FONTE: Corriere della Sera
AUTORE: Nicola Di Turi
DATA: 12 settembre 2015
CONVEGNO A SIENA
Un bravo prof di matematica insegna a risolvere i problemi. E a sbagliare
Rosetta Zan (Università di Pisa): «La matematica è una palestra che rende i ragazzi più forti. L’errore non è un fallimento ma il percorso necessario per arrivare alla soluzione»
di Nicola Di Turi
Siena - «Dovremmo osare di più e avere fiducia nell’intelligenza dei ragazzi. Invece continuiamo a banalizzare e a risparmiargli problemi. Ma è proprio questo che li porterà ad andare in crisi nella vita». La ricetta della professoressa Rosetta Zan non prevede alternative. Così come viene insegnata oggi, la matematica non lascia il segno. E invece dovrebbe rappresentare una sorta di palestra per la vita. Presidente della Commissione Italiana per l’Insegnamento della Matematica (CIIM) e docente di Matematica all’Università di Pisa, Rosetta Zan è intervenuta a Siena nella sei giorni di eventi organizzata dall’Unione Matematica Italiana (UMI) per il XX° Congresso dell’istituzione.
Conferenze e seminari scientifici sulle ultime frontiere della ricerca matematica, con oltre 500 scienziati e 12 conferenze generali ospitate dall’Università di Siena dal 7 al 12 settembre, a quattro anni dall’ultimo congresso dell’Unione Matematica Italiana. «Dal punto di vista didattico, a scuola si tende ad assegnare e a correggere esercizi tutti uguali, insegnando un percorso da seguire per non sbagliare. L’insegnante tende a evitare la complessità, invece la matematica è porsi problemi, argomentare, e mettere in atto processi di pensiero più importanti della soluzione finale», spiega al Corriere della Sera Rosetta Zan. Per invitare a pensare, spesso basterebbe solo riservare più spazio all’allievo e meno all’insegnante. Stimolare la discussione, anziché assegnare decine di esercizi. E scacciare anche la percezione dell’errore come fallimento.
Spiega il presidente Zan: «Nell’esercizio, l’errore è semplicemente l’indicatore di un fallimento, la prova di aver fatto qualcosa che non andava. Affrontando un problema più complesso, invece, si prova una situazione nuova, senza una procedura da seguire. Così l’errore è messo nel conto, e se da un lato è percepito come inevitabile, dall’altro si pensa già a come superarlo. Questo assegna responsabilità ai ragazzi e li prepara alle sfide della vita». Una differenza d’approccio, insomma, che dovrebbe coinvolgere anche l’insegnante. D’altra parte, «smettendo di considerare l’errore solo come un dramma da correggere, la sua interpretazione aiuterebbe l’insegnante a comprendere gli strumenti per intervenire», ragiona la professoressa Zan.
Al contrario, secondo la docente dell’Università di Pisa, gli insegnanti spesso tendono a risparmiare agli studenti la proposizione di problemi ritenuti complessi. Ma questo approccio non aiuta i ragazzi a formarsi. «Naturalmente è più semplice proporre esercizi ai ragazzi e insegnar loro dieci volte come si fa a risolverli. Ma in una società come questa, se i problemi vengono loro risparmiati, i ragazzi non sono attrezzati al fallimento, restano fragili e anziché interpretare un fallimento, vanno in crisi. La matematica e l’approccio per problemi hanno un valore formativo che va al di là della didattica», ragiona ancora il presidente della Commissione Italiana per l’Insegnamento della Matematica.
Ma evitare di problematizzare, puntando sulla reiterazione di fredde esercitazioni, non fa altro che accentuare anche il rapporto negativo con la matematica che molti conservano per tutta la vita. Responsabilità soprattutto dell’approccio prescrittivo, che restituisce un’immagine della matematica come di una scienza che prevede un prontuario di regole da applicare, per giungere alla soluzione finale senza incorrere in fastidiosi intoppi. «Il rapporto negativo di molti con la matematica nasce dall’idea che la materia sia un insieme di norme da seguire, senza uno spazio riservato alla creatività. Ma questa è solo una particolare visione della matematica, che naturalmente sta stretta a molti perché non incoraggia né lascia spazio alla persona», conferma Rosetta Zan.
Al contrario, secondo i risultati degli studi condotti dalla stessa Unione Matematica Italiana, gli insegnanti che provano a proporre situazioni più complesse ai ragazzi, riscontrano maggiore partecipazione soprattutto dagli allievi più passivi, scoprendo potenzialità inaspettate proprio da chi solitamente resta ai margini. «Se si dà loro un ruolo più centrale e ci si fida della capacità di muoversi da soli, tutta la classe diventa più reattiva e i ragazzi lavorano volentieri. Spesso l’insegnante pensa di aiutarli porgendo richieste banali e semplici, invece sono proprio queste ad annoiare e togliere spazio alla creatività personale. Il consiglio è di osare di più e avere fiducia nella loro intelligenza».
@nicoladituri