FONTE: Corriere della Sera
AUTORE: Chiara Bidoli
DATA: 29 marzo 2023
Dipendenze comportamentali e adolescenti: a rischio circa due milioni per cibo, social e videogiochi
Dalla prima indagine sulle «Dipendenze comportamentali nella Generazione Z» dell’Istituto Superiore di Sanità è emerso che i giovani sono sempre più soli e hanno difficoltà nelle relazioni, anche con i genitori
La generazione Z, la prima generazione di nativi digitali, è a rischio di dipendenze comportamentali. A provarlo uno studio realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità su un campione rappresentativo di ragazzi tra gli 11 e i 17 anni che ha fotografato i preadolescenti e gli adolescenti italiani che risultano essere sempre più soli e pronti a riempire i «vuoti» relazionali con cibo, social e videogiochi.
In realtà basterebbe che i giovani «facessero una vita “normale”, socialmente gratificante, dove le sfide sono compatibili con l’adattamento sociale e non necessariamente occasioni di trasgressione. Dobbiamo puntare a questa normalità, che nei ragazzi in età adolescenziale significa mettersi alla prova e uscire dal nido, ed è ciò che li salva nella crescita», spiega Daniele Novara, pedagogista, counselor e fondatore del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti (CPP).
Dipendenza da cibo
È quella del cibo la dipendenza più diffusa: riguarda oltre un milione e 150mila ragazzi (in maggioranza di sesso femminile delle scuole superiori) e in 1 caso su 10 è in una forma considerata grave. «Le dipendenze legate agli alimenti c’entrano con la pandemia, con l’aver trascorso un periodo molto lungo chiusi in casa. Il mangiare è diventato un’attività compensativa che facciamo ancora fatica a lasciare alle spalle», puntualizza Novara che continua. «Il cervello preadolescenziale e adolescenziale è un cervello compensativo, ovvero ha un bisogno sistematico di «compensarsi» nelle aree del piacere. È un cervello che è alla ricerca continua di gratificazioni e che, per natura, è opportunistico sul piano dei compiti sociali e molto sensibile sul piano della compensazione dell’area celebrale del piacere. Qui si tratta però di riflettere su cos’è pericoloso e cosa non lo è. Per esempio, lo sport è una classica attività di compensazione che non è pericolosa, anzi positiva. Permette ai ragazzi di vivere l’età, con le sue caratteristiche, senza metterli in pericolo.
Viceversa il tipico abbassamento del senso di pericolo, che riguarda alcuni giovani, potrebbe portali ad affrontare situazioni pericolose, oppure anche il fenomeno di isolamento sociale (noto come Hikikomori ) mette i ragazzi a rischio».
Dipendenza da videogiochi
Al secondo posto dei comportamenti a rischio di dipendenza ci sono i videogiochi.
Il problema vede coinvolto il 12% degli studenti (con una prevalenza nei maschi delle scuole secondarie di primo grado per i quali la percentuale arriva al 18%), con effetti legati a una maggiore incidenza di depressione, aggressività e ansia sociale.
«Qui la difficoltà è generata dalla tendenza che hanno i genitori, e in parte anche gli insegnanti, alla condivisione con gli adolescenti piuttosto che all’educazione degli adolescenti», spiega Novara. «Le pratiche educative, fatte di regole e limiti, sono state sostituite dalle pratiche di cura semplice e condivisione di tempo e/o interessi e questo porta a dei problemi. Pensiamo all’utilizzo notturno dei dispositivi digitali, che è una delle abitudini più negative che ci sia, per gli esiti scolastici ma anche perché favorisce irritabilità e disturbi alimentari. Spesso i genitori anziché intervenire sono compiacenti, aspettano che sia il ragazzo a decidere di non usare più i videogiochi di notte e questo è impossibile. Una volta che il cervello si “aggancia” alle sue aree di piacere, come nel caso di utilizzo prolungato di un device, non è più in grado di avere funzioni reversibili, ossia di fare retromarcia. Per cui il problema è ancora una volta nel mondo degli adulti. Non possiamo semplicemente condividere il tempo con gli adolescenti e compiacerli, abbiamo un ruolo educativo», dice l’esperto.
Dipendenza da social
La dipendenza dai social media riguarda, invece, un ragazzo su 40 (con una prevalenza nelle ragazzine over 14) con conseguenze sul piano dell’ansia sociale e una maggiore incidenza di impulsività. «Il Covid ha portato un fenomeno di cui vediamo gli affetti: il prolungamento dell’accudimento materno in adolescenza.
In questa fase della crescita l’attaccamento materno, che è una forma di cura tipica dell’infanzia, diventa deleteria per i ragazzi che hanno bisogno di sentire e provare le “sfide” della vita», spiega il pedagogista. «I figli vanno accompagnati nella crescita e guidati, soprattutto nell’adolescenza. Per quanto riguarda i social, basterebbe rispettare il decreto che ne vieta l’utilizzo sotto i 14 anni. Che senso ha che dei ragazzini frequentino lo smartphone come e quanto frequentano la scuola (o anche di più)? Significa che c’è una deroga da parte delle famiglie e dei genitori che poi produce una serie di situazioni potenzialmente pericolose», dice Novara.
Difficoltà nelle relazioni
I ragazzi tra gli 11-13 anni con un rischio di “dipendenza social” dichiarano una difficoltà comunicativa con i genitori nel 75,9%, quelli che soffrono di “dipendenza da videogiochi” nel 58,6%, quelli con una “disturbo alimentare” grave nel 68,5%. Percentuale che arriva al 77,7% nei ragazzi delle scuole superiori che presentano una tendenza rischiosa al ritiro sociale. «C’è una difficoltà comunicativa nei ragazzi, è la paura di trovare una resistenza nell’altro. Ed è il tema tipico della gestione dei conflitti: cosa fare quando gli altri non fanno quello che tu desideri che facessero e capita, soprattutto, nei giovani che hanno avuto un maternage (accudimento materno) prolungato. I ragazzi hanno bisogno di affrontare le sfide, non di essere sostituiti in tutto per tutto dai genitori che, invece, dovrebbero accettare il loro allontanamento e gestirlo il meglio possibile. Se i ragazzi vogliono uscire, fare esperienze fuori dal nucleo familiare è normale, così come è giusto che in adolescenza considerino la casa un “albergo” , c’è da preoccuparsi se dovesse accadere il contrario. Il problema delle relazioni, però non riguarda solo il rapporto con i genitori ma anche quello tra pari. I giovani devono imparare a relazionarsi, a gestire frustrazioni e le comunicazioni “difficili” con i coetanei», spiega Novara.
Cosa deve preoccupare i genitori
I genitori si devono allarmare se vedono che il figlio tende a isolarsi, o se inizia a sottrarsi agli impegni. «Non volere andare a scuola, per esempio, è un segnale molto negativo», dice l'esperto. «Prima di guadare le dipendenze esplicite, bisognerebbe guardare se l’adolescente sta sfidando la vita o se si sottrae. Se si sottrae, prima o poi, si metterà nei guai. L’isolamento è l’anticamera delle dipendenze, per esempio dai videogiochi. I genitori di solito sono preoccupati dalle cattive compagnie ma, in realtà, il problema più grosso è la mancanza di compagnia. Le cattive compagnie ci sono, ma sono rare, la mancanza di compagnie si lega a un elemento depressivo che sta diventando molto comune tra i ragazzi e le ragazze di oggi. Se un giovane non ha interessi, si ritira, finisce in un vuoto che verrà prima o poi riempito da qualcosa, e spesso quel qualcosa sono dipendenze dannose» conclude Daniele Novara.