Psicologa Nastri: “L’uso precoce e massiccio di smartphone modifica la massa bianca del cervello…

FONTE: Orizzonte Scuola

AUTORE:  Andrea Carlino

DATA: 2 maggio 2024

Psicologa Nastri: “L’uso precoce e massiccio di smartphone modifica la massa bianca del cervello. Scuola e famiglia per costruire un rapporto sano con la tecnologia”.

A Orizzonte Scuola interviene Federica Nastri, psicologa, criminologa, pedagogista e mediatrice familiare, per un’approfondita analisi del rapporto tra bambini e tecnologia.

Nell’era digitale, l’esposizione precoce e spesso incontrollata agli schermi pone serie questioni sullo sviluppo psicofisico dei più piccoli. La psicologa Nastri ci guida alla scoperta dei segnali di un uso problematico della tecnologia, delle conseguenze a lungo termine e di strategie efficaci per genitori ed educatori.

La maggior parte dei bambini oggi entra in contatto con i dispositivi digitali già nei primi anni di vita, creando una sorta di “prolungamento” degli arti. Questo rende difficile distinguere tra un uso normale e uno problematico, poiché il problema spesso nasce dall’adulto che fornisce il dispositivo al bambino.

Come si accompagna un bambino per strada, così bisogna accompagnarlo nel mondo digitale, educandolo alla prevenzione dei rischi. Condividere esperienze personali e aprire un dialogo basato sulla fiducia può aiutare i bambini a comprendere i pericoli senza spaventarli eccessivamente. Educare i bambini alla gestione del tempo fin dalla tenera età è fondamentale per un uso sano e responsabile della tecnologia. Far sperimentare la noia e l’attesa aiuta a sviluppare la creatività, l’intelligenza emotiva e la capacità di vivere nel mondo reale.

La dipendenza digitale può influenzare negativamente il rendimento scolastico, distogliendo l’attenzione dagli obiettivi e creando difficoltà cognitive e comportamentali. La scuola, in collaborazione con professionisti della salute mentale, può promuovere un uso sano della tecnologia attraverso programmi specifici e attività che stimolino la sfera emozionale, il contatto con la natura e le persone, lo sport e l’affettività.

Dottoressa Nastri, quali sono i segnali di un’esposizione eccessiva agli schermi in bambini così piccoli? Come possono i genitori distinguere tra un uso normale e uno problematico?

Secondo gli studi più recenti, sulle abitudini in ambito tecnologico dei bambini dai 6 mesi ai 4 anni, risulta che il 96,6% utilizza media device e molti di loro iniziano a usarli già nel primo anno di vita.  Comprendiamo quindi che, a oggi, per la maggioranza dei bambini, i dispositivi elettronici rappresentano un vero e proprio “prolungamento” dei loro arti: nascono con loro, crescono con loro, si evolvono con loro inducendoli a una involuzione sotto ogni punto di vista. Fino a un decennio fa potevamo parlare dei “segnali” fondamentali affinché i genitori potessero monitorare l’uso o abuso della tecnologia; ora che l’età di utilizzo è scesa vertiginosamente ai pochi mesi, ahimè, capiamo quanto il problema non dipenda più dal bambino fin troppo piccolo per scegliere individualmente di impiegare il suo tempo muovendo le dita su uno smartphone ma dell’adulto che glielo consegna. Perciò, il tempo trascorso dai bambini molto piccoli davanti agli schermi risulta associato al modo in cui i loro stessi caregiver utilizzano la tecnologia. Pertanto, diviene complicato stabilire già per gli adulti un proprio autocontrollo all’uso, e che ne stabilisca un “uso normale o problematico”. Sicuramente, i primissimi campanelli d’allarme a cui prestare attenzione sono: reazioni spropositate di rabbia e frustrazione, costanti sbalzi d’umore, impulsi incontrollabili nel “controllare” il dispositivo, sintomi d’astinenza nel distacco dall’oggetto vissuto come indispensabile.

Quali sono le conseguenze a lungo termine di un’esposizione precoce e incontrollata agli schermi sullo sviluppo psicofisico del bambino?

Il mondo digitale, rimanda al modello stimolo-risposta, nonché qualcosa di astratto rispetto a un pensiero concreto di qualsiasi cosa. L’utilizzo precoce e massiccio di queste tecnologie, cambia il modo di organizzare la conoscenza del bambino così radicalmente da modificare la struttura della massa bianca del cervello e alterare le aree fondamentali per lo sviluppo del linguaggio, delle capacità di alfabetizzazione e delle funzioni esecutive (memoria, attenzione, inibizione, flessibilità cognitiva, pianificazione). Se il bambino impara a usare questi strumenti prima ancora di iniziare a parlare, il rischio è di focalizzare la conoscenza sullo stimolo specifico, piuttosto che sulle relazioni e interazioni tra oggetti, ciò potrà implicare anche ritardo nello sviluppo motorio, aumento di disturbi alimentari, disturbi del sonno, disturbi dell’apprendimento e disturbi comportamentali, depressione infantile, ansia, psicosi, disturbi della personalità, autismo e infine aumento dell’aggressività e violenza.

Come possono i genitori riconoscere i segnali di dipendenza digitale nei loro figli?

L’uomo è un essere sociale, geneticamente programmato per sopravvivere aggregandosi con la comunità e la tecnologia più si presta per soddisfare il bisogno di connessione degli esseri umani. Come? Estraniandoli e isolandoli. Sembrerebbe un controsenso, eppure l’isolamento, il disinteresse e la dissociazione rappresentano i segnali più profondi di una dipendenza digitale, susseguiti, come dicevamo dalla necessità di trascorrere un numero sempre più cospicuo di ore in connessione, sono sintomi depressivi o ansiosi, agitazione psicomotoria in caso di riduzione o interruzione, riduzione della vita reale e degli interessi lontani dal digitale.

Come possono i genitori parlare ai loro figli dei pericoli online in modo che li comprendano senza spaventarli eccessivamente?

Lascereste mai un bambino da solo per strada? Come gli direste che non può starci da solo? Le infinite vie di internet si snodano tra curve a gomito, discese vertiginose e salite ripidissime, e devono essere ormai considerate come un mondo “reale” e pericoloso in cui un bambino si accompagna e si sostiene. Perciò avviare alla tecnologia (preferibilmente dopo almeno i 4/5 anni) abituando al controllo costante di qualcuno e magari attraverso le app dedicate alle attività di sviluppo sarebbe già un buon modo per indirizzare ed educare alla prevenzione di rischi. Non esiste il discorso perfetto per spiegare la sicurezza informatica ai bambini ma è fondamentale che siano a conoscenza di quanto il mondo virtuale possa nascondere pericoli reali. “Sai, hanno provato a rubarmi l’identità, ed io ho…”, oppure: “Una volta mi hanno preso in giro sul web, così ne ho parlato con la mia famiglia e…”, ecc.. ecc.. questi esempi di dialogo possono rappresentare una modalità di apertura all’argomento attraverso l’immedesimazione e la fiducia reciproca, dando così non solo spiegazione delle problematiche ma anche informazioni su come difendersi.

Come si può aiutare un adolescente a gestire autonomamente il tempo trascorso online e a trovare un equilibrio sano tra vita digitale e vita reale?

È importante partire dall’infanzia ancor prima che dall’adolescenza, in modo tale da fornire già al bambino piccolo, futuro uomo, quegli strumenti adatti a fronteggiare i passaggi di crescita tanto delicati quanto fondamentali della sua vita. L’educazione al “tempo”, alla dimensione del tempo, alla gestione del tempo e all’impiego di questo sono il principio di ogni sfera umana: individuale, familiare, sentimentale, relazionale e professionale. Far sperimentare la “noia”, senza riempire il “buco”. Far godere dell’attesa, senza azzerarla uccidendo il desiderio. Spronare così alla creatività e indipendenza, sviluppare l’intelligenza emotiva, la possibilità di trasformazione, l’opportunità di evoluzione. II bambino abituato al modello stimolo-risposta avrà difficoltà a gestire il suo tempo di noia e di attesa, avvertito come “vuoto”. D’altra parte perderà il suo tempo in quanto estraniato in un mondo virtuale. Educare alla realtà, e quindi a questo “tempo reale”, è il primo passo per l’educazione alla vita digitale e a quell’equilibrio tra l’essere e il non-essere, esistere e scomparire.

Coma cambia il rendimento scolastico in giovani con dipendenza digitale? Può la scuola contribuire a promuovere un uso sano e responsabile della tecnologia tra gli studenti?

Qualsiasi tipo di dipendenza, e in questo caso nello specifico quella digitale, distrae dall’obiettivo inibendo il raggiungimento dei traguardi. Perciò un dipendente dalla tecnologia avrà come priorità estrema un mondo virtuale lontano dalla realtà e quindi lontano anche dall’interesse per le cose, le persone, le relazioni, lo studio e l’apprendimento. Sarà privato della curiosità proprio perché abituato ad un modello stimolo-risposta che è opposto alla conoscenza profonda e autentica. A ciò si aggiungono le difficoltà cognitive, comportamentali e delle funzioni esecutive alimentate dall’abuso dei dispositivi digitali che implicano disturbi dell’apprendimento e di conseguenza un abbassamento del rendimento scolastico. In particolar modo, le evidenze scientifiche dimostrano come il disturbo di attenzione e iperattività (ADHD) sia correlato a tale dipendenza. Affinchè venga fronteggiata una situazione di emergenza simile, è necessario che la scuola collabori innanzitutto con professionisti della salute mentale creando percorsi specifici per genitori/figli, genitori/figli/istituzione scolastica. Solo un costante e collaborativo monitoraggio e potenziamento della sfera emozionale, delle attività a contatto con la natura e le persone, dello sport, e della stimolazione affettiva possono promuovere non solo un uso sano e responsabile della tecnologia, ma di tutta l’intera vita dell’individuo.

Adolescenti e salute, come gestire al meglio l’età più difficile dei figli

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Elena Meli

DATA: 9 giugno 2014

Età difficile per eccellenza, l’adolescenza è una fase complicata per tutta la famiglia: per i ragazzini, in balia di un processo di cambiamento e crescita, fisica e psicologica, che li destabilizza, e per i loro genitori, in difficoltà di fronte al rebus di figli che da un giorno all’altro sembrano diventare “altre persone”. Per di più è un’età in cui nella maggior parte dei casi si è sani, ma in cui possono svilupparsi problemi con “strascichi” che condizionano tutta la vita futura, dalla dipendenza dal fumo alle malattie sessualmente trasmesse. Come assicurarsi, allora, che i figli crescano in salute e non corrano rischi?

 

Raccomandazioni ai genitori

«La prima raccomandazione per i genitori è che siano presenti nella vita degli adolescenti, in modo discreto ma attento — osserva Piernicola Garofalo, presidente della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza —. Spesso mamme e papà oscillano fra allarmismo e indifferenza, invece bisognerebbe essere sentinelle mute, per accorgersi subito dei segnali di allarme. Purtroppo, molti genitori sono i primi a chiudere le porte della comunicazione con i figli, perché, ad esempio, non sono mai a casa: i ragazzini hanno bisogno di sapere che qualcuno li sta seguendo, è presente, è un riferimento a cui rivolgersi». Osservare è il primo passo per accorgersi se qualcosa non va, come conferma Giuseppe Di Mauro presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale: «Tutti i bruschi cambiamenti della quotidianità devono insospettire: un calo netto e repentino del rendimento scolastico, un isolamento marcato, l’abbandono dello sport, una variazione nel rapporto con il cibo sono tutti indici di un disagio da indagare con discrezione». Andarci con i piedi di piombo sembra indispensabile per non scontrarsi con un muro impenetrabile di mutismo, rischiando di complicare ancor di più i rapporti. In questo può aiutare, allora, il pediatra di famiglia, con cui i ragazzi spesso riescono a confidarsi più che con mamma e papà.

 

«Check-up» a otto anni

«Il momento giusto per un “check-up” è il “bilancio di salute”, che dagli otto anni in poi dovrebbe essere eseguito almeno ogni due anni, meglio se una volta l’anno — riprende Di Mauro —. Si tratta di una visita in cui si controllano il peso, l’altezza, la pressione, la schiena, l’apparato genitale e tutto il resto, ma che diventa l’occasione per parlare e capire se qualcosa non va. Un vero strumento di prevenzione, perché, oltre a valutare se è tutto a posto e consigliare, se serve, una visita dallo specialista del caso, è soprattutto un’occasione per educare le famiglie e presentare opportunità preziose, come la vaccinazione contro il papilloma virus, da proporre a tutte le dodicenni per prevenire il tumore al collo dell’utero in età adulta: la copertura vaccinale in Italia non arriva al 50 per cento proprio perché spesso “perdiamo” il contatto con gli adolescenti che, non avendo problemi evidenti di salute, non vengono dal medico. I bilanci invece vanno fatti, perché sono la chiave per avere ragazzi sani». In Italia non sono obbligatori e sta quindi ai genitori e al pediatra “impegnarsi” per farli regolarmente.

 

Gli screening

Oltre a questi check-up generali, servono anche periodiche analisi del sangue e test più accurati? Alcune linee guida, ad esempio quelle del National Heart, Lung and Blood Institute statunitense, raccomandano lo screening per il colesterolo, la glicemia e altri parametri già a partire dai 9-11 anni, ma non tutti sono d’accordo e l’American Academy of Pediatrics, ad esempio, non consiglia test a tappeto su tutti i ragazzini. «Lo screening va guidato. Fare regolarmente le analisi del sangue a tutti gli adolescenti non serve, né avrebbe un buon rapporto costo-beneficio — spiega Garofalo —. Il medico deve individuare i “lati deboli” del ragazzo che cresce, in base alla sua storia personale e familiare: se il papà ha il diabete sarà opportuno stare attenti a non farlo ingrassare, perché altrimenti rischia di ammalarsi pure lui e in giovane età; se una sorella è intollerante al glutine e c’è qualche lieve sintomo sospetto, sarà bene fare i test per la celiachia».

 

Cattive abitudini

Fra le “minacce” che mettono più in pericolo la salute degli adolescenti ci sono diverse cattive abitudini, prima fra tutte l’alimentazione sregolata: uno studio statunitense appena pubblicato su Public Health Nutrition spiega, ad esempio, che alle soglie della pubertà la qualità degli spuntini e dei pasti inizia a diminuire, per diventare pessima in piena adolescenza a causa della maggior libertà e dei pasti consumati fuori casa assieme agli amici. «Una dieta adeguata è senza dubbio fondamentale a questa età, così come spronare allo sport perché diventi una sana passione con cui occupare il tempo libero: purtroppo, invece, proprio nell’adolescenza molti abbandonano l’attività fisica — dice Di Mauro —. Va incentivato il movimento all’aria aperta, organizzato e non, anche per “salvare” i ragazzi dalla prigionia di computer, tablet e cellulari su cui spesso si isolano, rischiando vere e proprie dipendenze con ripercussioni psicologiche gravi che possono arrivare fino alla depressione. Altrettanto importante è parlare con i ragazzi dei danni da fumo, alcol e abuso di sostanze, insidie molto concrete per la loro vita: mettere la testa sotto la sabbia non serve, occorre discuterne». «Purtroppo i giovanissimi hanno una fruizione spesso acritica di queste sostanze, non le scelgono per trasgredire ma solo perché il contesto li porta a farlo, per questo serve informarli sulle conseguenze — osserva Garofalo —. Anche i disordini alimentari sono molto frequenti fra gli adolescenti, in costante crescita pure fra i maschi, così come sono un grande pericolo le malattie sessualmente trasmesse o le gravidanze indesiderate: non c’è un’educazione alla corporeità, si fa sesso in modo sconsiderato perché tutti lo fanno, banalizzandolo, senza pensare alle conseguenze. È invece indispensabile educare i ragazzi alla sessualità; è assurdo che non si parli di contraccezione responsabile e poi le ragazzine vadano in cerca della pillola del giorno dopo». «Una gravidanza indesiderata, l’HIV, una dipendenza da sostanze sono problemi che poi cambiano radicalmente il futuro. Gli adolescenti sono sani, ma hanno il potenziale per farsi molto, molto male. Per questo genitori e pediatri devono star loro vicino, parlare, informarli: solo così cresceranno consapevoli dei pericoli a cui potrebbero andare incontro» conclude Di Mauro.

Quattro zampe terapeutiche

FONTE: Almanacco CNR

AUTORE: Antonio Cerasa

DATA: ottobre 2017

I gattini hanno invaso internet da decenni e assicurano visibilità e viralità al proprio profilo. Perché abbiamo così bisogno di vivere insieme agli animali, trasformandoli in compagni di vita, al punto che i soggetti più fotografati, condivisi, taggati, twittati del web sono proprio loro? Prima di tutto l'animale domestico è veramente un compagno di vita, al punto che come ha dimostrato uno studio pubblicato qualche mese fa su 'Plos One' i cani possono arrivare a condividere lo stesso profilo di personalità dei loro padroni. Misurando i livelli di cortisolo, l'ormone dello stress, in 132 coppie di proprietari e cani in situazioni difficili i ricercatori dell'Università di Vienna hanno scoperto che gli animali con padroni agitati, lo sono altrettanto, mentre quelli con umani che gestiscono bene lo stress rispondono meglio agli imprevisti.

Ma il ruolo degli animali domestici può addirittura essere quello di ripristinare l'equilibrio emotivo della famiglia. Cani e gatti percepiscono le conflittualità famigliari e intervengono assorbendo la rabbia e aggressività dei padroni amplificando la gioia e felicità con comportamenti che favoriscono il gioco, stimolando il contatto quando avvertono tristezza. Un recente lavoro scientifico ha confermato che soprattutto i cani sono in grado di riconoscere i nostri stati emotivi. In uno studio pubblicato su Biol Letters, alcuni ricercatori hanno sottoposto un gruppo di amici a quattro zampe a un semplice test in cui venivano proiettate fotografie di umani che esprimevano gioia o rabbia, abbinando loro il suono di parole concordanti o discordanti. È emerso che gli animali passavano più tempo a osservare i visi la cui emotività era congruente con l'espressione verbale.

Il supporto psicologico che gli animali possono dare all'essere umano non si evince solo dalla vita in famiglia, ma anche in settori come la riabilitazione motoria o psichiatrica. Chi non si è sentito bene accarezzando un gatto peloso, dando da mangiare a un coniglio o cavalcando un puledro? Esistono numerose prove scientifiche degli effetti positivi della pet therapy. Una recente revisione apparsa sulla rivista Frontiers in Psychology ha concluso che l'intervento assistito da animali può rivelarsi una buona opzione complementare per una serie di traumi psicologici come fobie o disturbo post-traumatico, così come per alcuni disturbi neurologici.

Educare i bambini in famiglia

AUTORE: Pietro Bordo

DATA: marzo 2003

 

 

Relazione proposta ai Genitori degli alunni dello Iunior International Institute (scuola paritaria primaria di primo e secondo grado)

 

Fino a circa cinquant’anni fa erano presenti, in generale, vari fattori educativi positivi

Nell’ambito familiare:

  1. almeno un genitore sempre molto presente in casa;
  2. nonni molto presenti;
  3. zii ed altri parenti pure.

 

Nella società:

  1. molti, per strada ed altrove, si preoccupavano di controllare ed eventualmente rimproverare chi sbagliasse;
  2. la scuola educava ai valori comuni, senza l’impreparazione, il lassismo e la tolleranza oggi piuttosto diffusi.

 

Oggi sono presenti vari fattori diseducativi (parlo sempre in generale):

 

Nell’ambito famigliare:

  1. un genitore presente in casa è un sogno per la maggior parte dei bambini;
  2. i nonni sono presenti in poche famiglie;
  3. i contatti con zii ed altri parenti sono molto limitati, rispetto al passato;
  4. alcuni bambini sono abituati a trattare con atteggiamento di superiorità gli adulti che lavorano per la famiglia, pensando poi di poter esportare tale comportamento con gli altri adulti con i quali entrano in contatto (minacce di far licenziare…).

Nella società:

  • la TV, la diseducatrice per eccellenza, che quando reca poco danno intorpidisce la mente ed il cuore, generalmente propone modelli tremendamente affascinanti e vincenti, che portano i ragazzi (soli per ore a casa, o in compagnia di baby-sitter che se ne disinteressano) a considerare come obiettivi fondamentali della loro vita il successo, il denaro ed il sesso, tutto a qualsiasi prezzo; naturalmente tutto cambia con la presenza dei genitori e la visione di buoni programmi;
  • le riviste, per le quali vale quanto detto per la TV, anche se con minore efficacia;
  • internet, dove in un mare infinito insieme ad informazioni utili puoi trovare, mi dicono, quanto di peggio si possa immaginare, ed anche di più. Ed immaginiamo dove la curiosità possa portare anche il migliore dei bambini, magari solo per ore ed ore a casa;
  • scuola (dati ottenuti dai miei nipoti e da altre centinaia di alunni e genitori di altre scuole): non raramente scarse qualità umane e professionali degli insegnanti; cattivi loro esempi e dei compagni; mancanza di regole positive; certezza della quasi impunità, qualunque sia il loro comportamento, sia per insegnanti che per gli alunni (quasi nessuno controlla la qualità del lavoro prodotto; tanti “9” e “10” consentono a genitori, che hanno tanto da fare, ed ad insegnanti, che poco vogliono fare, di vivere felici e tranquilli);
  • abitudine dei ragazzi ad avere tutto: molti genitori lo fanno per ignoranza, altri per “comprare” con il denaro il tempo. Che è poi ciò che loro non danno ai propri figli e che essi più desiderano. E crescendo, a volte soprattutto fisicamente, potranno sempre avere tutto?

 

Dopo questa introduzione penso appaia evidente l’importantissimo, direi vitale, vostro ruolo di educatori dei vostri figli. Molto più importante che in passato.

Vorrei proseguire la conversazione usando parole o frasi chiave, quelle più ricorrenti nei miei trenta anni di azione educativa (ho rivisto gli appunti tutoriali di alcune quinte classi precedenti) ed argomentando diffusamente su ognuna.

 

Confronti fra fratelli e sorelle, addirittura fra padre e figlio (ogni persona è diversa e deve percorrere il suo cammino)

Azione educativa individuale (minuti da solo con il papà, o mamma, anche pochi; si può fare anche con sette figli)

Coerenza (parolacce… pure quando è calmo; Messa (il maestro e.. affermano che è importante e poi non ci andiamo; verità…: l’ho sentito dire che…; fumo: se papà non ce la fa anch’io posso non farcela; c’è differenza fra ciò che si dice e quello che si fa)

Giustizia (senza “processo” è facile sbagliare e dare punizioni a chi non le merita; ci soffrono molto e perdono un po’ di stima e fiducia nei genitori; mia sorella mi disturba sempre; papà interviene, ma lei ricomincia; non sappiamo cosa fare! Incredibile!)

Autorevolezza (la si conquista sul campo e la si rafforza giorno dopo giorno; “trasferirla” ai “delegati”: insegnanti, nonni, collaboratori domestici; con dichiarazione formale)

Critiche ai “delegati”: no davanti al bambino. Producono gravi danni poiché il bambino potrebbe estendere a tutta la persona il giudizio negativo sul singolo argomento (o potrebbero disorientarlo; Luca, buono, attento, intelligente, inspiegabilmente comincia ad andare male; ho saputo perché: mancanza di fiducia dei genitori negli insegnanti; esplicitata situazione ai genitori; parlatene col bambino; dal giorno dopo voti da 5 e 6 a tutti 8 o 9! Incredibile)

Critiche al coniuge: effetti devastanti. Il bambino può perdere certezze importanti.

Discutere senza litigare (bambino: la sera quando vado a dormire penso alle liti dei miei genitori e prego e piango)

Mantenere le promesse (se non è possibile spiegarglielo, altrimenti ci soffrirebbe molto e genitore perderebbe parte della stima)

Ci pensa mia moglie (assenza di polso, il maschietto può approfittarsene; inizia a voler discutere tutte le decisioni della mamma che non lo soddisfano; inoltre: dai dodici anni in su con chi parlerà di certi argomenti se non è abituato a farlo quasi quotidianamente almeno dai sette-otto anni?)

I bambini vengono educati soprattutto quando i genitori non pensano ad educarli: con l’esempio di vita

Tutti uguali, tutti diversi (…)

Non trattate sempre i bambini da piccoletti, altrimenti così si comporteranno; già a sei-sette anni fateli diventare elementi attivi della famiglia. Darà loro molta soddisfazione, li aiuterà a crescere e vi toglierà qualche incombenza;

I bambini imitano il papà soprattutto nei comportamenti meno belli, ad esempio durante discussioni con la moglie. Attenzione!

In famiglia aiuti reciproci, anche dai bambini agli adulti (vedere tutti impegnati a migliorarsi, a dare ed accettare aiuti, li stimola molto a crescere) (a scuola funziona…)

Regole chiare

Eccezioni: confermano la regola (possono creare un approfondimento incredibile del rapporto affettivo; sperimentato a scuola)

Scuola-parcheggio (maestri, anche i migliori, poco possono fare senza collaborazione con la famiglia; è come scrivere sulla sabbia; invece insieme si ottiene un effetto sinergico)

Coordinamento fra genitori: sono abilissimi nel sapere a chi rivolgersi per avere maggiori probabilità di risposta positiva alla richiesta, ma sono disorientati dalle differenze

Chi sbaglia paga (non come nella mafia! Non per vendetta, ma per aiutare a migliorare; esplicitarlo; in classe accettano qualsiasi punizione; comunque è bene non esagerare)

Verità: sempre o tacere. Senza dare gravi punizioni a chi ha il coraggio di dirla. A scuola funziona. Mi dicono, penso, tutto. A volte io dico loro: “Questi sono argomenti particolari; parlane col papà; domani mi dirai se l’hai fatto”. Ammettono anche mancanze gravi se si fidano dell’interlocutore, conoscono il suo equilibrio, la sua comprensione e sanno che darà loro buoni consigli per cercare di non ripetere l’errore;

Elogi a chi si sforza di migliorare: uno vale più di mille rimproveri (io a volte a scuola li invento)

Attenzione alle comunicazioni (sei sempre il solito…; sei uno stupido! No: oggi ti sei comportato da stupido)

Ma la parola più importante di tutte quelle finora usate è

Presenza      (molti genitori, specialmente papà, pensano di liberarsi del problema della loro latitanza dalla famiglia rifugiandosi nell’ipocrisia della qualità del tempo, quasi sempre vero e proprio esilio volontario della mente; oppure si rifugiano nelle presunte necessità della famiglia. Dico presunte con dati oggettivi alla mano, perché in tanti casi stare tutto il giorno fuori casa serve alla carriera o ad incrementare il lusso nel quale vive la famiglia. E poiché uno dei fattori fondamentali di crescita di un bambino è il processo di identificazione, con chi si identificherà? Con la mamma? Con il maestro? È questo che vuole il papà?)
Estrema risorsa che ho dovuto usare per convincere papà ad occuparsi del figlio: Suo figlio è oggettivamente orfano di padre dal lunedì al venerdì; a volte per periodi ancora più lunghi.

Sto per concludere con un’altra parola chiave:

Fiducia: con la tutoria (stretta coordinazione scuola-famiglia ed elaborazione di un progetto formativo comune per il bambino), se ben fatta, si possono cambiare tutte le situazioni meno positive, sia a casa che a scuola. Ne ho tanti di esempi di genitori che per amore dei figli hanno fatto cambiamenti significativi nella loro vita, senza stravolgerla ma rimodulando la scala delle priorità e cercando, anche con un po’ di fantasia, quella che prima sembrava l’impossibile quadratura del cerchio (esempi: uscire un’ora dopo la mattina, aspettare pomeriggio figlio a casa; telefonata personalizzata; colazione separata, da uomo ad uomo o da donna a donna)

E ricordatevi che senza cambiamenti dei genitori difficilmente cambiano i figli.

 

Parlando di educazione dei figli penso si debba concludere con due citazioni autorevolissime.

La prima dalla “Centesimus annus”: "Il primo e più importante lavoro si compie nel "cuore dell'uomo", e il modo con cui questi si impegna a costruire il proprio futuro dipende dalla concezione che ha di se stesso e del suo destino”. Infatti in quarta elementare si cambiano le motivazioni da dare ai bambini per lo studio. Si cominciano a proporre quelle etiche: riceverai una chiamata, sii pronto a rispondere, qual essa sia, studiando molto. Il piccolo Karol non sapeva quale chiamata avrebbe ricevuto, ma era pronto. E li abitua a pensare in grande, ma non per avere successo e soldi, ma per poter dare il massimo contributo all’umanità. A volte in aula dico: “Chissà chi di voi inventerà il motore ad acqua, o la cura per…”

La seconda da un discorso pronunciato qualche anno fa dal Santo Padre: “(i bambini) …sono minacciati dall’egoismo e dalla corsa al benessere materiale che talora affascina i genitori, sottraendoli al dovere di una presenza educativa, fatta di premurosa vicinanza ai figli e di ascolto dei problemi connessi con la loro crescita” (13 dicembre 1999).

Chiesi ad un bambino: “Qual è la cosa più bella che ti piace fare col papà? “… stiamo lì per terra a giocare ...”. Ed il viso gli si illuminava di felicità.

Tanti stimoli in famiglia e poco stress. E il cervello dei bambini si modifica

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Giuseppe Remuzzi

DATA: 30 luglio 2015

Corteccia cerebrale più spessa nelle aree che governano la capacità di apprendere. 
La ricerca sul rendimento degli studenti

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 «Papà, dunque i ricchi sono più forti di tutti a questo mondo?» «Sì, Ilyusha, al mondo non c’è nessuno più forte di chi è ricco» (Fëdor Dostoevskij, «I fratelli Karamazov»). Proprio così, ragazzi che vengono da famiglie benestanti hanno rendimenti scolastici decisamente superiori rispetto a ragazzi con meno possibilità economiche o addirittura poveri. A questo punto chi si occupa di educazione di giovani e politiche dell’istruzione - almeno negli Stati Uniti - vorrebbe sapere perché, con l’idea che saperne di più potrebbe anche aiutarci a trovare delle soluzioni.

L’ambiente modifica il cervello

Insomma, perché chi è ricco va meglio anche a scuola? Per anni nessuno è stato in grado di rispondere a questa domanda in modo convincente e abbastanza sofisticato. Ma qualcosa sta cambiando. Uno studio del Mit e dell’Harvard University dimostra che ci sono differenze strutturali fra il cervello di ragazzi che stanno bene rispetto a quello di chi viene da famiglie meno abbienti. Cosa vuol dire di preciso? Che le aree della corteccia cerebrale associate alle percezioni visive e quelle dove si accumulano le conoscenze sono meglio rappresentate e più sviluppate nei giovani delle famiglie benestanti. Che vivere in un ambiente familiare e sociale sfavorevole si potesse tradurre in risultati scolastici meno brillanti lo si sapeva già ma che lo si potesse apprezzare studiando il cervello nessuno fino a qualche tempo fa l’avrebbe potuto nemmeno sospettare.

Ancora da studiare i motivi

«Adesso che lo sappiamo - ha dichiarato John Gabrieli professore di scienze cognitive al Mit - dobbiamo impegnarci tutti a cambiare le cose, siamo noi a dover dare più opportunità a chi non le ha avute in casa». Tanto più che negli ultimi anni negli Stati Uniti il divario tra i ragazzi benestanti e gli altri aumenta in modo preoccupante mentre quello fra etnie diverse si riduce. Non è ancora chiaro da che cosa dipendono gli effetti delle condizioni economiche della famiglia sulla struttura del cervello; forse da stress che i ragazzi più poveri avrebbero subito da piccoli oppure il non aver avuto accesso alle stesse opportunità educative degli altri ma anche più semplicemente dal fatto che quando erano piccoli gli si parlava di meno in casa.

Lo studio

I ricercatori di Boston sono partiti da 58 ragazzi fra i 12 e i 13 anni, 35 di loro erano benestanti, 23 venivano da famiglie indigenti. Trovare chi era ricco è stato facile ma come selezionare i ragazzi indigenti? L’hanno fatto scegliendo fra chi non si poteva permettere di pagare la mensa scolastica. I due gruppi di studenti prima sono stati sottoposti a diversi test per giudicare le loro performance intellettuali poi a risonanza magnetica di quelle regioni del cervello che presiedono a logica e ragionamento e poi linguaggio e percezioni sia sensoriali che motorie. Chi veniva da famiglie ricche aveva migliori risultati nei test che esplorano le capacità di apprendere e questo si associava a una corteccia più spessa nei lobi temporali e occipitali del cervello alla risonanza magnetica; le due variabili correlavano fra loro in maniera statisticamente significativa. Per il resto (altre aree della corteccia e quello che i medici chiamano sostanza bianca) non c’erano differenze.
Vuol dire che chi è povero resterà sempre con un cervello meno sviluppato almeno in certe aree? Niente affatto. C’è grande plasticità nel cervello ed è verosimile che educazione, supporto familiare e tanto d’altro possano cambiare in senso favorevole la struttura del cervello anche in chi parte svantaggiato. Finora lo sospettavamo, da adesso le modificazioni delle aree cognitive del cervello in rapporto a certi interventi che famiglia e scuola possono fare per aiutare i ragazzi meno fortunati li si potrebbero in teoria addirittura misurare.