui, la sera a casa, prima di andare a dormire.

Il meccanismo di rilassamento
La mamma lo racconta con entusiasmo. Perché prima della sperimentazione e dell’incontro con i cani di lettura, Johanna non aveva mai preso in mano un libro prima di addormentarsi. Potrebbe sembrare una follia, ma per gli psicologi che hanno messo a fuoco questo programma il meccanismo è evidente. Per un bambino dislessico è rilassante leggere ad un cane, perché davanti all’animale accucciato scompaiono le inibizioni che può avere di fronte ai suoi pari. Monty non ride per gli errori, non prende in giro per le incertezze, all’intervallo non canzona i bambini solo perché, arrivati in quarta elementare, fanno ancora confusione con lettere e accenti. Accanto al bimbo dislessico, che «combatte» per dare alle parole l’ordine giusto, ci sono l’insegnante, che ha la pazienza del suo mestiere, e il cane, che segue ogni parola.

I cani da lettura
I cani da lettura sono calmi e tranquilli, hanno solide competenze di obbedienza, non si agitano negli ambienti caotici o per rumori improvvisi, come le grida dei bambini o il trillo di una campanella, accettano coccole e piccoli dispetti , non si avventano sui lunch box o su cartelloni e colori lasciati in giro per i tavoli. Cani speciali per bisogni speciali, potremmo dire, che in Gran Bretagna stanno portando a risultati importanti. Anche se l’idea dei cani da lettura non è nata nel Regno Unito. La R.E.A.D, Reading Education Assistance Dogs (associazione che si occupa dei cani d’assistenza per la lettura) ha mosso i suoi primi passi negli Stati Uniti, più precisamente in Utah. Da lì si è diffusa per il mondo e qualche anno fa è arrivata anche in Italia. Dove non esistono, però, ancora programmi specifici nelle scuole come in Inghilterra. I cani addestrati si trovano insieme ai loro conduttori in alcune biblioteche e possono andare occasionalmente in visita nelle classi. Un primo passo, in attesa che la storia di Johanna si possa ripetere, in futuro, anche con bambini che si chiamano Mario, Riccardo o Sofia.

Dislessia: screening precoce «in famiglia»

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Daniela Natali

DATA: 17 marzo 2016

Giochi «mirati» insieme con i figli per capire se potrebbero essere dislessici

dislessia

Si è avviato il «Progetto digitale integrato per la dislessia» che vede collaborare Fondazione Telecom Italia, Ministero della Salute, dell’Istruzione, Istituto Superiore di Sanità , Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, Associazione italiana Dislessia. «Nei prossimi mesi - spiega Stefano Vicari, direttore dell’Unità complessa di Neuropsichiatria infantile, al Bambino Gesù - creeremo una piattaforma che permetterà ai genitori di collegarsi a un sito per fare giochi «mirati» insieme con i figli per capire se «potrebbero» essere dislessici. Il bambino , per esempio, sentirà pronunciare una lettera alla volta e dovrà poi dire la parola completa, oppure udrà una parola e dovrà ripeterla senza il suono iniziale. Chi è in età scolare potrà effettuare anche valutazioni “a distanza” elaborate da noi e intraprendere un percorso di recupero online. Non vogliamo incoraggiare i genitori a cimentarsi in diagnosi “fai da te”, né fornire un trattamento riabilitativo. Proponiamo piuttosto uno screening molto precoce ed eventuali attività di potenziamento».