La didattica con lo sguardo impossibile «da remoto»

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Walter Lapini

DATA:  11 maggio 2020

Le videolezioni vanno bene in questa fase di emergenza. Ma i saperi profondi non si trasmettono soltanto con la parola

Spero che nessuno dimenticherà il sacrificio, non solo contrattuale e sindacale, che la scuola dell’emergenza si sta sobbarcando in questi mesi. Unico antidoto ai social, essa ha dovuto rapidamente impararne il linguaggio, accettare una lunga suspension of dignity, infliggersi il gioco a guardie-e-ladri con allievi che sfuggono o copiano, si collegano e scollegano, facendosi beffe dell’insipienza informatica degli adulti, dei boomers, spesso peraltro immaginaria. Scattato il blocco, i professori hanno reagito in maniera fulminea e sincrona, senza aspettare imbeccate dall’alto. Si sono attivati con i mezzi che avevano – Skype, Zoom e quant’altro – e hanno salvato quello che si poteva salvare del quadrimestre appena iniziato. È stata una grande prova di forza e di vitalità, di coscienza civica, di etica professionale. Sia chiaro perciò che – pur con le eccezioni, i buchi neri, le furbizie immancabili – la classe docente ha fatto e fa miracoli.

Ma sia chiaro anche che la scuola non è questa. Le videolezioni vanno bene per qualche materia che finisce in -gìa, funzionano con chi è già imparato, per chi già sa. Non funzionano invece con le hard skills, con i saperi profondi, che si trasmettono non solo con la parola ma anche attraverso il contatto, la prossemica, lo sguardo. A nulla serve la didattica da remoto quando non si tratta di intonacare i muri bensì di gettare le fondamenta, forti, durature. Perché insegnare, come direbbe il professor Franzò, non è insegnare, ma insegnare a capire se hai capito. E a tale scopo occorre vedere quella luce che brilla, quella palpebra che batte, quella fronte che si increspa.

Solo allora riesci a dire se il transfert è avvenuto. Non sto facendo letteratura, o retorica a buon mercato. Gli addetti ai lavori mi intendono. Essi sanno bene che solo in presenza è possibile giudicare quali semi daranno frutto e quali si perderanno nel vento. È una lezione antica: Platone diceva che occorre lunga frequentazione fra maestri e allievi perché la fiamma più grande arrivi a far sprizzare una scintilla nella coscienza altrui e ad alimentarla.

L’anno 2020 è andato, facciamocene una ragione. Esami e scrutini saranno una pantomima, un trionfo del liberi tutti. Ma non è del 2020 che dobbiamo preoccuparci, bensì degli anni che seguiranno, poiché c’è da scommettere che in questo momento qualcuno sta facendo i suoi conti su quanto si risparmierebbe mandando cinque professori su dieci a cuocere hot dog, mettendone uno solo a sdottorare per tutti da dietro una telecamera e usando i rimanenti come carne da sportello, impegnati in un baby-sitting h24. Dopotutto i professori hanno tanto tempo libero, tante vacanze, e se durante l’emergenza hanno fatto lezione anche di pomeriggio e di sabato e nelle feste comandate, nulla vieta che possano farlo sempre.

Ditemi se trovate assurda questa scena: agosto in catamarano, tardo pomeriggio, mamma che prepara gli spritz, figlio che si collega in videolezione col professore che lo ha rimandato e che gli parla da una spiaggia sgalfa da gruppo Tnt. Quanti piccioni con una fava sola: disinnesco delle ripetizioni a pago, estati senza vincoli di spostamento, tocco vintage del docente retrocesso a precettore, spettacolo sempre appagante del pubblico impiego punito: così l’anno dopo ci penseremo due volte prima di rimandare. Quadretto di fantasia? Chissà. Certo è che con il virus il sistema-Paese è andato in blocco e che i primi rimedi per rimetterlo in moto saranno quelli già visti durante la crisi 2008-2011: turismo e circensi. L’inqualificabile proposta che si fece in quegli anni – riprendere la scuola a ottobre per allungare le vacanze degli italiani facendoli spendere di più – dimostrò che gli albergatori, i ristoratori, i pabulatori della notte e gli operatori della movida erano già fra i più influenti stakeholders della scuola. Se il processo si compirà, l’istruzione scenderà ancora nell’ordine delle priorità sociali e non si potrà che puntare sul teach-away, sull’istruzione alla spina, da sistemare alla meglio fra l’apericena e una seduta di pilates.

La campagna pubblicitaria è già cominciata. Qualcuno vuole darci a intendere che il virus ha aperto nuove vie per la scuola, nuovi orizzonti, che tanto piacciono sia ai padroni del silicio sia a chi occupa cariche politiche, amministrative, accademiche. E così già si profila per la scuola l’ennesima sfribrante battaglia: dover dimostrare che opporsi alla trasformazione dell’emergenza in normalità non significa essere misoneisti, giapponesi attardati nella giungla, nemici delle nuove tecnologie. È una battaglia che vinceremmo, se gli uomini di scuola marciassero uniti, licei, università, tutti. I ragazzi sono con noi, nessun dubbio su questo. Eppure il nuovo verbo conquista e fa proseliti. Già si infoltisce la falange dei colleghi «responsabili», dei collaborativi, di quelli che se l’istituzione ti chiede un passo, loro pedalano fino a Pinerolo, e che, con il tono intimo-casual dei rispondi-a-tutti non richiesti, con l’ottimismo trillante e la freshness di chi sa che domani si troverà dalla parte giusta, ti spiegano che con questa didattica a distanza in fondo non si stanno trovando male, anzi bene, anzi meglio di prima: una meraviglia, un traguardo, altro che un ripiego. E magari, per parafrasare Pavese, non lo fanno per opportunismo, bensì sono così furbi da crederci davvero.

Walter Lapini,
Professore ordinario
di Letteratura greca
all’Università di Genova

Antibiotici, se per fare un dosaggio serve la laurea in matematica

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Cristina Marrone

DATA: 23 ottobre 2016

Questo genere di farmaci li prescrive il pediatra, ma in caso di emergenza o dubbi il foglietto illustrativo può essere un vero rompicapo. La mancanza di tabelle con gli ml per chilo rende tutto più complicato.

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Ci risiamo. Marco ha mal di denti. Da pochi giorni è stato dal dentista ma eccolo dolorante che si contorce sul divano. Possibile? La mamma osserva il molare incriminato e con orrore scopre che il piccolo ascesso destinato a guarire da solo si è in realtà trasformato in un bubbone tutto bianco. Che fare? Parte la prima telefonata, alla dentista, che per l’aggravamento dell’infiammazione suggerisce di somministrare un antibiotico a base di amoxicillina per sei giorni. Che fortuna, il farmaco è in casa ancora intonso, residuo della farmacia da viaggio di una vacanza all’estero. È uno degli antibiotici più utilizzati in Italia e contiene amoxicillina e acido clavulanico. La dose? «Legga pure il foglietto illustrativo» rassicura la dottoressa. Così, poco prima di cena, la madre dà un occhio veloce al «bugiardino». Poi sgrana gli occhi, si siede e si concentra. Ma non capisce. Sulla confezione del farmaco c’è scritto 400mg/57mg/5ml: per i profani piuttosto sibillina. Ma il foglietto illustrativo non aiuta a chiarire. Ecco che cosa riporta: «Dose usuale: da 25mg/3,6 mg fino a 45 mg/6,4 mg per Kg di peso corporeo al giorno, somministrata in due dosi successive». Di seguito ci sono i consigli per la dose più alta: «Fino a 70mg/10/mg per chilo di peso corporeo al giorno, somministrata in due dosi successive». Perché quella doppia dicitura? Qui per fare i conti serve una laurea in matematica!

I calcoli

L’unica cosa chiara scritta lì sopra è che l’antibiotico va somministrato prima del pasto o appena si comincia, e Marco da un po’ ripete in modo ossessivo: «Ho fame». Bisogna fare in fretta. La mamma chiama al volo un suo amico medico per chiedere lumi. E lui esordisce: «Ahia, i dosaggi degli antibiotici per i bambini non sono semplici». Dopo qualche minuto di ragionamento e qualche conto in base al peso di Marco, 18 chili, ecco la formula magica: 4 ml a dose, ogni 12 ore. Però questa mamma non è del tutto convinta perché ha intuito che il conteggio non è stato poi così banale. Serve una controprova. Chi meglio di un farmacista può essere d’aiuto per trovare una conferma? Ecco la seconda telefonata, alla farmacia di turno. Dall’altra parte del capo il farmacista risponde piuttosto scocciato: «Perché il pediatra non ha dato il dosaggio?». La mamma spiega come sono andate le cose, lui fa un conto approssimativo tenendo come esempio la figlia, che pesa 13 chili e alla fine anche lui sciorina la formuletta: «8ml a dose per due volte al giorno». La mamma è disorientata e c’è da crederle: il dosaggio suggerito dal farmacista è esattamente il doppio di quello proposto dal dottore. Quindi azzarda la domanda: «Ma è sicuro? Forse intende al giorno, quindi due dosi da 4 ml?». Il farmacista è categorico. La mamma preferisce non rischiare un sovradosaggio. Così si arma di una siringa-dosatore (nella confezione c’è solo un cucchiaio dosatore che segna 2,5ml e 5 ml) e opta per un 4,5 ml in attesa di chiarire il tutto con la pediatra la mattina dopo. Alle 7,30, prima che Marco si svegli, la terza telefonata. La pediatra con tono rassicurante spiega prima di tutto che 400mg/57mg/5ml significa che in 5 ml ci stanno 400 mg di un principio attivo e 57 del secondo. Poi chiede il peso del bambino, fa un rapido conto e conclude: «La dose giusta per il mal di denti sarebbe 5,8 ml per due volte al giorno, ma per comodità va bene anche 5,5». Ecco un terzo dosaggio. La mamma si fida naturalmente della pediatra e va avanti con quanto le è stato suggerito.

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L'EQUAZIONE PER DOSARE GLI ANTIBIOTICI

Triplo problema

Ma come è possibile che una madre di media cultura non sia stata in grado di interpretare un foglietto illustrativo che in teoria dovrebbe essere alla portata di tutti? E perché tre diversi professionisti hanno dato tre dosaggi diversi? Va sottolineato che gli antibiotici vanno assunti solo se prescritti e le dosi sono decise del medico che li prescrive, però può sempre sorgere un dubbio o ci si può trovare di fronte a un’emergenza, come è successo in questo caso. «Questa storia rispecchia un problema reale perché con i bambini non ci si può comportare come con gli adulti, dal momento che sono in crescita e il loro peso è variabile — spiega Antonio Clavenna, farmacologo dell’Istituto Mario Negri di Milano — e in questo specifico farmaco il problema è triplo: i dosaggi possono cambiare in base alla gravità e al tipo d’infezione, ad esempio per l’otite in genere viene somministrata la dose massima. Anche la frequenza può cambiare: nei casi più complessi il farmaco viene assunto tre volte al giorno e non due. Infine, a confondere ulteriormente le idee è la presenza di due principi attivi: l’amoxicillina e l’acido clavulanico. Per tutti questi motivi è bene rivolgersi sempre al pediatra».

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GLI ERRORI PIÙ COMUNI NELLA SOMMINISTRAZIONE DEGLI ANTIBIOTICI

Semplificare

«Questo “bugiardino” può confondere — aggiunge Nicola Principi, professore di pediatria all’Università di Milano —. Il farmaco è un preparato che contiene due molecole diverse, amoxicillina e acido clavulanico. La prima è il vero antibiotico, la seconda è la sostanza che ha la capacità di bloccare alcuni enzimi elaborati dai batteri che distruggono l’amoxicillina: così l’amoxicillina amplia il proprio raggio di azione. Se nel bugiardino ci fosse scritto quanti ml di liquido per chilo sono necessari per la dose tutto sarebbe molto più semplice». E sulla necessità di semplificare è d’accordo anche Clavenna: «Bisognerebbe tentare di creare tabelle comprensibili a tutti che indichino la quantità di farmaco proporzionato al peso. Inoltre un altro problema che ci viene segnalato dai pediatri è che i dosatori degli antibiotici sono spesso diversi: alcuni calcolano il volume, altri il peso del farmaco creando confusione, soprattutto se si passa dal farmaco commerciale al generico. Certamente bisognerebbe trovare il modo di uniformarli e renderne l’utilizzo più semplice».