Per comprendere il bullismo bisogna saper guardare alle radici

FONTE: Il Sole 24 Ore

AUTORE: Pietro Bordo

DATA: 7 giugno 2018

I recenti fatti di cronaca, docenti oltraggiati da ragazzi, ripropongono con forza il tema del bullismo, che si manifesta ormai verso ogni persona ritenuta debole, adulto o minore.
La maggioranza assoluta di commenti sono di persone che dell'albero del bullismo vedono solo le foglie, e propongono soluzioni ad esse rivolte. Ignorano completamente le radici, mentre è proprio lì che bisogna agire, prima che la pianticella diventi un albero.

Queste persone non godono dell'osservatorio privilegiato che ho io: da quarantaquattro anni trascorro ventidue ore settimanali insegnando nella scuola primaria, dove nascono e crescono le radici della pianta del bullismo. E quante volte vedo atteggiamenti e comportamenti di bambini della fascia sei-dieci anni che, se non corretti, non è difficile prevedere che sfoceranno in atti di bullismo.

“Fai proprio schifo, sei ‘na pippa; nun te volemo più in squadra!”
Queste parole, dette con veemenza verbale, mimica e gestuale, non sono pronunciate da un ragazzo terribile di una borgata romana, ma da un bel bambino di una cosìddetta buona famiglia, generalmente educato e gentile, che sta giocando a pallone con i compagni di scuola. La sua classe è la prima primaria, quindi ha appena sei anni.
Tante volte ho sentito pronunciare queste frasi, o simili, durante i miei quarantaquattro anni d'insegnamento.
E non è l'estrazione sociale la causa di certi comportamenti che, se non osservati, o se trascurati e non curati, degenereranno successivamente nel bullismo.

Cerchiamo di capire perché accadono certi episodi e le conseguenze che ne possono derivare in funzione delle varie risposte degli adulti.
Prendendo in esame un gruppo di venti bambini che si affacciano al primo anno di scuola primaria, dal punto di vista caratteriale statisticamente possiamo notare che generalmente ve n'è un terzo eccessivamente timido e tranquillo, un terzo disinibito ed esuberante, un terzo “normale”.
Gli appartenenti al secondo gruppo sono quelli che vogliono dominare i compagni, che vogliono sempre imporre i loro giochi preferiti, che voglio sempre aver ragione durante il gioco. Se non litigano fra di loro per il predominio individuale, si coalizzano contro tutti gli altri per imporre la loro volontà.
Quelli del gruppo dei timidi e tranquilli soccombono subito tutti, senza praticamente reagire. Quindi non “divertono” i dominanti, che raramente infieriscono su di loro.
Gli altri, quelli del gruppo dei “normali”, reagiscono secondo la loro caratteristica individuale, qualcuno con forza. Sono quelli che danno maggiore soddisfazione ai dominanti, che si esaltano nel branco.

Perché un bambino esuberante si comporta così?
Innanzi tutto per una sua componente caratteriale genetica. Ma soprattutto perché non è stato aiutato negli anni precedenti.
Il primo aiuto è la presenza nei primi anni di vita di persone competenti che gli vogliano veramente bene, che lui senta vicine, e che non lo seguano solo per una remunerazione o perché non possono rifiutarsi di farlo. Persone quindi desiderose di educarlo, che siano preparate allo scopo, che quindi non lo assecondino in comportamenti capricciosi o prepotenti.
Quanti bambini passano con le tate, spesso del tutto inadeguate ad educarli, molto più tempo di quello che passano con i genitori! Oppure quanti passano tanto tempo con altre persone, ad esempio i nonni, che non hanno alcuna consapevolezza educativa e prendono decisioni senza valutarne le conseguenze. Quelle che poi si notano subito i primi giorni di scuola. O quanti bambini, ancora peggio, passano interi pomeriggi ad alimentarsi di violenza giocando con videogame che istigano ai peggiori comportamenti; oppure giocando, incontrollati, per strada ad imitare i comportamenti peggiori dei ragazzi più grandi e degli adulti, quei comportamenti dei quali la televisione riferisce con ricchezza di casi e dovizia di particolari.

Ma anche se il bambino passa tanto tempo con i genitori ma essi non educano, se trascorre i primi anni di vita prevalente con la mamma, ma essa non è preparata ad educare e segue solo il suo istinto, le conseguenze negative per la crescita sociale del bambino sono quasi sempre deleterie.
La saggezza popolare dice infatti che fare i genitori è sì il più bel lavoro del mondo, ma anche il più difficile, poiché nessuno ti insegna sul serio a farlo.

Il secondo aiuto è la presenza, sin dai primi anni di vita sociale (asilo, scuola primaria), di insegnanti motivati, preparati sul serio, non sulla carta, autorevoli e consapevoli dell'importanza della loro azione sul futuro dei bambini loro affidati.

Limitandoci al problema del bullismo, è fondamentale che l'insegnante i primi giorni di scuola spieghi serenamente, col sorriso, ma chiaramente ai bambini che a scuola ci sono delle regole; che chi non le rispetta avrà delle conseguenze negative; che la regola principale è il rispetto delle persone.

Ma tutto ciò non serve a niente se l'insegnante non sa che egli deve presenziare attivamente ad ogni attività che svolgono i bambini, soprattutto durante i momenti di gioco.
Specialmente durante la ricreazione, quanti insegnanti si riposano conversando amabilmente con i colleghi e lasciando i bambini praticamente liberi di fare e dire ciò che vogliono. Se un bambino tende ad assumere atteggiamenti negativi, l'insegnante, che vigila stando in mezzo a loro, deve subito intervenire, prima che la situazione degeneri in liti o si sviluppino situazioni di bullismo, spiegando al gruppo cosa non va, perché ed eventuali conseguenze future in caso di ripetizione dell'azione negativa. E se il fatto si ripete, deve sanzionarlo; serenamente, senza esagerare, con gradualità e progressività, ma inflessibilmente. Il bambino così acquisisce l'abitudine a controllarsi ed a rispettare i compagni.

Ovviamente per far ciò il docente deve contare sull'accordo con i genitori, sulla loro fiducia, elementi non sempre presenti.

Immaginiamo un bambino che nei primi anni di vita fa il prepotente in famiglia ed all'asilo. Arriva alla primaria dove tutti i giorni, per anni, impone ai compagni in ogni maniera la sua volontà, incrementando di anno in anno la sua forza, imparando che gode dell'impunità. Passando alle medie e poi alle superiori questo ragazzo penserà di non avere più limiti, di poter fare impunemente ciò che vuole.
Accadranno allora tutti i fenomeni di cui si occupa la cronaca; ed anche quelli meno eclatanti, ma più diffusi e dannosi come gli altri.
Non dimentichiamoci che gli interventi sui bambini più tardi si fanno e maggiore forza richiedono (ed hanno minor probabilità di successo).
In sintesi: i bambini diventano bulli se adulti impreparati ad educarli non li aiutano preventivamente.

Bullismo: aumenta anche l’attenzione

FONTE: Sergio Benvenuto, Istituto di scienze e tecnologie della cognizione, Roma, tel. 06/44362370

AUTORE: Marco Serio

DATA: febbraio 2016

bullismo

Negli ultimi anni, con frequenza e ampiezza crescente, testate giornalistiche e talk show dedicano spazio a notizie e dibattiti sul tema del bullismo, specie in coincidenza di casi di cronaca drammatici, come quello della dodicenne di Pordenone indotta a tentare il suicidio dai suoi coetanei. Su 15.268 ragazzi intervistati da Skuola.net, 1 su 3 si è dichiarato vittima di episodi di bullismo. Nella fascia di età compresa tra i 14 e i 17 anni, i bullizzati sono addirittura 2 su 5. Secondo Sergio Benvenuto, dell'Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc) del Cnr, non siamo però di fronte ad una novità: ciò che è realmente cambiata è la sensibilità collettiva. “Oggi il bullismo ci appare più diffuso dal momento che, almeno pubblicamente, esso viene sempre meno tollerato dagli adulti, siano essi genitori o educatori”.

Un tempo, invece, la tolleranza era tanto diffusa da portare quasi a una 'istituzionalizzazione’ del fenomeno. “Basti pensare alle feste delle matricole universitarie oppure al nonnismo verso le reclute durante il servizio militare”, prosegue il ricercatore. "Venuta in qualche modo meno questa complicità degli adulti, aumenta la determinazione nel reprimere comportamenti e manifestazioni presenti, in comunità giovanili quali la scuola e l'esercito".

Una componente cui non si dedica la stessa attenzione è il bullismo femminile rispetto a quello maschile, che si esplica con azioni diverse ma non meno gravi: “Se ne parla meno perché non è fisico, come quello tra maschi, ma verbale, a base di gossip e calunnie. Lo si vede bene in un film recente, 'La vita di Adele’ di Abdel Kechiche, dove una ragazza sospettata di essere lesbica viene 'bullizzata’ dalle compagne”, aggiunge Benvenuto.

Secondo uno studio Hbsc (Health Behaviour in School aged Children) la percentuale di bambine, che già a 11 anni dichiara di aver subito occasionalmente atti di bullismo tra gli anni 2011 e 2014 è passata dal 9,2% al 17,3%. Gli episodi di bullismo online colpiscono poi più le femmine.

Le nuove tecnologie, sono al tempo stesso i canali di diffusione di molti atti di violenza ma anche maggiore visibilità a cui il fenomeno è sottoposto. “Ovviamente anche il bullismo si serve delle tecnologie più avanzate, in particolare di Internet, dello streaming…”, continua lo psicologo. “Prima si facevano circolare bigliettini, ora immagini imbarazzanti della vittima. Anche qui ci è di aiuto un film, 'Disconnect’ del 2012, diretto da Henry Rubin, in cui un adolescente tenta di impiccarsi dopo essere stato ridicolizzato via Internet dai compagni di scuola”.

Tra i ragazzi è sempre più diffuso anche il 'sexting’, ossia lo scambio di video e foto o di testi dal contenuto sessuale attraverso, cellulari e internet. Un fenomeno che sfugge agli adulti se è vero che in Italia solo il 15% dei genitori di ragazzi che hanno sperimentato il sexting ne sono consapevoli, a fronte del 20% dei francesi, del 25% di inglesi e olandesi e del 29% degli spagnoli.