Scuola, mancano insegnanti per l’inglese. In cattedra le maestre fai-da-te

FONTE: Il Messaggero

AUTORE: Alessandra Migliozzi

DATA: 17 settembre 2011

ROMA - Classe che vai, inglese che trovi. L’effetto riforma. I tagli incombono, gli specialisti di lingue diminuiscono e alla scuola primaria tocca ai maestri di italiano e matematica sobbarcarsi l’onere di insegnare ai piccoli what’s your name? Così, ci sono bambini fortunati che hanno in classe un insegnante laureato in lingue, altri che si ritrovano maestri formati con mini-corsi di 30 ore o la cui preparazione è ferma al concorso del 2000, dove si chiedeva la comprensione di un brano per abilitare a insegnare inglese.

Fino all’anno scorso a Roma c’erano 445 persone specializzate che coprivano le ore di lingua alla primaria. Ora sono 98. L’idea di ridurre gli specialisti risale ad una legge del 1990, ricordano dall’Ufficio scolastico. Il taglio doveva essere graduale, ma nel giro di un anno la situazione è precipitata: bisogna risparmiare. E non c’è in ballo solo la preparazione dei bimbi. Il fatto di dover utilizzare i maestri della classe per l’inglese sta mandando in tilt l’orario delle scuole.

Stefania Carrisi insegna materie scientifiche alla primaria Regina Margherita a Trastevere. Fino a un anno fa aveva la sua classe in cui spiegava matematica, scienze, a volte anche inglese, visto che ha una laurea in lingue. Quel titolo le si sta ritorcendo contro: nella sua scuola le ore dello specialista sono passate da 22 a 4 («e nessuno le vorrà perché sono troppo poche», spiegano dalla dirigenza) e tocca alla maestra Stefania andare anche nella seconda e nella terza della sua sezione. Per cinque ore a settimana deve lasciare in suoi alunni di prima ad altre insegnanti che coprono il buco con laboratori e progetti e correre via.

A livello pratico c’è anche una complicazione in più. «Prima avevo un solo collegio docenti - racconta - e lo scrutinio di una classe. Ora ho tre classi e dovrei fare il ricevimento per un centinaio di genitori». «Vorrebbero abilitarci tutti con dei corsetti di trenta ore - continua il racconto dei disagi Anna Ciardi, coordinatrice della scuola - ma non si può insegnare ai bambini l’inglese così. Se avessimo i soldi piuttosto che far migrare le maestre da una classe all’altra ci pagheremmo uno specialista».

Nel frattempo c’è la transumanza delle due docenti. Anche in periferia la musica non cambia. Alla scuola primaria Emanuela Loi, in via della Pisana, si fanno i salti mortali per garantire a tutte le classi l’inglese. Qui gli specialisti sono stati «ridotti a zero», spiega la vice del preside Catia Fierli mentre faticosamente cerca di portare in bagno i bimbi da sola. «Dovremmo aiutare i nostri figli ad affrontare il futuro, ma come si fa se tagliano sull’inglese?», domanda Fierli. La maestra Manuela Carla Morga, 46 anni, è entrata in ruolo quest’anno. Prima faceva solo scienze, ora deve fare anche musica, arte e inglese perché al concorso del 2000 ha preso l’abilitazione: «Dovevo leggere un brano e rispondere a delle domande. La mia preparazione si è fermata lì. Altri corsi? Non ho avuto il tempo di farli. Ce la metto tutta, ma uno specialista farebbe meglio». La sua collega Paola Forte è laureata in lingue e il titolo sta diventando un boomerang anche per lei. «Mi ha aiutato ad entrare subito in ruolo nel 1994, ma ora mi ritrovo che devo tenere tre classi perché per le lingue non ci sono più specialisti».

Dislessia, meno diagnosi e più bravi maestri

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Pietro Bordo

DATA: 3 novembre 2016


Pubblichiamo l’intervento dell’insegnante Pietro Bordo
che ripropone l’allarmesull’eccesso di diagnosi di dislessia e di terapia verso i bambini che hanno problemi di apprendimento a scuola.

Siamo all’interno di un dibattito che prosegue da tempo e che contrappone due schieramenti: chi solleva dubbi sulle troppe diagnosi (arrivate a sfiorare il 5% della popolazione scolastica) e chi ribadisce, invece, l’indiscutibile conquista della legge 170 del 2010 che, avendo dato un nome a questi disturbi, ha finalmente aiutato bambini e insegnanti.

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Questo in corso è il mio 44esimo anno di insegnamento nella scuola primaria (la scuola elementare; quattordici anni nella parificata, ventuno nella paritaria “d’elite” e otto nella pubblica), tutti a Roma. Con la mia esperienza vorrei evidenziare quello che è l’errore che, secondo me, oggi rischia di danneggiare tanti bambini.

Il mondo scolastico è ormai caratterizzato da un tecnicismo esasperato (DSA, BES,…), per il quale a volta invece che di bambini mi sembra di parlare di robotini, con i relativi software disciplinari e comportamentali.

Una ricerca nelle scuole romane pubblicata cinque anni fa mostrava, ad esempio, che il numero di bambini dislessici è sovrastimato. Ne consegue un spreco di risorse ma soprattutto, per il bambino. un’inutile medicalizzazione; anzi, a volte mi sono accorto che è un danno.

“È grave il problema dell’eccesso di diagnosi spesso errate”. Lo ha dichiarato il direttore dell’Istituto di Ortofonologia (IdO) di Roma, Federico Bianchi di Castelbianco, dopo un’indagine condotta qualche anno fa in numerose scuole materne ed elementari per individuare i bambini a rischio di Dsa. Dalla ricerca è emerso che nelle scuole materne ed elementari di Roma circa il 23% dei bambini viene erroneamente indicato a rischio di tali disturbi, ovvero con significative difficoltà nella lettura, scrittura e nel ragionamento matematico.In realtà secondo gli esperti in questa percentuale vi sono anche bambini con difficoltà di tipo minore, definibili come secondarie, o a basso rendimento scolastico, e non come Dsa. Una precisazione che abbassa la percentuale dei bambini a rischio al 4%.
«Segnalare come dislessici bambini che in realtà non lo sono comporta due gravi rischi», ha spiegato Federico Bianchi di Castelbianco. «Innanzitutto i bambini vengono dirottati su percorsi alternativi come portatori di una disabilità che non hanno, con oneri economici non sostenibili e totalmente inutili. Inoltre il loro problema non solo non verrà affrontato ma lascerà un vuoto di conoscenze che si ripercuoterà pesantemente sul loro curriculum scolastico».

La scuola, spiega Bianchi di Castelbianco, «può avere un ruolo fondamentale nell’evitare di inviare dagli specialisti bambini che non hanno davvero problemi di apprendimento. Per questo serve la formazione degli insegnanti. Anche per evitare che loro stessi vedano come soggetti a rischio bimbi che non lo sono».

Anche Daniela Lucangeli, presidente del Cnis, professore ordinario di psicologia dello sviluppo e dell’educazione dell’università di Padova, in un articolo pubblicato qualche anno fa su ‘Il Giornale di Vicenza’, non ha esitato a definire allarmante il notevole numero di diagnosi di disgrafia, dislessia e discalculia.  Parla di troppe diagnosi affrettate, troppe certificazioni Dsa (disturbi specifici dell’apprendimento). Dice che molto più spesso invece si tratta di bambini con difficoltà di apprendimento che possono migliorare, e di molto, semplicemente cambiando metodo di insegnamento.

E quante volte ho dovuto variare metodologia nei miei anni in cattedra: lo stesso modo di insegnare non può andare bene per tutti gli allievi. Purtroppo, generalmente, non si va ad indagare sui metodi didattici utilizzati dall’insegnante. Una delle cause di così tanti errori e difficoltà degli alunni è stata individuata da molti specialisti, ad esempio, nel Metodo Globale, ora utilizzato da molti maestri nella scuola elementare. E pochi parlano delle classi pollaio, che quindi vanno bene: è l’alunno che è affetto da “disturbi”.

Ricordiamoci che nel Manuale Statistico e Diagnostico, il testo utilizzato per le diagnosi delle malattie mentali, dove tra l’altro sono riportati anche i DSA, tutte le malattie mentali sono indicate come disturbi.

A mio avviso, bisognerenne  fare un passo indietro sulla legge 170/2010 sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento se non si vuole creare un generazione di incapaci, insicuri, ignoranti e facilmente manovrabili, come ha scritto Frank Furedi, Professore di Sociologia: «Se l’attuale tendenza continua, presto ci sarà poca differenza tra una scuola e una clinica per malattie mentali… se consideriamo le sfide della vita come un’esperienza cui i bambini non possono far fronte, i ragazzi raccoglieranno il messaggio e le considereranno con terrore. Tuttavia, se la finiamo di giocare a fare il dottore ed il paziente e aiutiamo invece i bambini a sviluppare la loro forza attraverso l’insegnamento creativo, allora i piccoli inizieranno a tener testa alle situazioni… proteggere i bambini dalla pressione e dalle nuove esperienze rappresenta una mancanza di fiducia nel loro potenziale di sviluppo attraverso nuove sfide». (F. Furedi, The Express, 20 maggio 2004).

Qualche anno fa operavo in modalità di prevalenza oraria su una singola classe (avevo tutte le materie, escluse motoria, musica ed inglese). Durante un incontro di formazione di insegnanti della scuola primaria, ad un insigne neuropsichiatra, direttore di un istituto di Firenze, che aveva detto che in ogni classe c’è generalmente almeno un alunno affetto da dislessia, rivolsi questa domanda: “Perché  io non ho mai avuto alunni dislessici?”. La risposta, intellettualmente onesta, fu che in modalità di prevalenza un forte motivatore, professionalmente preparato, in grado di stabilire una relazione significativa con l’alunno, poteva portarlo, in sintonia e quindi in sinergia con i genitori, a superare le sue difficoltà non gravi senza altri interventi esterni.

So che se questo testo sarà pubblicato mi farò molti nemici. Ma non nella mia scuola dove per me e per tante bravissime colleghe, come per la mia Preside, che lo ripete ad ogni inizio di anno scolastico, al primo posto ci sono i bambini.

Pietro Bordo

La rivoluzione dei ritmi scolastici dalla parte dei ragazzi

FONTE: Corriere della Sera 

AUTORE: Emanuela Di Pasqua, Carola Traverso Saibante

DATA: 10 gennaio 2015

Da Parigi agli Usa: la rivoluzione dei ritmi scolastici dalla parte dei ragazzi

I bambini hanno bisogno di lezioni corte e pause lunghe, i teenager di dormire di più. E in Italia? Tempo pieno per i più piccoli e sei ore di lezione frontale alle medie

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Risveglio mentale, sonnolenza, momento della concentrazione, momento della memorizzazione: ogni funzione ha il suo tempo ideale, e ogni fascia anagrafica anche, poiché i ritmi biologici di un adolescente sono ben diversi da quello di un bimbo di sei anni. «La salute del bambino a scuola deve prevalere su ogni altra considerazione – afferma il professor Yvan Touitou, esperto di cronobiologia e membro dell’Accademia di Medicina in Francia, patria di questa disciplina —. Gli insegnanti constatano che i loro alunni sono stanchi e hanno difficoltà d’apprendimento, cosa che i cronobiologi spiegano con il concetto di «desincronizzazione», cioè l’alterazione del funzionamento dell’orologio biologico quando questo non è più tarato con i fattori ambientali, il che compromette l’attenzione e le performance degli studenti». Per risincronizzarlo al meglio bisogna tarare l’offerta formativa sui ritmi di apprendimento dei bambini e degli adolescenti. L’organizzazione famigliare e altri fattori funzionali agli adulti sono argomenti che secondo gli esperti dovrebbero venire dopo, molto dopo, ai ritmi biologici dei bambini e dei ragazzi, al motto di «studiare meno e imparare meglio».

I ritmi biologici diversi di adolescenti e bambini

Occorre innanzitutto distinguere i ragazzi dai bambini: i primi dovrebbero poter dormire fino a tardi, e andare a scuola dopo aver avuto la possibilità di carburare. I secondi invece sono bisognosi, quanto più sono piccoli, di tante pause, periodi di apprendimento non troppo prolungati e possibilmente vacanze non troppo lunghe, onde impedire la regressione. «Gli orari scolastici convenzionali non sono adatti alle capacità di concentrazione dei bambini, che vengono sottoposti a giornate troppo cariche da cui escono stravolti e spesso demotivati. È assurdo chiedere 4 o 5 ore d’attenzione di fila quando si sa che il picco di quella di un bambino di 10-11 anni si situa nella seconda parte della mattinata tra le 10 e le 11», spiega Touitou. Il sistema-scuola è sempre più attento a questo aspetto bio-cronologico della formazione; dibattiti e sperimentazioni sono accesi in vari punti del Pianeta. Mettiamo qualche Paese a confronto rispetto all’organizzazione scolastica e dei ritmi studio/riposo.

Francia

In Francia da quest’anno tutto è cambiato: la riforma dei ritmi scolastici, sperimentata lo scorso anno a macchia di leopardo nel Paese, è diventata universale. Per i prossimi tre anni i dirigenti di materne ed elementari potranno sperimentare nuove formule che riguardano i ritmi settimanali/annuali di studio/riposo, con alcune regole di base da rispettare. E cioè: settimana di massimo 24 ore ripartite su almeno 5 mattine per un totale di almeno 8 mezze giornate alla settimana; giornata scolastica di una durata massima di 6 ore consecutive e mezza giornata che non può superare le tre ore e mezza. Il dibattito sulla bontà della riforma, che va avanti da due anni, non retrocede. Secondo i suoi sostenitori, rispecchia meglio i ritmi dei bimbi grazie soprattutto all’eliminazione della settimana di 4 giorni, una «eccezione francese»: con un minimo di 4 giorni e mezzo settimanali, il bambino ha più tempo d’assimilare la materia e la desincronizzazione da inizio settimana rispetto ai ritmi del weekend risulta meno violenta. Ci vorrà qualche anno, comunque, per capire gli effetti di questa riforma.

Italia

Nella scuola primaria si può scegliere tra moduli o tempo pieno: la scuola a moduli prevede un orario dalle 27 alle 30 ore settimanali, mentre la scuola a tempo pieno prevede un orario di 40 ore settimanali. I moduli vengono spesso considerati più adatti ai tempi dei piccolissimi. Nella scuola secondaria di primo grado l’orario scolastico dipende invece da scuola a scuola per un monte ore complessivo di 30 ore. Alcune scuole distribuiscono l’orario dal lunedì al venerdì lasciando liberi sabato e domenica e considerando le ore di 55 minuti, altre hanno una frequenza di 5 ore giornaliere dal lunedì al sabato e altre ancora hanno un orario di cinque ore giornaliere più rientri al pomeriggio. In generale con l’autonomia scolastica si registra un’ampia varietà di soluzioni, mentre nella secondaria di secondo grado l’orario può essere spalmato su 5 o 6 giorni settimanali, (a Genova quest’anno si è verificata la chiusura al sabato di ottanta istituti superiori gestiti dalla Provincia di Genova «per contenere i costi del riscaldamento e dell’energia elettrica»). L’Italia è il Paese con il più lungo periodo di pausa estiva e sicuramente il clima gioca un ruolo importante.

Germania

Per gli italiani sarebbe un abominio: gli studenti tedeschi hanno «solo» sei settimane di vacanza d’estate. La settimana scolastica è generalmente corta (ma alcuni Länder hanno introdotto anche il sabato mattina); le ore settimanali si concentrano tradizionalmente in lunghe mattinate (di solito 5 ore, con intervalli tra una lezione e l’altra variabili tra i 5 e i 20 minuti a seconda dell’istituto scolastico). I pomeriggi sono dunque in generale liberi, anche se ultimamente sempre più scuole tengono le porte aperte fino alle 16 o 17: una scelta promossa dal governo federale, ma più pensata per le madri lavoratrici che per i figli.

Corea del Sud

E’ famosa per le performance dei suoi studenti, al top delle classifiche internazionali, un sistema scolastico lodato persino da Obama, che tre anni fa suggeriva di «ispirarsi ai sudcoreani che hanno ricostruito la loro nazione grazie alle riforme educative». E’ però famosa anche, insieme a Cina e Giappone, per il «forcing» nei ritmi scolastici imposti ai bambini fin dalla tenera età. In realtà le classi durano fino alle 3 del pomeriggio al massimo: il punto sono i carichi che si abbattono sul doposcuola privato: per stare al passo con compiti e programmi di studio, gli allievi passano da una ripetizione all’altra, al punto che il sindaco di Seoul ha proibito che si svolgano dopo le 10 di sera. E solo 6 studenti su 10 si dichiarano soddisfatti del sistema, contro gli 8 degli altri Paesi asiatici. La Corea del Sud detiene un record: il più alto numero al mondo di giorni di scuola all’anno.

Finlandia

E’ il sistema scolastico che sforna gli studenti più preparati d’Europa, e pertanto i ritmi scolastici sono morbidi: a livello settimanale, è la scuola più corta dei 34 Paesi OCSE e tutti gli alunni hanno diritto a una pausa di un quarto d’ora ogni 45 minuti di lezione. La scuola apre dal lunedì al venerdì, e chiude al massimo alle 3 del pomeriggio. Durante l’anno scolastico, sono quattro in totale le settimane di vacanza (oltre alle feste comandate), mentre dopo il duro inverno del nord, gli studenti se ne vanno in vacanza alla fine di maggio, per rientrare a fine agosto, dopo 10 o 11 settimane di vacanza.

Stati Uniti

Negli Stati Uniti la giornata scolastica nella scuola primaria in genere va dalle 8 alle 15-15.30, con un’ora di pausa pranzo. Nei cicli superiori l’orario va dalle 7.30 alle 14-14.30 e comprende sei lezioni da un’ora o quattro da 90 minuti, con 5 minuti di pausa tra le lezioni e una pausa pranzo di 30 minuti. Le attività extra curricolari e gli sport si svolgono nel pomeriggio. Nelle scuole pubbliche si fa lezione dal lunedì al venerdì. Chi frequenta gli «extra periods» – lezioni supplementari — entra alle 6.30 ed esce alle 15.30. Ai sessanta minuti di lezioni vengono sottratti sei minuti per consentire agli alunni di spostarsi nelle varie classi e per la pausa pranzo. E’ tra le nazioni, insieme all’Italia, che ha la pausa estiva più lunga.

Gran Bretagna

In Gran Bretagna la principale vacanza scolastica dura più o meno sei settimane in estate e molte decisioni sull’organizzazione scolastica sono prese in ambito locale. Il governo ha stabilito delle linee guida per quel che riguarda gli orari e le ore di lezione settimanali, con un minimo 24 ore per gli alunni con un’età compresa tra gli 11 e i 16 anni. Quasi tutte le scuole superiori garantiscono almeno 25 ore di lezione alla settimana. Le giornate scolastiche sono organizzate in modo autonomo dalle singole scuole, ma normalmente le lezioni si svolgono dalle 9 alle 12, con una pausa pranzo e altre due ore di lezione nel pomeriggio.

Più attenzione ai teenager

I due Paesi anglosassoni hanno in comune una forte volontà di cambiamento nel segmento della «high school» e un’attenzione elevata verso il problema del sonno, soprattutto per quanto riguarda gli adolescenti. In America si sta pensando infatti da tempo di regalare qualche ora di riposo in più ai teenager, proprio per amore dei loro ritmi di apprendimento e della loro salute. «I teenager hanno un orologio biologico differente, dice Terra Ziporyn Snider, cofondatrice di «Start School Later» (Cominciare la scuola più tardi), un gruppo sorto spontaneamente. In Gran Bretagna a iniziare la scuola più tardi qualcuno c’è già riuscito davvero: l’Università di Oxford ha promosso un esperimento che coinvolge oltre 30mila studenti tra i 14 e i 16 anni, che cominceranno le lezioni progressivamente più tardi, fino ad arrivare alle 10 di mattino. Nei test-pilota l’inizio posticipato delle lezioni ha provocato un miglioramento nelle performance accademiche degli studenti tra il 19% e il 50%. Lo studio, dalla durata di quattro anni, potrebbe costituire una vera e propria rivoluzione copernicana nel mondo della scuola.