I miei poveri piccoli alunni ancora senza banco individuale

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE:  Pietro Bordo

DATA: 24 novembre 2020

Caro Corriere,

                               non so se lo sai, ma i banchi individuali, che dovevano essere disponibili all’inizio dell’anno scolastico, «al massimo alla fine di ottobre», ancora non ci sono; sicuramente nelle tre classi della scuola primaria nelle quali insegno io, ed in tutte quelle che ho visto passando nel corridoio del mio piano (plesso Piccinini dell’Ic A. Fraentzel Celli). E manca poco a dicembre. Per i bambini è un disagio notevole stare sul lato corto del banco e la distanza di sicurezza in aula non è garantita.

E da poco al disagio per i banchi individuali mancanti si è aggiunto quello per le mascherine, da portare per sette ore! Io dopo tre ore entro in sofferenza. Poveri bambini, che tenerezza mi fanno.

Tu, caro Corriere, puoi segnalarlo a chi di dovere? Grazie.

La giusta distanza a scuola dovrebbe già esserci (per legge)

FONTE: Il Sole 24 ORE

AUTORE:  Pietro Bordo

DATA:  16 aprile 2020

In ognuna delle mie due aule di scuola primaria dove insegno (oggi quasi tutti i maestri hanno almeno due classi) ci sono 22 bambini ed il rapporto superficie/alunno è 1,5mq.
Per legge dello Stato italiano (Dm del 18 dicembre 1975, recante norme tecniche relative all'edilizia scolastica, ancora in vigore in quanto richiamate dall'articolo 5 comma 3 della legge 23/96) dovrebbe essere non inferiore a 1,8. Quindi 1,8 x 22=39,6mq: la mia aula dovrebbe avere una superficie di 39,60 metri quadrati.
Invece è di 33mq circa, una bella differenza. E in aule uguali alla mia ci sono ancora più alunni.

In un'aula a norma di legge i miei bambini potrebbero stare, ipotizzando un'aula di dimensioni 6,3 x 6,4 (superficie circa 40mq), tranquillamente alla distanza di un metro l'uno dall'altro, ovviamente se anche i banchi fossero singoli, come invece non sono.
Sono consapevole che i miei dati sono relativi e parziali, ma so, da quello che mi dicono tante giovani colleghe che annualmente sono state spostate in varie scuole, che la situazione è più o meno simile in altri edifici scolastici.

A mensa il problema della distanza si acuisce. I miei bambini mangiano quasi spalla a spalla fra di loro e dietro, a pochi centimetri, hanno quelli di un'altra classe.
Sarebbe bello se qualcuno avesse dati su base nazionale e mi potesse smentire. Ne sarei felice. Ma mi pare un'eventualità poco concreta.

In ogni caso la legalità non è un fattore statistico: tutti i bambini hanno diritto a classi vivibili ed a mangiare non come in un pollaio.
Se qualcuno avesse osservato le leggi in passato, e se qualcuno fosse intervenuto quando non accadeva, potremmo avere gli alunni al distanziamento imposto dal Coronavirus; anzi, maggiore, senza problema alcuno. E soprattutto avremmo sempre avuto ambienti scolastici vivibili per i bambini.

* docente

Contro il registro elettronico e i gruppi Whatsapp dei genitori

FONTE: Il Sole 24 Ore

AUTORE: Monica D'Ascenzo

DATA: 6 gennaio 2016

registro-elettronico

 

Ma l’esercizio di matematica era a pagina 33 o 35?”. “Mi mandate per favore la foto della pagina da studiare di storia che non abbiamo il libro a casa”. “I soldi per la gita vanno portati entro domani?”. Purtroppo non è il gruppo whatsapp fra compagni di classe, ma quello fra genitori. Una moda che sta diventando contagiosa, dal nido al liceo. Per carità, per i genitori che lavorano è una manna dal cielo: sai in tempo reale tutto quello che sapresti andando a prendere tuo figlio all’uscita da scuola. E riesci anche a parare qualche colpo: almeno la maestra non ti scriverà sul diario che ha dovuto anticipare i soldi del pullman o che al bambino manca il materiale didattico. Eppure c’è qualcosa che non mi convince.

Io non ho ricordo dei miei che chiamassero i genitori dei compagni per avere conferma della pagina da studiare o per chiedere se il giorno dopo ci sarebbe stato un compito. Se avevo scritto sul diario i compiti esatti allora andavo a scuola preparata, altrimenti rischiavo la figuraccia, il brutto voto o la nota sul diario. Certo la sensazione non era piacevole, ma di sicuro serviva a farmi stare più attenta la volta successiva. Oggi mandiamo i bambini a scuola con la rete di protezione. Se cadono, rimbalzano e non si fanno male. A volte anche più della rete: li bardiamo con salvagente, giubbotto gonfiabile, scarpe antiscivolo, parastinchi e casco. Ci assicuriamo che non si facciano male, ma non rischiamo che poi se ne facciano di più crescendo, quando non potremo fare più il gruppo whatsapp con i genitori dei compagni di università o poi con quelli dei colleghi d’ufficio?

E l’aberrazione non finisce qui. Da quest’anno anche la scuola elementare di mio figlio ha adottato il registro elettronico. Alla comunicazione di nome utente e password ho sentito un leggero fastidio, poi dopo qualche settimana, al primo ingresso nel sistema, il fastidio si è trasformato velocemente in disagio. Nel registro scolastico oltre alle assenze, i genitori possono consultare quanto fatto in classe in ogni singola materia, i compiti assegnati e (orrore!) i voti del proprio figlio. Ho chiuso in fretta il tutto come se mi fosse capitato in mano il suo diario dei pensieri.
Ma che roba è? Posso in qualunque momento sapere cosa fa mio figlio prima ancora che lui pensi anche solo se raccontarmelo o meno. Che fine fanno le chiacchiere da cena: cosa avete fatto oggi? Com’è andata la giornata? Ti ha interrogato?

Dove è finita la possibilità di scelta del bambino di raccontare o meno se è stato interrogato o se la maestra ha fatto una verifica a sorpresa? Dove è finita la libertà di confessare a un genitore un’insufficienza o invece decidere di gestirla da solo magari studiando, recuperando la volta successiva e spuntando una sufficienza in pagella?

Li abbiamo deresponsabilizzati con i gruppi di whatsapp e ora togliamo loro anche la scuola della scuola dove si impara a gestire il fallimento, il successo, la comunicazione con i genitori e i rapporti con gli insegnanti. Poi però pretendiamo che siano responsabili, consapevoli, autonomi e pienamente indipendenti quando vanno alle superiori o quando si iscrivono all’università e si devono autogestire.

A scuola in prima elementare si studia l’alfabeto e in quinta si fa l’analisi logica. Allo stesso modo esiste una crescita progressiva delle capacità personali non didattiche. Perché stiamo facendo questo ai nostri figli? Perché stiamo togliendo loro la possibilità di gestire le informazioni che riguardano la loro vita?

La soluzione? Non ne ho. Nel mio piccolo cerco di non chiedere mai conferma dei compiti o di quanto fatto a scuola agli altri genitori e ho spiegato a mio figlio che guarderemo il registro elettronico sempre e solo insieme e quando me lo chiederà lui. Correremo il rischio di non avere una media scolastica da lode, di beccare qualche nota e qualche rimprovero dalle maestre (uso il noi, perché le maestre oggi se la prendono anche con i genitori) e di non essere impeccabili. Ma accidenti se sarà meno noioso. E magari ci guadagnerà anche il nostro rapporto in termini di fiducia reciproca.

AVVERTENZE: causa numerosi commenti, scrivo qui un’aggiunta al post in modo da fugare ogni dubbio: NON E’ UN POST CONTRO LA TECNOLOGIA E L’INNOVAZIONE, CHE SONO ASSOLUTAMENTE DA ASSECONDARE E INCENTIVARE. E’ UN POST SULL’EDUCAZIONE DEI FIGLI E SU COME LI PREPARIAMO ALLA VITA FUTURA, CHE NON AVRA’ LE RETI DI SALVATAGGIO che ci sono oggi a scuola. Se un’astronauta (donna!) deve andare nello spazio fa un percorso fisico e psicologico per affrontare la missione. Se un calciatore deve affrontare la finale di Champions, si sottopone a una preparazione fisica e psicologica per la partita. La domanda che MI faccio e che VI faccio è: stiamo preparando i nostri figli alla partita che dovranno giocare o alla missione che dovranno affrontare?