FONTE: Corriere della Sera
AUTORE: Pietro Bordo
DATA: 26 agosto 2021
Il titolo (Scuola, rientro in classe: perché la scuola italiana non è adatta al digitale) ed il “catenaccio” del mio articolo pubblicato sul Corriere li ha decisi e quindi scritti la caporedattrice del “Corriere”.
Il mio titolo è "Scuola ideale e scuola reale"
Aule senza connessione, docenti impreparati: non bastano i fondi, ma ci vuole un progetto di didattica che privilegi la presenza e il ruolo dei docenti
Ho letto con interesse l’articolo del professor Paolo Ferri sulla prospettiva che le innovazioni che il digitale ha portato nelle scuola durante i mesi della Dad vadano perse se si torna semplicemente alla scuola in presenza come è stata fino a prima della chiusura per Covid. A me che insegno da tanto tempo in una scuola primaria risulta difficile immaginare come si possa ridurre la «socialità in presenza», che tanti studi scientifici considerano ormai fondamentale per lo sviluppo non solo relazionale, ma anche intellettivo di un ragazzo. Tutti gli studi scientifici sulla relazione significativa fra docente e discente concordano che essa è «conditio sine qua non» per un apprendimento significativo. Anche se realizzarla non è facile, richiede molta empatia e conoscenze tecniche per rapportarsi bene con il bambino; e soprattutto la vicinanza fisica.
Le difficoltà
Riguardo alla necessità di rendere permanente e definitiva la digitalizzazione e l’innovazione metodologico-didattica nella formazione concordo con Ferri anche se questo approccio richiederebbe che prima tutte le scuole italiane fossero come quella che lui immagina. Nella mia scuola, elementari e medie, semiperiferia di Roma, le aule a volte sono dipinte dai genitori e le finestre hanno ancora gli infissi di settanta anni fa. Ogni volta che tento di aprire o chiudere una finestra allontano i bambini per paura che qualche vetro si rompa. Per mesi in circa cinquanta docenti abbiamo avuto a disposizione un solo bagno; e la situazione potrebbe ripetersi in qualsiasi momento. Il collegamento internet è solo una speranza ogni volta che si tenta di effettuarlo. Alcune volte ho dovuto usare il mio cellulare come hot spot. Prima della chiusura della scuola di marzo 2020 causa Covid, a gennaio abbiamo fatto gli ultimi scrutini con la presenza fisica dei docenti in un’unica aula. Abbiamo ovviamente usato il registro elettronico, quindi online, con un portatile vecchissimo il cui sistema operativo era addirittura Windows XP. E la Lim non è in tutte le aule. Meno male che la mia scuola ha un’animatrice digitale che sta cercando con successo di attenuare i problemi facendo miracoli, con fantasia e una grande dedizione al suo lavoro, dedicandogli molto più del tempo di quanto previsto dal contratto.
Il rebus del digitale
Da quello che mi dicono le mie colleghe di altre scuole di Roma e del Lazio, la situazione negativa descritta sopra è diffusissima. Nella mia scuola, e non solo, molti bambini e ragazzi hanno fatto la Dad con il cellulare del genitore. Molti non hanno potuto avere alcun aiuto da genitori del tutto impreparati, tecnologicamente abili solo a chattare su WhatsApp. Inoltre, i docenti non possono passare tutto il giorno ad insegnare. Anche poiché a volte ricevono richieste di restare ancora a scuola, oltre l’orario di servizio, per «coprire» classi senza docente. Il digitale non ha aumentato le opportunità dell’apprendimento a scuola. In realtà l’unica cosa che ha aumentato molto è la già notevole differenza fra gli alunni, quelli con famiglia colta e benestante alle spalle e quelli senza. Per quanto riguarda l’utilizzo di strumenti digitali di «aumento» della didattica posso affermare che né io né tutti i colleghi ai quali ne ho chiesto notizia li conoscono. Conoscono invece tutti i problemi dei device inadeguati, delle connessioni precarie, delle assenze degli alunni dalle lezioni. Un mio collega ed amico dell’istituto tecnico mi ha riferito di assenze dell’ordine del 30%. So per certo che tanti genitori hanno impedito ai bambini di esprimersi liberamente durante la Dad standogli a fianco, fuori dal campo della webcam. Ad un genitore durante una lezione a distanza ho dovuto addirittura dire di non tenere il bambino, di otto anni, sulle ginocchia e di lasciarlo da solo.
L’importanza dei docenti
Sull’importanza della didattica frontale vorrei evidenziare che qualsiasi attività primaria dell’uomo, non solo quella scolastica, da sempre è stata soprattutto frontale. Solo che c’è stata quella fatta male e quella fatta bene. La differenza a scuola non la fa il metodo, ma l’uomo, il docente. La comunicazione verbale veicola una minima parte delle comunicazioni che si scambiano due persone fisicamente presenti nello stesso ambiente; figuriamoci se le due persone si relazionano tramite computer. L’opinione che un passato migliore non è mai esistito mi pare perlomeno azzardata. E tutte le menti brillanti che popolano il nostro Paese, o che hanno portato la loro intelligenza all’estero, hanno studiato nel futuro? O su un altro pianeta? O forse alla scuola privata? Ecco, quest’ultima opzione mi sembra la meno lontana dalla realtà, non dimenticando che anche nella scuola pubblica tanti docenti hanno svolto un ottimo lavoro, nonostante le notevoli difficoltà. Sono molto d’accordo che il capitale d’esperienza va valorizzato e messo a sistema, non demonizzato. Ma prima bisogna che le scuole frequentate dalle persone che non possono spendere seimila euro l’anno per l’iscrizione di un figlio (la maggioranza assoluta delle persone) siano messe almeno in sicurezza (non solo per il covid), con un’igiene minima garantita quotidianamente (dovreste sapere quanto tempo hanno i collaboratori per pulire un’aula…) e con la presenza di un numero adeguato di docenti. Quante volte l’anno scorso qualche classe era scoperta, soprattutto il venerdì pomeriggio; e non posso dirvi la soluzione attuata; una volta anche io l’ho fatto per non lasciare soli i bambini di una classe. Non serve a niente dire «diamo due miliardi alla scuola»; serve che vengano spesi bene ed in fretta.
26 agosto 2021 (modifica il 26 agosto 2021 | 17:30)