Adolescenti e salute, come gestire al meglio l’età più difficile dei figli

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Elena Meli

DATA: 9 giugno 2014

Età difficile per eccellenza, l’adolescenza è una fase complicata per tutta la famiglia: per i ragazzini, in balia di un processo di cambiamento e crescita, fisica e psicologica, che li destabilizza, e per i loro genitori, in difficoltà di fronte al rebus di figli che da un giorno all’altro sembrano diventare “altre persone”. Per di più è un’età in cui nella maggior parte dei casi si è sani, ma in cui possono svilupparsi problemi con “strascichi” che condizionano tutta la vita futura, dalla dipendenza dal fumo alle malattie sessualmente trasmesse. Come assicurarsi, allora, che i figli crescano in salute e non corrano rischi?

 

Raccomandazioni ai genitori

«La prima raccomandazione per i genitori è che siano presenti nella vita degli adolescenti, in modo discreto ma attento — osserva Piernicola Garofalo, presidente della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza —. Spesso mamme e papà oscillano fra allarmismo e indifferenza, invece bisognerebbe essere sentinelle mute, per accorgersi subito dei segnali di allarme. Purtroppo, molti genitori sono i primi a chiudere le porte della comunicazione con i figli, perché, ad esempio, non sono mai a casa: i ragazzini hanno bisogno di sapere che qualcuno li sta seguendo, è presente, è un riferimento a cui rivolgersi». Osservare è il primo passo per accorgersi se qualcosa non va, come conferma Giuseppe Di Mauro presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale: «Tutti i bruschi cambiamenti della quotidianità devono insospettire: un calo netto e repentino del rendimento scolastico, un isolamento marcato, l’abbandono dello sport, una variazione nel rapporto con il cibo sono tutti indici di un disagio da indagare con discrezione». Andarci con i piedi di piombo sembra indispensabile per non scontrarsi con un muro impenetrabile di mutismo, rischiando di complicare ancor di più i rapporti. In questo può aiutare, allora, il pediatra di famiglia, con cui i ragazzi spesso riescono a confidarsi più che con mamma e papà.

 

«Check-up» a otto anni

«Il momento giusto per un “check-up” è il “bilancio di salute”, che dagli otto anni in poi dovrebbe essere eseguito almeno ogni due anni, meglio se una volta l’anno — riprende Di Mauro —. Si tratta di una visita in cui si controllano il peso, l’altezza, la pressione, la schiena, l’apparato genitale e tutto il resto, ma che diventa l’occasione per parlare e capire se qualcosa non va. Un vero strumento di prevenzione, perché, oltre a valutare se è tutto a posto e consigliare, se serve, una visita dallo specialista del caso, è soprattutto un’occasione per educare le famiglie e presentare opportunità preziose, come la vaccinazione contro il papilloma virus, da proporre a tutte le dodicenni per prevenire il tumore al collo dell’utero in età adulta: la copertura vaccinale in Italia non arriva al 50 per cento proprio perché spesso “perdiamo” il contatto con gli adolescenti che, non avendo problemi evidenti di salute, non vengono dal medico. I bilanci invece vanno fatti, perché sono la chiave per avere ragazzi sani». In Italia non sono obbligatori e sta quindi ai genitori e al pediatra “impegnarsi” per farli regolarmente.

 

Gli screening

Oltre a questi check-up generali, servono anche periodiche analisi del sangue e test più accurati? Alcune linee guida, ad esempio quelle del National Heart, Lung and Blood Institute statunitense, raccomandano lo screening per il colesterolo, la glicemia e altri parametri già a partire dai 9-11 anni, ma non tutti sono d’accordo e l’American Academy of Pediatrics, ad esempio, non consiglia test a tappeto su tutti i ragazzini. «Lo screening va guidato. Fare regolarmente le analisi del sangue a tutti gli adolescenti non serve, né avrebbe un buon rapporto costo-beneficio — spiega Garofalo —. Il medico deve individuare i “lati deboli” del ragazzo che cresce, in base alla sua storia personale e familiare: se il papà ha il diabete sarà opportuno stare attenti a non farlo ingrassare, perché altrimenti rischia di ammalarsi pure lui e in giovane età; se una sorella è intollerante al glutine e c’è qualche lieve sintomo sospetto, sarà bene fare i test per la celiachia».

 

Cattive abitudini

Fra le “minacce” che mettono più in pericolo la salute degli adolescenti ci sono diverse cattive abitudini, prima fra tutte l’alimentazione sregolata: uno studio statunitense appena pubblicato su Public Health Nutrition spiega, ad esempio, che alle soglie della pubertà la qualità degli spuntini e dei pasti inizia a diminuire, per diventare pessima in piena adolescenza a causa della maggior libertà e dei pasti consumati fuori casa assieme agli amici. «Una dieta adeguata è senza dubbio fondamentale a questa età, così come spronare allo sport perché diventi una sana passione con cui occupare il tempo libero: purtroppo, invece, proprio nell’adolescenza molti abbandonano l’attività fisica — dice Di Mauro —. Va incentivato il movimento all’aria aperta, organizzato e non, anche per “salvare” i ragazzi dalla prigionia di computer, tablet e cellulari su cui spesso si isolano, rischiando vere e proprie dipendenze con ripercussioni psicologiche gravi che possono arrivare fino alla depressione. Altrettanto importante è parlare con i ragazzi dei danni da fumo, alcol e abuso di sostanze, insidie molto concrete per la loro vita: mettere la testa sotto la sabbia non serve, occorre discuterne». «Purtroppo i giovanissimi hanno una fruizione spesso acritica di queste sostanze, non le scelgono per trasgredire ma solo perché il contesto li porta a farlo, per questo serve informarli sulle conseguenze — osserva Garofalo —. Anche i disordini alimentari sono molto frequenti fra gli adolescenti, in costante crescita pure fra i maschi, così come sono un grande pericolo le malattie sessualmente trasmesse o le gravidanze indesiderate: non c’è un’educazione alla corporeità, si fa sesso in modo sconsiderato perché tutti lo fanno, banalizzandolo, senza pensare alle conseguenze. È invece indispensabile educare i ragazzi alla sessualità; è assurdo che non si parli di contraccezione responsabile e poi le ragazzine vadano in cerca della pillola del giorno dopo». «Una gravidanza indesiderata, l’HIV, una dipendenza da sostanze sono problemi che poi cambiano radicalmente il futuro. Gli adolescenti sono sani, ma hanno il potenziale per farsi molto, molto male. Per questo genitori e pediatri devono star loro vicino, parlare, informarli: solo così cresceranno consapevoli dei pericoli a cui potrebbero andare incontro» conclude Di Mauro.

Un bravo prof di matematica insegna a risolvere i problemi. E a sbagliare.

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Nicola Di Turi

DATA: 12 settembre 2015

CONVEGNO A SIENA
Un bravo prof di matematica insegna a risolvere i problemi. E a sbagliare
Rosetta Zan (Università di Pisa): «La matematica è una palestra che rende i ragazzi più forti. L’errore non è un fallimento ma il percorso necessario per arrivare alla soluzione»
di Nicola Di Turi

matematica
Siena - «Dovremmo osare di più e avere fiducia nell’intelligenza dei ragazzi. Invece continuiamo a banalizzare e a risparmiargli problemi. Ma è proprio questo che li porterà ad andare in crisi nella vita». La ricetta della professoressa Rosetta Zan non prevede alternative. Così come viene insegnata oggi, la matematica non lascia il segno. E invece dovrebbe rappresentare una sorta di palestra per la vita. Presidente della Commissione Italiana per l’Insegnamento della Matematica (CIIM) e docente di Matematica all’Università di Pisa, Rosetta Zan è intervenuta a Siena nella sei giorni di eventi organizzata dall’Unione Matematica Italiana (UMI) per il XX° Congresso dell’istituzione.
Conferenze e seminari scientifici sulle ultime frontiere della ricerca matematica, con oltre 500 scienziati e 12 conferenze generali ospitate dall’Università di Siena dal 7 al 12 settembre, a quattro anni dall’ultimo congresso dell’Unione Matematica Italiana. «Dal punto di vista didattico, a scuola si tende ad assegnare e a correggere esercizi tutti uguali, insegnando un percorso da seguire per non sbagliare. L’insegnante tende a evitare la complessità, invece la matematica è porsi problemi, argomentare, e mettere in atto processi di pensiero più importanti della soluzione finale», spiega al Corriere della Sera Rosetta Zan. Per invitare a pensare, spesso basterebbe solo riservare più spazio all’allievo e meno all’insegnante. Stimolare la discussione, anziché assegnare decine di esercizi. E scacciare anche la percezione dell’errore come fallimento.
Spiega il presidente Zan: «Nell’esercizio, l’errore è semplicemente l’indicatore di un fallimento, la prova di aver fatto qualcosa che non andava. Affrontando un problema più complesso, invece, si prova una situazione nuova, senza una procedura da seguire. Così l’errore è messo nel conto, e se da un lato è percepito come inevitabile, dall’altro si pensa già a come superarlo. Questo assegna responsabilità ai ragazzi e li prepara alle sfide della vita». Una differenza d’approccio, insomma, che dovrebbe coinvolgere anche l’insegnante. D’altra parte, «smettendo di considerare l’errore solo come un dramma da correggere, la sua interpretazione aiuterebbe l’insegnante a comprendere gli strumenti per intervenire», ragiona la professoressa Zan.
Al contrario, secondo la docente dell’Università di Pisa, gli insegnanti spesso tendono a risparmiare agli studenti la proposizione di problemi ritenuti complessi. Ma questo approccio non aiuta i ragazzi a formarsi. «Naturalmente è più semplice proporre esercizi ai ragazzi e insegnar loro dieci volte come si fa a risolverli. Ma in una società come questa, se i problemi vengono loro risparmiati, i ragazzi non sono attrezzati al fallimento, restano fragili e anziché interpretare un fallimento, vanno in crisi. La matematica e l’approccio per problemi hanno un valore formativo che va al di là della didattica», ragiona ancora il presidente della Commissione Italiana per l’Insegnamento della Matematica.
Ma evitare di problematizzare, puntando sulla reiterazione di fredde esercitazioni, non fa altro che accentuare anche il rapporto negativo con la matematica che molti conservano per tutta la vita. Responsabilità soprattutto dell’approccio prescrittivo, che restituisce un’immagine della matematica come di una scienza che prevede un prontuario di regole da applicare, per giungere alla soluzione finale senza incorrere in fastidiosi intoppi. «Il rapporto negativo di molti con la matematica nasce dall’idea che la materia sia un insieme di norme da seguire, senza uno spazio riservato alla creatività. Ma questa è solo una particolare visione della matematica, che naturalmente sta stretta a molti perché non incoraggia né lascia spazio alla persona», conferma Rosetta Zan.
Al contrario, secondo i risultati degli studi condotti dalla stessa Unione Matematica Italiana, gli insegnanti che provano a proporre situazioni più complesse ai ragazzi, riscontrano maggiore partecipazione soprattutto dagli allievi più passivi, scoprendo potenzialità inaspettate proprio da chi solitamente resta ai margini. «Se si dà loro un ruolo più centrale e ci si fida della capacità di muoversi da soli, tutta la classe diventa più reattiva e i ragazzi lavorano volentieri. Spesso l’insegnante pensa di aiutarli porgendo richieste banali e semplici, invece sono proprio queste ad annoiare e togliere spazio alla creatività personale. Il consiglio è di osare di più e avere fiducia nella loro intelligenza».
@nicoladituri