FONTE: Corriere della Sera
AUTORE: Lorella Carimali
DATA: 17 maggio 2019
Come insegnare la matematica alle maestre? La proposta della super prof Lorella Carimali, docente di matematica e fisica al liceo scientifico Vittorio Veneto di Milano, è stata candidata al Global Teacher Prize, il premio Nobel per l’insegnamento
Quattro studenti italiani su 10 che frequentano il terzo anno della scuola media non raggiungono un livello sufficiente di competenza numerica, con una prevalenza di ragazze al 41,7% contro il 38,5% dei ragazzi. Questi giovani sono destinati, per la maggior parte, a diventare da adulti degli analfabeti funzionali, incapaci di applicare le abilità matematiche nelle situazioni della vita quotidiana, di leggere e comprendere la società complessa nella quale si troveranno a vivere, di prendere decisioni autonome senza subire condizionamenti. Se a questi numeri aggiungiamo quelli della dispersione scolastica e dei NEET (quota di popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non è né occupata né inserita in un percorso di istruzione o di formazione), la situazione diventa molto allarmante perché si tratta di una moltitudine di giovani a cui viene negata la speranza di poter progettare il proprio futuro, di sognare e di cambiare il proprio modo di vedere se stessi ed il mondo. Come diceva Tullio De Mauro, «l’alfabetizzazione di base, l’alfabetizzazione numerica e matematico-scientifica, le competenze di problem solving, le abilità informatiche, rappresentano elementi cruciali per vivere e lavorare nelle società moderne, caratterizzate da un crescente sviluppo delle tecnologie informatiche e della comunicazione, e al contempo diventano la chiave di accesso al mondo del lavoro e all’inclusione sociale». Come porre rimedio a tutto questo?
Per individuare il primo step da affrontare, citerei altri dati che sono apparsi sui giornali alcuni mesi fa. La Varkey Foundation, fondazione senza fini di lucro che opera nel campo dell’istruzione, conduce dal 2013 un’analisi sulla percezione sociale della figura dell’insegnante in 35 Paesi diversi, monitorando il legame tra lo status dei docenti e il rendimento degli alunni. Purtroppo lo status degli insegnanti in Italia è fra i peggiori. Solo Israele e Brasile si collocano più in basso. Il punteggio estremamente basso ottenuto dai docenti è in linea con il pessimo piazzamento degli studenti italiani nei test Ocse-Pisa. Se a questa ricerca uniamo la nostra conoscenza sul fatto che le insegnanti e gli insegnanti di qualsiasi ordine si sentono abbandonati a se stessi e in alcuni casi anche denigrati, capiamo che il primo imprescindibile passo è quello di ripartire dalla valorizzazione dei docenti. Ovviamente anche un adeguamento degli stipendi alla media europea sarebbe importante, ma in attesa del reperimento delle risorse si potrebbe partire intanto con soluzioni attuabili da subito.
A mio avviso, il primo atto dovrebbe essere quello che il governo convochi i sindacati per trovare insieme un modo per iniziare un percorso di riqualificazione del ruolo. Si potrebbe, ad esempio, introdurre finalmente una qualche forma di carriera. In particolare si potrebbe prevedere, per i docenti con maggiore esperienza e capacità innovativa, quelli dai 50 anni in su, una scansione oraria suddivisa per metà a scuola e per un’altra metà all’università, dove potrebbero mettere il loro know how a disposizione dei futuri insegnanti per evitare la formazione di quelli che vengono definiti «bias» cognitivi, cioè i costrutti fondati su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie. Uno per tutti: l’idea che per l’apprendimento della matematica ci sia bisogno di un quid che solo alcune persone hanno, prevalentemente uomini.
Le prime vittime di questi condizionamenti sono le maestre: le statistiche ci dicono che chi sceglie il percorso di Scienze della formazione primaria (la laurea per diventare maestre, ndr) lo fa anche perché si ritiene non portata per seguire un percorso ad esempio scientifico. La psicologa americana Carol Dweck ci dice che questa convinzione passa senza saperlo attraverso azioni e parole anche alle studentesse e agli studenti, quindi è fondamentale invertire la rotta e far capire che questo è solo uno stereotipo. Con un insegnamento della matematica da parte di colleghe anche di ordini differenti potremmo invertire la rotta e far capire loro che le abilità cognitive non sono innate, ma sono il risultato delle stimolazioni ambientali e delle esperienze di apprendimento.
Grazie a questa ipotesi di valorizzazione del know how degli insegnanti ritengo che si potrebbero ottenere i seguenti importanti risultati:
gli insegnanti sarebbero valorizzati sia sul piano intellettuale sia sul piano economico;
-il costo dell’operazione sarebbe nullo, perché oggi le figure occorrenti sono già coperte da professori universitari (non intendo quindi un semi esonero con il solo ruolo da tutor come accade oggi);
-più giovani verrebbero attratti dalla professione di docente, con possibilità di carriera anche in università ai fini della ricerca;
-si otterrebbe il vantaggio di far crescere i docenti inclusi nel programma, di valorizzare il loro know-how per condividerlo con le nuove leve;
-si liberebbero posti di lavoro per l’inserimento dei giovani;
-la popolazione avrebbe la giusta percezione del lavoro del docente.