La grafologa: “Scrivere a mano accende il nostro cervello, ma non dite ai bambini di scrivere come vogliono. Ecco perché”

FONTE: www.orizzontescuola.it

DATA: 12 maggio 2023

La grafologa: “Scrivere a mano accende il nostro cervello, ma non dite ai bambini di scrivere come vogliono. Ecco perché”

“Una cosa che riscontro molto e che mi fa arrabbiare è che nella scuola primaria molti insegnanti dicono ai bambini: scrivete come volete. Il fatto è che questo crea una gran confusione nei bambini, che non sono in grado di valutare ciò che è importante fare e scelgono quello che sembra più semplice.

Se vengono date delle indicazioni fin dall’inizio possiamo avere invece una scrittura funzionale”. La netta presa di posizione della grafologa Giorgia Filossi, grafologa dell’età evolutiva, prende le mosse dalla nostra intervista al professor Piero Crispianiprofessore onorario all’Università di Macerata e professore straordinario Link Campus University di Roma, da anni uno dei più convinti assertori dell’indispensabilità del corsivo per la formazione completa dell’individuo. Crispiani nell’affermare l’importanza dello scrivere in corsivo aveva aggiunto, in coda all’intervista, che “basta dare fogli e penne e far scrivere senza curare – all’inizio – la grafia, ma il senso, la destinazione, ovvero la base della umanità stessa e della cultura”, dando in parte l’idea che sia sufficiente far scrivere liberamente in corsivo, abbracciando una posizione spontaneistica, insomma lasciando ai bambini la libertà di scrivere come vogliono. “E’ una posizione che io non condivido”, ci spiega Giorgia Filossi: “Imparare a scrivere – precisa – è un apprendimento complesso che necessita di precise indicazioni”.

Giorgia Filiossi vive a Modena. E’ grafologa dell’età evolutiva e giudiziaria, educatrice del gesto grafico e rieducatrice della scrittura. Lavora come libera professionista, ha uno studio nella città geminiana, collabora con “Progetto Crescere” di Reggio Emilia, e in generale con scuole e associazioni culturali ed educative. Si occupa di bambini e ragazzi con difficoltà grafomotorie o disgrafie accompagnandoli in percorsi individuali di educazione e rieducazione del gesto grafico e della scrittura. Organizza e conduce corsi di formazione per insegnanti delle scuole d’infanzia, primarie e secondarie e laboratori per gli studenti. E’ docente di Educazione del gesto grafico alla scuola di grafologia “Arigraf Milano”. E’ consulente peritale di studi legali e promuove attività di orientamento per studenti e insegnanti delle scuole secondarie. E’ pure referente regionale per l’Emilia Romagna del Cesiog che ha tra i suoi obiettivi primari la costituzione di un albo per i grafologi e il riconoscimento del rieducatore della scrittura come professione sanitaria.

“La scrittura manuale – spiega Giorgia Filossi – è frutto dell’interazione tra sistema nervoso, sensoriale e motorio. L’uso della mano mantiene in forma il cervello: l’esercizio quotidiano della scrittura rafforza le aree cerebrali tanto che l’attività grafica è consigliata anche per rallentare gli effetti dell’invecchiamento cognitivo”. Una bella scommessa nell’epoca dei computer e delle tastiere. “Scrivendo a mano impariamo di più e più rapidamente. Ma non ne farei una battaglia ideologica tra mano e computer”, dice. “Preferisco soffermarmi sui tanti vantaggi della scrittura. I bambini, per esempio, imparano a leggere meglio se contestualmente viene insegnato loro a scrivere. Una parola scritta viene memorizzata e riconosciuta facilmente, cosa che non avviene digitandola soltanto. Vale anche per gli adulti. Nel prendere appunti, per esempio, selezioniamo le informazioni e le trascriviamo con parole nostre elaborandole in maniera personale. Scrivere a mano ci aiuta anche a sviluppare creatività e capacità di sintesi, a migliorare l’autocontrollo e la gestione delle emozioni”.

Il problema, secondo la professionista emiliana, riguarda soprattutto bambini e ragazzi. Esistono dei criteri ben precisi per stabilire se una scrittura va rieducata: la scarsa leggibilità, la poca fluenza e rapidità e, in alcuni casi, anche l’insorgere di dolori e affaticamento: “Credo – aggiunge – sia non più differibile la formazione specifica del personale educativo, a partire almeno dalla scuola dell’infanzia, per dare ai bambini quel patrimonio fondamentale di abilità e competenze che costituiscono i cosiddetti pre-requisiti. Alla scuola primaria, poi, andrebbe dedicato più tempo all’apprendimento del gesto grafico ad oggi sottovalutato rispetto ai contenuti linguistici.

Imparare a scrivere non avviene spontaneamente, ci vuole tempo, pazienza, gradualità e una didattica corretta, aspetti oggi molto trascurati. A scuola si scrive poco. Mancano direttive chiare che favoriscano approcci corretti e univoci. Dispensare un bambino dallo scrivere oltre che penalizzante per la sua crescita è spesso inutile: noi professionisti del gesto grafico siamo al servizio di famiglie e scuole per accompagnare e dare le corrette informazioni. Non possiamo delegare ad un tablet, uno smartphone o un pc tutta la nostra attività mentale. Cogliamo il senso di un calcolo aritmetico se lo facciamo a mente, cosa che non avviene utilizzando la calcolatrice.

Usare il correttore automatico riduce la consapevolezza dell’errore ortografico. Abusare del copia e incolla ci priva della capacità di ragionare su ciò che stiamo scrivendo. Questo vale a maggior ragione nei bambini perché influisce negativamente sul cervello in piena evoluzione, finendo per provocare difficoltà di attenzione, di memoria, di concentrazione, ansia e generale declino delle capacità di apprendimento. Scrivere a mano accende il nostro cervello molto più che digitare sulla tastiera: scrivendo su carta, gli occhi e i movimenti della mano seguono la creazione della lettera. Il corsivo è un carattere sviluppato per correre sul foglio con fluidità grazie a collegamenti che favoriscono il pensiero consequenziale.

E’ l’unico carattere realmente personalizzabile perché si impregna di tutti i vissuti e gli stati d’animo, rappresentando in maniera unica e irripetibile gli aspetti intellettivi e caratteriali dello scrivente. Lo stampatello, invece, è lento e spersonalizzato perché i tratti grafici richiedono continui stacchi della penna dal foglio.Ci sono tanti modi per mantenere viva e attiva la nostra abilità scrittoria. L’importante è non privarci del piacere di scrivere: lettere, appunti, note, scarabocchi, disegni. Non deleghiamo tutto ad un computer, ma difendiamo la prerogativa di distinguerci anche attraverso il gesto grafico”.

Dottoressa Giorgia Filossi, lei non condivide l’idea che il bambino debba essere lasciato libero di imparare a scrivere in corsivo in maniera spontanea, senza regole. E’ così?

“Non condivido quando si afferma che sia sufficiente far scrivere in corsivo abbracciando una posizione spontaneistica, perché imparare a scrivere è un apprendimento complesso che necessita di precise indicazioni. Il professor Crispiani, che conosco, avendo seguito vari seminari, ribadisce questo concetto, ma nella parte finale dell’intervista fa capire che è importante che i ragazzi scrivano indipendentemente dal fatto che debbano seguire una metodologia. Io mi trovo in contrasto con questa tesi. Per il percorso duale che ho fatto, sia di studio, sia di rieducazione della scrittura, io vedo che la didattica è fondamentale, perché la scrittura si può personalizzare”.

Ci faccia capire meglio

“La scrittura attraversa tre fasi fondamentali. La prima è la pre-calligrafica, che è dedicata all’apprendimento, segue il modello presentato a scuola e dura i primi due anni. Poi c’è la fase calligrafica in cui il bambino sperimenta il modello, si rafforza e diventa sempre più abile, tanto che in virtù di questo passa alla fase post-calligrafica. Se però nelle fasi precedenti ci sono stati degli intoppi, cioè se il modello non è stato acquisito, se non sono state superate quelle difficoltà, allora non si riesce a passare alla fase della personalizzazione, perché le difficoltà non consentono l’automatizzazione della scrittura perché nel momento in cui la scrittura è automatizzata non pensiamo più a come eseguiamo i grafemi, in quel momento la nostra scrittura si impregna degli aspetti emotivi individuali della persona, segue un percorso neurologico nuovo, diventa una scrittura capace di esprimere la personalità dell’autore”.

Un po’ come nella lettura?

“No. Mentre la lettura è un apprendimento che può avvenire spontaneamente, qui questo non succede: qui ci vuole un insegnamento, che significa dare delle regole di esecuzione che riguardano il punto di partenza, la direzione, i collegamenti tra le lettere e dove eseguire gli stacchi. Tutto questo però va fatto secondo un criterio, altrimenti, se lasciato al caso, succede che la scrittura viene eseguita come se si trattasse di un disegno. Solo se diamo delle regole iniziali possiamo ottenere poi una scrittura funzionale. Che non significa bella. Significa scorrevole, significa avere una scrittura che non crea fatica, che non crea dolore in chi scrive, che sia leggibile”.

Le scuole, secondo lei, sono consapevoli di questa necessità?

“Una cosa che riscontro molto e che mi fa arrabbiare è che nella scuola primaria molti insegnanti dicono: scrivete come volete. Ma questo crea una gran confusione nei bambini, che non sono in grado di valutare ciò che è importante fare ma scelgono quello che sembra più semplice. Se vengono date delle indicazioni fin dall’inizio possiamo avere una scrittura funzionale”.

Ci sono però dei bambini che presentano evidenti difficoltà

“E’ vero, ci sono dei bambini che hanno delle oggettive difficoltà. Ma a quel punto, quando sono stati individuati, abbiamo ripulito il quadro facendo una netta distinzione tra quelli che hanno una didattica corretta e hanno imparato e quelli che nonostante la didattica corretta hanno delle difficoltà. In questi casi è doveroso fare una valutazione di disgrafia, perché significa che il bambino ha delle caratteristiche a livello neurobiologico che rendono difficile raggiungere un livello funzionale di scrittura”.

E a quel punto quanto si può fare per questi bambini?

“Diciamo che oggi ci sono moltissimi bambini che hanno difficoltà. Ci sono quelli che non hanno avuto una didattica adeguata – aggiungiamoci anche i problemi causati dal Covid – e poi ci sono quelli che hanno delle difficoltà che sono superabili. Con tutti si riesce ad avere risultati, ma alcuni non riusciranno ad avere una scrittura funzionale nonostante i miglioramenti. Questi avranno bisogno di un’attenzione diversa e misure dispensative e compensative”.

Quanto conta avere frequentato la scuola giusta, da questo punto di vista?

“Io vedo una differenza tra bambini che hanno avuto la fortuna di fare un percorso scolastico buono – e in questo caso si vede che il bambino ha una buona gestione dello spazio del foglio, adotta delle direzioni funzionali nello scrivere – e bambini che sono completamente disorientati del tutto. Che non si sanno muovere nello spazio del foglio. Ad esempio non rispettano le righe e i quadretti, con il risultato di avere un foglio molto confuso. Il sapersi muovere male nello spazio del foglio ha sempre come corrispettivo una difficoltà di muoversi nello spazio in cui ci si muove normalmente”.

Che cosa vuol dire?

“La partenza dell’apprendimento dovrebbe partire nella scuola dell’infanzia, con il muoversi nell’ambiente circostante come prerequisito per muoversi sul foglio”.

Lo si fa?

“Lo si fa in maniera poco consapevole. Si fanno tante attività casuali e non sempre consapevoli. Ma il lavoro che si fa all’infanzia è fondamentale per poter lavorare bene alla primaria. Prendiamo ad esempio il problema dell’impugnatura: questo è un aspetto che non viene considerato, e invece andrebbe impostato già dalla scuola dell’infanzia, ma non solo insegnando al bambino come si fa ma facendo fare attività che gli rendano naturale impugnare in maniera corretta, si apprende attraverso l’esperienza”.

Lei ritiene che occorra iniziare a scrivere nell’età della scuola dell’infanzia?

“No, a quell’età occorre creare i prerequisiti per arrivare alla scuola primaria con un bagaglio valido, in modo che diventi più semplice. Invece oggi i bambini non sanno più usare le mani perché nel frattempo non giocano fuori, fanno giochi tecnologici e tocca poi a chi fa rieducazione farglieli fare. Occorrere praticare giochi di manipolazione che rendano le mani più abili, fare dei nodi o anche semplicemente strappare lo scotch con le dita ma non lo sanno fare. Il bambino inoltre viene spesso imboccato dalle mamme. E invece è importante imparare a impugnare correttamente una posata. Se non s’insegna a impugnare bene una posata un bambino non saprà impugnare una matita. Un po’ il genitore si sostituisce al bambino per motivi di fretta o di timore, i genitori sono apprensivi e questo fa sì che il bambino sperimenti sempre meno cose”.

Servirebbe una cultura diffusa su questi temi

“Come associazione professionale dei grafologi, il Cesiog, stiamo lavorando sul fronte dell’informazione ai docenti e ai genitori. E anche sul fronte del lavoro di rieducazione della scrittura. La nostra è una professione spesso sconosciuta mentre ci sarebbero le possibilità di recupero di tante difficoltà evitando tante diagnosi di disgrafia, che invece lievitano. Dopo la diagnosi di disgrafia spesso si dice: scrivete come volete, usate il pc…Tante volte sarebbe sufficiente invece fare un recupero e un potenziamento della scrittura e ci sarebbero meno costi sociali perché appena ci sono delle difficoltà vengono attivate le visite presso la Neuropsichiatria.

Ma anche in quell’ambito la nostra figura non viene riconosciuta e allora che succede?”

Che cosa succede?

“Il bambino viene visitato da uno psicologo, viene fatta la diagnosi ma la figura non solo non viene coinvolta ma nemmeno viene suggerita. La professione viene riconosciuta, certo, ma non è vista come una professione sanitaria. La nostra associazione da anni si batte perché venga istituito un albo dei grafologi, mentre in altri ambiti come quello forense la professione è riconosciuta e apprezzata”.

Il tutto si inserisce in un’epoca che vede come protagonisti i pc, le tastiere, gli schermi, le tecnologie sempre più sofisticate…

“E’ ovvio che l’utilizzo del pc è per tutti fondamentale, ma questo non significa che il pc debba sostituire la scrittura. Il fatto è che dobbiamo far usare meno schede, meno penne cancellabili e dobbiamo invece fare usare strumenti più idonei. Nella scuola dell’infanzia ci vogliono meno pennarelli perché non aiutano a imparare la gestione della pressione e l’accuratezza del gesto. I bambini colorano senza stare attenti al rispetto dei bordi: con degli strumenti più idonei si sarebbe un aiuto maggiore ai bambini anche perché alla primaria non ci sono indicazioni sui quaderni da usare, nel senso che ci sono insegnanti che insegnano lo stampato sulla riga e il corsivo nel quadretto perché non ci sono delle direttive”.

All’università queste cose vengono insegnate?

“All’università non ci sono esami che riguardino la didattica della scrittura e questo ce lo dicono le insegnanti che sono preparate sul tema”.

Proviamo a dare un paio di consigli utili ai genitori

“Innanzitutto occorrerebbe dare ai bambini l’opportunità di fare le cose da soli in funzione dell’età. Un bambino deve imparare ad allacciare le scarpe con gradualità, diamo il tempo di mangiare da soli, di infilare il bottone nell’asola, ci sono tanti giochi che sviluppano anche l’intelligenza, anche il gioco della palla va bene, occorre insegnare al bambino a diventare via via più autonomo. Pelare la frutta sarebbe importante ma non so quanti bambini lo sappiano fare. Certo è che nel momento in cui un bambino si sa muovere bene a livello spaziale nel proprio ambiente, acquisisce la capacità di sapersi muovere nei testi che legge e nello studiare in maniera più efficace”.

MIO COMMENTO: Lo dice anche Microsoft…      Potete trovare su questo blog l’articolo “Microsoft: la penna batte la tastiera, se scrivi a mano impari di più” nella categoria “Apprendimento”

I bambini devono usare la penna, non la tastiera

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE:  Daniele Novara

DATA: 14 giugno 2021

Diversi studi scientifici dimostrano come la scrittura manuale sviluppi connessioni neurocerebrali assenti in chi batte sulla tastiera. «L’uso della penna facilita l’apprendimento perché i tempi dilatati costringono il cervello a selezionare i concetti»

Mentre la scuola si accinge alla digitalizzazione della didattica, penso sia importante mettere qualche paletto per evitare che la moda prevalga a prescindere da ogni consapevolezza scientifica, pedagogica e psicoevolutiva. Il punto più importante della questione è che ogni cosa ha il suo tempo e quello che vale per un ragazzo di 15 anni non può valere per un bambino né di un anno, né di 3, né di 5, né di 6, né di 7, né di 8. L’infanzia è una fase della vita molto particolare dove la sensorialità, l’esperienzialità, la motricità, il movimento e la socialità devono prevalere su tutto e su tutti. Dare, viceversa, la precedenza assoluta al mondo virtuale appare una scelta estremamente incauta. Fra la penna elettronica e la penna su carta quest’ultima ha il vantaggio di poter incidere su un vero materiale fisico sviluppando così, in modo più completo, le tante connessioni neurocerebrali in gioco.

 

Molte ricerche mettono in luce il pericolo di voler a tutti i costi passare dalla penna alla tastiera, come a suo tempo si fece dal pennino alla penna. Non è la stessa cosa. Già nel 2007, una ricerca pubblicata da Connelly – psicologo della Oxford Brookes University - e altri sul British Journal of Educational Psychology dimostrava che i temi scritti a mano dai bambini delle Scuole Primarie erano migliori rispetto a quelli scritti con una tastiera. Addirittura, dallo stesso studio emerse che i temi scritti al computer sembravano fatti da soggetti il cui sviluppo era indietro di due anni (un bambino di terza scriveva quindi come un bambino di prima). Nel 2011, lo studio di Sandra Sulzenbruck e altri analizzò il rischio che l’utilizzo continuo della tastiera per la produzione di testi possa contribuire in modo significativo alla perdita delle capacità di scrittura a mano. I vari studi condotti dalla neuroscienziata norvegese Audrey Van de Meer, dimostrano l’importanza dell’aspetto sensomotorio della penna sulla carta.

La penna consente connessioni neurocerebrali articolate e raffinate assolutamente improponibili e imparagonabili col puro e semplice battito del ditino su una tastiera come un criceto. Il movimento della mano che traccia lettere e parole, implica, nel bambino che sta incominciando a leggere e a scrivere, il riconoscimento di linee, curve, spazi, creando, dal punto di vista cognitivo, una connessione visivo-motoria. La scrittura manuale «costringe» in qualche modo a direzionare il movimento della mano a seconda della lettera che si deve scrivere. Il testo va orientato nello spazio e contenuto all’interno delle dimensioni di un foglio (per fare un esempio). Tutte queste azioni attivano la corteccia parietale preposta alla capacità di calcolo, linguaggio, orientamento spaziale e memoria. Più avanti, lo scrivere in corsivo richiederà necessariamente di saper collegare le lettere tra loro. La tastiera non richiede un simile sforzo: basta picchiare su tasti tutti uguali e le parole vengono da sé.

 

 

L’uso della penna, inoltre, facilita l’apprendimento anche per i suoi tempi «dilatati» che costringono il cervello a selezionare i concetti più importanti e, di conseguenza, assimilarli meglio. I rischi della scrittura su tastiera sono chiari: soprattutto nei bambini piccoli, viene impedito il corretto sviluppo di alcuni meccanismi cognitivi fondamentali. Sono noti i ritardi che l’uso della televisione, dei videoschermi, dei videogiochi e della tastiera provocano nei processi di lettoscrittura. Occorre ricordarli per evitare, fra anni, di ritrovarci con un aumento drammatico di disgrafie, disortografie se non, addirittura, ritardi nella vera e propria capacità di leggere e scrivere. Genitori e insegnanti non possono permettere che siano date informazioni non solo sbagliate, ma decisamente in malafede. A volte sono gli stessi venditori di questi prodotti che finiscono per promuovere convegni specifici sul passaggio dalla penna alla tastiera. Le ricerche scientifiche lasciano poco spazio ai dubbi e quindi i bambini vanno, ancora una volta, tutelati nel loro mondo e nel loro pensiero che è pratico, operativo, concreto e sensoriale. Solo in questo modo potranno crescere e raggiungere le altre fasi della vita.
*pedagogista

Microsoft: la penna batte la tastiera, se scrivi a mano impari di più

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Antonella De Gregorio

DATA: 12 settembre 2016

I risultati di una ricerca neuropsicologica: l’utilizzo della penna (anche digitale) per prendere appunti, stimola le capacità cerebrali e l’apprendimento più della tastiera.

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Scrivere a mano aiuta a imparare. Più che «smanettare» su una tastiera. Lo dice una ricerca di Microsoft Italia, che ha condotto uno studio neuro-scientifico con il supporto di ricercatori della Norwegian University of Science and Technology di Trondheim.

Penna o tastiera

Ispirandosi a studi precedenti da cui risulta che prendere appunti scrivendo a mano comporta una maggiore elaborazione e selezione delle informazioni, gli esperti - Audrey van der Meer e Ruud van der Weel - hanno coinvolto un gruppo di studenti in un progetto di ricerca di due mesi, con l’obiettivo di individuare eventuali differenze nell’attività cerebrale dovute all’uso di una tastiera rispetto alla presa di appunti con la penna (anche elettronica) e le implicazioni sulla capacità di apprendimento del soggetto. Venti studenti hanno partecipato a compiti di digitazione, scrittura e di disegno, e hanno completato i lavori utilizzando i dispositivi «Microsoft Surface Pro 4» - che prevedono l'utilizzo sia della tastiera che della penna digitale - e indossando degli speciali copricapi muniti di circa 250 sensori per il rilevamento dei segnali cerebrali avanzati, per sondare le zone del cervello attivate nel corso dei compiti.

Cervello più attivo

Lo studio ha confermato che quando i soggetti utilizzavano la penna digitale si «accendevano» più parti del cervello rispetto a quando utilizzavano la tastiera. Inoltre, secondo la ricerca l’utilizzo della penna attiva aree del cervello più profonde, e questo ha effetti positivi sulla memoria e sull’apprendimento.

«La penna non deve sparire»

In un’epoca in cui sempre più studenti utilizzano ormai solamente il portatile con la tastiera per prendere appunti, gli studiosi ora consigliano di reintrodurre la presa di appunti a mano nelle scuole di tutto il mondo: «Prendere appunti a mano rende il cervello molto più efficace nell’elaborare l’apprendimento - ha dichiarato Audrey van der Meer, docente di neuropsicologia presso il Dipartimento di Psicologia della NTNU -. Spero sinceramente che questa ricerca contribuisca a riportare nelle classi l’uso della penna durante le lezioni». «Le implicazioni di questo studio sono fondamentali per gli educatori e per chi lavora nel campo dell’istruzione - ha dichiarato Alexa Joyes, Direttore di Policy, Teaching & Learning, Worldwide Education Microsoft -. Ci sarà perdonato l’errore commesso qualche anno fa, quando si pensava che la penna potesse scomparire dal nostro mondo ossessionato dalla tastiera: in realtà, è evidente che si tratta di uno strumento tuttora indispensabile, così come lo è stato per molte generazioni prima di noi».