Smartphone vietato dopo cena, l’esperimento inglese che funziona

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Caterina Belloni

DATA: 12 ottobre 2017

Troppa dipendenza da Whatsapp e messaggini: gli adolescenti che si portano il telefonino a letto, o anche solo in camera da letto, perdono il sonno e la sicurezza di sé. A rischio soprattutto le ragazze

I ragazzi in gamba non si portano il telefono in camera da letto. E’ questo il messaggio lanciato nei giorni scorsi agli adolescenti inglesi dalla presidente del Royal College di Psichiatria di Londra. Wendy Burn ha lanciato il suo appello, in pubblico e sui giornali, perché secondo lei i problemi di insicurezza e depressione che caratterizzano gli adolescenti e i giovani britannici hanno origine anche da un rapporto deviato con smartphone e social media. Secondo una recente ricerca condotta, dall’associazione Children’s Sleep, infatti, i ragazzini inglesi vanno a letto mettendo il telefonino sotto il cuscino, perché hanno paura di perdere qualcosa durante la notte. Ma se lo smartphone è a pochi centimetri dal loro orecchio, anche se stanno dormendo il suono di un messaggio o di un aggiornamento sui social può raggiungerli e svegliarli. Solo che svegliarsi nel cuore della notte per leggere e commentare post e foto significa dormire male o comunque in modo superficiale.

E’ possibile capire gli adolescenti. Dieci cose da sapere sui nostri figli

Quindi il primo rischio è legato a una interferenza con il riposo, che invece per gli adolescenti è fondamentale quanto per i neonati e secondo gli esperti dovrebbe essere pari ad almeno nove ore continuate per notte. L’altra conseguenza pericolosa di questa abitudine consiste nel fatto che il circolo vizioso del gossip virtuale, con il suo corredo di commenti negativi e aggressivi, non lascia tregua e tiene avvinto il ragazzino 24 ore al giorno, causando insicurezza, preoccupazione, scarsa autostima. Secondo gli esperti, oltre alla perdita di sonno che rende poi meno percettivi e reattivi, ci sono numerose altre conseguenze pratiche legate all’uso eccessivo dei telefonini. Anzitutto l’ansia che deriva dal vivere in attesa di una risposta e di un messaggio. Poi la mancanza di autostima che si genera nel momento in cui la sicurezza di un ragazzo non dipende dai suoi risultati o dall’opinione che ha di sé, ma dal modo in cui gli altri lo vedono attraverso i social, mezzi a volte decisamente crudeli. Ancora vanno addebitate all’abuso dei social la perdita della propria privacy ma anche la scarsa capacità di conversare e interagire, che pure è fondamentale per avere successo nella vita e credito nella professione.

Come crescere dei ragazzi competenti e responsabili

Secondo la psichiatra sono soprattutto le femmine a restare vittime di questa dipendenza da connessione, ma anche a soffrirne in modo profondo. Eppure una via di uscita esisterebbe. Alcune famiglie inglesi hanno fatto un esperimento, istituendo il blocco del dopo cena. Dal momento della cena in poi, cioè, non si usa più il telefono, che viene messo in carica in salotto o in cucina, ma non in camera da letto. Il risultato della sperimentazione è stato più che positivo, con la famiglia che ha riconquistato un tempo di dialogo e condivisione e le ragazzine che si sono svegliate più riposate e decisamente meno tese. La necessità di creare pause nell’uso del cellulare, è stata ribadita dalla dottoressa Burn, ma non solo. Anche in istituti come Eton e Winchester, alcune tra le scuole superiori più quotate del paese, si comincia a parlare della necessità di formule di «digital detox» per gli allievi. Disintossicazione da telefonini, web e social media, dunque, per riscoprire la vita reale. Che può generare tensioni, ma, stando alle ultime statistiche, talvolta è meno ansiogena della vita in Rete.

 

Disabili in classe? Sì, ma con docenti preparati

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Federica Mormando

DATA: 24 marzo 2014

 

 Nel 1977 si comincia a parlare dei diritti dei disabili e si decreta che siano tutti inseriti nelle classi comuni. Quindi si pensa che l’ambiente sintono con la maggioranza dei bambini sia il migliore per tutti. Non ci si è accorti che per un bambino autistico i rumori e la molteplicità di stimoli di una classe «normale» sono terrorizzanti. Che un piccolo con ritardo cognitivo è umiliato dal non poter seguire il percorso degli altri. Che gli stili relazionali sono relativi alla struttura psichica e che quelli «normali» possono sconvolgere bambini con disturbi della personalità.

Infatti sono molte le classi con bambini che saltano sui banchi, urlano, picchiano, pur non essendo bulli.
Non si è dato peso all’evidenza che, rallentando il ritmo dell’insegnamento, si negano possibilità di apprendimento ai normali e a quelli ad alto potenziale intellettivo.

E neppure agli insegnanti, per cui può essere impossibile insegnare bene in una classe in cui i disabili sono del tipo sopra citato.

Per risolvere tutto spunta l’insegnante di sostegno. Definito per la classe, non per il singolo caso.

Senza entrare nel merito della loro preparazione, i «sostegni» lavorano in un ambiente generalmente non sintono con i ragazzi di cui dovrebbero occuparsi, e per sostenere loro, la classe e anche se stessi spesso se li portano fuori. In aule apposite? Più spesso nei corridoi, non per colpa loro.

La confusione di pari opportunità con identiche opportunità ha come punto di partenza e conseguenza la negazione dell’individualità. I bisogni di un bambino «normale» sono profondamente diversi da quelli di un bambino con grave ritardo cognitivo, o asperger, o iperattivo. E diversi da quelli di un bambino ad alto o altissimo potenziale intellettivo.

In conclusione, questa scuola non dà a nessuno quanto promette e deve. Il disagio è evidente a chiunque frequenti in modo consapevole molti bambini. I disabili sono a disagio, non imparano quanto potrebbero, né in cultura né in abilità relazionali, e la loro autostima ne è ferita.

Il disagio si fa più evidente nei casi di disabilità specifica, per i quali erano stati messi a punto metodi  atti a permettere loro di comunicare  nel modo più adeguato possibile. Parlo dei sordi, oggi detti non udenti – e dei ciechi – oggi detti non vedenti. I primi isolati in classi di udenti, visto che è mancata loro la possibilità di rapporto e comunicazione con gli altri bambini sordi, e relativo scambio di esperienze ed emozioni, essenziali per lo sviluppo cognitivo e psicologico, linguistico e sociale.

Ricordo di essermi accorta, molti anni fa, che un architetto era sordo soltanto quando gli ho parlato dietro le spalle, tanto era perfetta la sua lettura labiale. Oggi si va diffondendo la «lingua dei segni», che permette ai sordi di comunicare solo con chi la conosce, oltre che di capire i TG. Stesso problema per i non vedenti, una volta perfetti conoscitori del braille, forse qualcuno ricorda i centralinisti perfetti nel loro lavoro.

Quanto ai bambini ad altissimo potenziale intellettivo, sono frustrati e depressi perché per loro, non esiste ancora nulla nelle scuole. Così, camuffata da uguaglianza, la negazione del diverso persiste.

Eppure sarebbe possibile una scuola in cui gruppi di allievi possano riunirsi per competenza e livello, in spazi differenziati sia per aree del sapere sia per tipologia dei bambini. I momenti di apprendimento devono rispettare le possibilità, i tempi e i modi di ognuno.

In questa scuola che non c’è, esistono momenti comuni, cui non devono essere obbligati quelli che non o mal li sopportano, dedicati non all’apprendimento, ma alle relazioni e al riconoscimento, lì sì, delle diverse abilità.

 

La Dott.ssa Federica Normando è una psichiatra e psicoterapeuta che offre consulenze a bambini, adolescenti e adulti per disturbi psichici di diversa origine e tipologia, dai problemi di coppia, alla prevenzione dell'Alzheimer, fino ai disturbi di natura alimentare.

 

In particolare la Dott.ssa Mormando è specializzata nell'individuazione e nella gestione della superdotazione e della precocità intellettiva infantile e si occupa di problemi scolastici e di orientamento professionale.

Giornalista pubblicista, la Dott.ssa organizza seminari e corsi per genitori e insegnanti e si occupa di didattica personalizzata.

 

MORMANDO DR.SSA FEDERICA - EUROTALENT - PSICHIATRA PSICOANALISTA - VIA CAVALIERI BONAVENTURA 8 - 20121 - MILANO (MI) 
Tel: 02 29061564 | E-mail: fmormando@fastwebnet.it  f.mormando@gmail.com

Smartphone sempre acceso, risposte immediate alle email, cena davanti al pc: ecco i forzati dell’efficienza

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Michela Proietti

DATA: 5 marzo 2016

Lo psichiatra Mencacci: «Vivere con il telefono in mano costringe ad uno stato d’allerta permanente» . Una guida per non diventare schiavi del telefono e, se già lo siete, come uscirne

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Nel film-documentario «Dior and I» diretto da Frédéric Tcheng, lo stilista Raf Simons, arrivato alla corte di Lvmh, inizia bello-fresco e finisce con una crisi isterica. La pellicola è una discesa negli inferi della carriera: l’occasione di una vita - ovvero lavorare per un mostro sacro della moda - si rivela un tunnel di pressioni, turni straordinari, e-mail e messaggi subliminali a metà strada tra l’incoraggiamento e la pretesa del successo. La pellicola si chiude con Simons, dietro le quinte della sfilata, che piange, singhiozzando come un bambino: gioia incontenibile per una collezione applaudita o nervi saltati? Per come sono andate le cose, prende quota la seconda ipotesi: Simons, lo scorso 22 ottobre, ha annunciato le dimissioni «per motivi personali». Lo stilista ha spiegato di voler dedicarsi ad altre «passioni». Un lusso molto più grande del lusso che avrebbe dovuto rappresentare con i suoi abiti. Pochi giorni dopo, anche Alber Elbaz, il designer che ha rivoluzionato Lanvin, ha «svuotato» la sua scrivania, senza apparenti alternative. Due casi clamorosi che hanno mostrato quanto il re sia nudo: l’efficientismo portato alle estreme conseguenze, genera un corto circuito. 

La ricerca

Al tema dedica la copertina l’«Harvard Business Review» che parla di sovraccarico collaborativo. «I vostri dipendenti migliori rischiano l’esaurimento nervoso», scrive il foglio da sempre ritenuto la Bibbia delle aziende in ottima salute. La ricerca punta il dito contro la cattiva distribuzione del lavoro e l’eccesso di telefonate e di riunioni. Il toyotismo da ufficio - l’idea cioè di utilizzare le (poche) risorse disponibili nel modo più produttivo possibile - avanza e trasforma anche gli ex-beati-zaloniani del posto fisso in soldatini in ansia da performance, schiacciati da progetti, meeting e conference call. Proprio per questo i manager di Dropbox hanno cancellato per due settimane tutte le riunioni ricorrenti. «Ciò ha costretto i dipendenti a considerarne l’effettiva necessità», osserva l’Harvard Business Review. Ma il gigantismo delle riunioni, è solo un aspetto del problema. La rinascita dei Gordon Gekko, con le luci dell’ufficio accese 24h, le camicie e le mutande di ricambio accanto alla scrivania e la cena consumata a lume di pc, rinnova il dibattito sull’etica del lavoro. 

La reperibilità

La reperibilità, parola chiave degli efficientisti, è stata da poco messa in discussione in Francia, dove un accordo sindacale consente al personale informatico delle società di scollegarsi e non ricevere chiamate o messaggi di lavoro dopo la fine del proprio turno. Alasdhair Willis, fondatore della rivista Wallpaper*, stilista e padre di quattro figli avuti da Stella McCartney, sintetizza così il segreto della sua pienezza esistenziale: «A tavola con mia moglie non parlo di lavoro e mantengo i weekend work-free. Non bisogna rispondere alle mail di sabato e domenica, l’azienda non fallirà». Per un capo illuminato, ce ne sono però altri che «esercitano il delirio di onnipotenza torturando i sottoposti con messaggi anche in camera da letto», spiega il sociologo del lavoro Domenico De Masi, autore del libro-cult «Ozio Creativo». Il timore di essere sorpassati da colleghi giovani e performanti, e ora persino dalle intelligenze artificiali, rende fragile la base della piramide lavorativa. «Lo spettro dei tagli è un’arma nelle mani dei capi, che mina la nostra dignità», spiega De Masi, fresco di un divertente esperimento. «Ho invitato quattro partecipanti di un mio corso, muniti di telefonino di reperibilità, a mettere il vivavoce: le informazioni scambiate erano inutilissime, ma facevano sentire il capo un Golem e il dipendente un “prescelto” ». 

Lo stato di preallerta permanente

Gli yes-men degli anni Novanta hanno gemmato tanti nipotini «ontici»: la loro qualità principale è esserci. «Gli uffici dopo le 18 diventano dei gay-pride, pieni di uomini che fanno compagnia al capo, che a sua volta è lì mentre forse la moglie lo tradisce con un altro. Gli efficienti, non scordiamolo, sono anche i più cornuti», sintetizza efficientemente De Masi. Anders Ericsson, psicologo della University of Florida che studia i top-performers ha scoperto che i migliori del mondo, dai sollevatori di pesi ai pianisti, lavorano sotto sforzo solo per 4-5 ore al giorno: il riposo fa parte dell’allenamento. «Senza riposo il nostro cervello si svuota - scrive Daniel Goleman nel volume «Piccolo manuale di intelligenza emotiva» - .Gli indicatori sono distrazione, irritabilità e la tendenza ad andare su Facebook». Il superlavoro, dunque, non solo nuoce a chi lo subisce, ma anche a chi lo impone: ad un certo punto non ci si alza dalla sedia perché si lavora, ma perché nessuno dei nostri colleghi lo ha ancora fatto. «Vivere con lo smartphone in mano significa costringersi ad uno stato d’allerta permanente - spiega lo psichiatra Claudio Mencacci -, che porta a modificazioni di carattere cognitivo: diminuisce la concentrazione, cresce la paura di sbagliare fino ad arrivare al burn-out, lo stato anestetico- emozionale che fa coincidere il lavoro con una seccatura». Tra gli effetti c’è l’«asimmetria da contatto»: ogni chiamata, viene anticipatamente vissuta come un altro carico. «Il corpo sotto continuo stimolo vive scompensi cardiocircolatori: sale la pressione e aumentano le infiammazioni croniche». La soluzione c’è, ed è dire no. «Difronte agli esami che non finiscono mai, dobbiamo soffocare la parte storta di noi che, solo dicendo sempre sì, permette all’autostima di crescere».