12 trucchi per risparmiare denaro crescendo i figli

FONTE: The Wall Street Journal

AUTORE: Veronica Dagher

DATA: 22 agosto 2025

12 trucchi per risparmiare denaro crescendo i figli, da genitori intelligenti che l'hanno fatto

Fare da babysitter può essere gratuito e rifiutare le richieste di snack al supermercato può essere divertente

Questa settimana vi raccontiamo quanto costa crescere un figlio nel 2025 e come le famiglie stanno riuscendo a farcela.

Essere genitori richiede una buona dose di creatività: per intrattenere i figli, per favorire il loro apprendimento, per fargli mangiare le verdure.

Applicare un po' di creatività al risparmio può aiutare ad alleviare le enormi spese legate all'educazione dei figli . E potrebbe anche essere divertente. Abbiamo chiesto a genitori con figli di tutte le età i loro migliori trucchi per risparmiare.

Ecco i nostri preferiti (modificati per chiarezza e lunghezza):

 

Rebecca Palmer, McLean, Virginia | Età dei bambini: 5 e 8 anni 

Le babysitter nella nostra zona costano 25 dollari l'ora, quindi una serata romantica può facilmente raggiungere i 100 dollari prima ancora di uscire di casa. Invece, organizziamo uno scambio di babysitter con un'altra coppia. Una coppia mette a letto i figli e, una volta che i bambini si sono addormentati, un genitore dell'altra coppia si avvicina per fare da babysitter mentre i genitori escono per una serata romantica. Il genitore in visita può rilassarsi, guardare uno spettacolo ed è semplicemente presente nel caso in cui i bambini si sveglino o ci sia un'emergenza. Nel frattempo, il partner rimane a casa con i propri figli. Un'altra sera, si scambiano i ruoli in modo che la seconda coppia abbia il suo turno. Questo tipo di accordo era incredibilmente comune tra i nostri amici genitori durante la laurea e molti di noi lo fanno ancora oggi.

 

Kelly Palmer, Chicago | Età del bambino: 2

Ho aperto un conto di risparmio per l'università 529 quando è nato mio figlio e ho condiviso il link per il contributo con amici e familiari. (Il piano in genere genera un link diretto alla pagina delle donazioni di tuo figlio, in modo che altri possano contribuire, ma non dà loro la possibilità di accedere ai dettagli del tuo conto, come il saldo). Ci ha tolto la pressione di dover risparmiare durante il primo anno di vita di nostro figlio e ha protetto la nostra casa da un'ondata di giocattoli e vestiti che il nostro bambino avrebbe presto dovuto indossare. Continuiamo a condividere il link ogni anno prima del compleanno di nostro figlio. Per il suo prossimo compleanno, sarebbe entusiasta di aprire l'ennesimo camion dei pompieri giocattolo, ma un giorno si renderà conto che un contributo al suo 529 è stato un regalo più prezioso.

Grant Gallagher, Mount Olive, NJ | Età dei bambini: gemelli di 5 anni

Le immagini di personaggi dei cartoni animati sulle confezioni di succhi di frutta o sugli snack al supermercato sono sempre un'attrazione per i nostri figli. Evitiamo gli acquisti impulsivi tenendo a casa una scorta di adesivi dei personaggi dei negozi a un dollaro. Quando i nostri figli vedono articoli a tema, diciamo semplicemente: "Ne abbiamo uno ancora migliore a casa!". Poi, applichiamo gli adesivi a ciò che già possediamo. I miei figli sono semplicemente felici di ricevere qualcosa di simile a ciò che desideravano.

 

Linda Rogers, San Diego | Età dei bambini: 7, 9, 12, 14 

Le mie quattro ragazze hanno opinioni molto specifiche sulle borracce (devono essere di marche specifiche, costano tutte tra i 30 e i 50 dollari l'una). Ho notato un sacco di borracce di lusso, usate pochissimo, nell'ufficio oggetti smarriti della scuola. Ho chiesto informazioni e, se non vengono reclamate, vengono spedite al negozio dell'usato locale ogni pochi mesi. Così siamo andate in quel negozio dell'usato e, come previsto, tutte le marche che volevano erano lì a una frazione del prezzo. Ci andiamo ogni volta che hanno bisogno di una borraccia. Scegliamo quelle in acciaio inossidabile, le igienizziamo e sostituiamo sempre le cannucce.

Michael Tannenbaum, Greenwich, Connecticut | Età dei bambini: 3 e 5 anni

Dato che le compagnie aeree di solito imbarcano gratuitamente i seggiolini auto, metto giacche e altri indumenti nella borsa del seggiolino. Finora nessuna compagnia aerea ha obiettato. Questo semplice trucco mi evita di pagare un costoso bagaglio da stiva. Inoltre, significa che non devo noleggiare i seggiolini auto una volta arrivati ​​a destinazione.

 

Maggie Klokkenga , Morton, Ill. | Età dei bambini: 10, 11, 12

Il materiale scolastico si accumula (soprattutto i pennarelli cancellabili a secco). Alla fine dell'anno scolastico, una volta che i miei figli hanno scaricato tutto il materiale scolastico sul tavolo della cucina, lo controllo e lo confronto con la lista del materiale scolastico dell'anno successivo, fornita dalla nostra scuola elementare. Questo fa tre cose: svuoto il tavolo della cucina di tutto il materiale scolastico per l'estate; identifico il materiale scolastico che hanno già per il prossimo anno scolastico, così risparmio denaro non comprandolo; ora so cosa mi serve durante i saldi di fine anno scolastico, un paio di settimane prima dell'inizio delle lezioni.

 

Cherie Stueve , Bay Area, California | Età dei bambini: 34 e 35 anni

A partire dal liceo, abbiamo trasferito automaticamente il denaro di cui i nostri figli avevano bisogno, sia per le necessità primarie come il materiale scolastico, sia per le spese divertenti come i pasti con gli amici, sui loro conti correnti, di cui eravamo comproprietari. Abbiamo stimato le spese annuali dei nostri ragazzi, come vestiti, materiale scolastico, attività e regali, le abbiamo divise per due e abbiamo impostato i trasferimenti il ​​1° e il 15 per imitare i tempi e la regolarità di uno stipendio. Erano responsabili delle decisioni di spesa e questo ha insegnato loro a pianificare nel tempo le spese più importanti, come il ballo di fine anno. Mi ha fatto risparmiare denaro evitando acquisti dell'ultimo minuto.

 

 

Adam Yosim, Boca Raton, Florida | Età dei bambini: 2 e 6 anni

Se andate in gita con la famiglia in un parco a tema, comprate i souvenir in anticipo. Prima della prima visita della mia figlia maggiore a Disney World, io e mia moglie abbiamo ordinato giocattoli a tema Disney, come Minnie e Buzz Lightyear, su Amazon e gliene abbiamo regalato uno ogni mattina prima di andare al parco. Non ha mai notato la differenza. Ci ha risparmiato di pagare un sovrapprezzo e di fare lunghe file al negozio di souvenir. Per il suo sesto compleanno, abbiamo fatto lo stesso con un vestito di Jasmine: metà prezzo, stessa magia.

 

Ryan Bayonnet, Akron, Ohio | Età del bambino: 9 mesi

Abbiamo creato una "catena" di genitori con figli della stessa età per tramandare vestiti, giocattoli e libri. La catena include famiglie i cui figli sono di diversi mesi più grandi e più piccoli dei nostri. Le famiglie i cui figli sono diventati troppo grandi per gli articoli li passano a quelli di noi che sono appena più indietro in età. I ​​membri più anziani della catena eliminano il disordine dalla loro casa e le famiglie con i bambini più piccoli risparmiano un sacco di soldi.

 

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Educazione dei figli, quei rimproveri che aiutano a crescere (se sai sgridare i bambini nel modo giusto)

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Livia Gamondi

DATA: 24 giugno 2025

Educazione dei figli, quei rimproveri che aiutano a crescere (se sai sgridare i bambini nel modo giusto)

di Livia Gamondi

Guardarli negli occhi, essere brevi, coincisi, chiari. Scegliere il momento giusto, mai alzare la voce, dare sempre una spiegazione. E concludere il discorso con un abbraccio o una carezza. Le ramanzine per essere efficaci devono seguire delle regole. Una psicoterapeuta spiega quali sono

Le ramanzine per essere efficaci devono seguire delle regole. Una psicoterapeuta spiega quali sono

Che siate i genitori più pazienti, più comprensivi del mondo poco importa. Avere figli implica che, prima o poi, vi ritroverete a doverli rimproverare per le ragioni più varie: perché hanno preso il gioco di un amichetto o perché, come al solito, i giocattoli sono sparsi per tutta la casa. Ma una sgridata dovrebbe sempre essere fatta in modo costruttivo, con l’obiettivo di educare e nel momento più appropriato, con tono calmo e concentrandosi sul comportamento e non sul bambino.

 

Mettersi alla sua altezza 

Riprendere un bambino per i suoi errori serve a farlo crescere ed è necessario per spiegargli che ha fatto una cosa sbagliata. Ma va usata la forma corretta: va guardato negli occhi, meglio mettendosi alla sua altezza, e non bisogna mai alzare la voce. Il rimprovero spiegato e motivato è una tappa necessaria per crescere più consapevoli. Tanto più è piccolo tanto più è importante essere brevi, concisi e soprattutto chiari: pochi concetti, esposti semplicemente, usando esempi perché non è ancora in grado di comprendere temi complessi (se si esprimono ragionamenti troppo articolati, il bambino tende a dimenticarli facilmente).

 

Scegliere il momento giusto

Per i genitori imparare a redarguire i figli non è immediato, è un percorso che richiede tempo e pazienza. «Quando un bambino fa qualcosa di sbagliato o che non dovrebbe è importante parlare con lui e spiegare il perché di ciò che ha fatto non va bene» chiarisce Manuela Trinci, psicoterapeuta dell’età evolutiva e referente scientifico Ludobiblio dell'Ospedale pediatrico Meyer, Firenze. «Il piccolo non deve mai essere né umiliato né minacciato perché in questo modo non capirà il motivo alla base dell’errore, e ricorderà solo la punizione che spesso non riesce a comprendere appieno. È necessario scegliere il momento giusto ed evitare di farlo in pubblico o quando si è arrabbiati. E soprattutto evitare di dire cose del tipo “sei stupito o non capisci nulla”».

A ciascuna età il suo rimprovero

Il bambino è in continua evoluzione e la crescita porta anche a modificare i rimproveri e le ragioni per cui vengono fatti. «In ogni età della vita di un bambino quando è necessario un rimprovero la cosa importante è che il genitore non alzi mai la voce e tantomeno urli. Infatti, questo atteggiamento non viene compreso e per il piccolo non significa autorevolezza, ma lo spaventa e con il passare del tempo se diventa il “modo di sgridare” verrà considerato solo come il modo di farlo e perderà di efficacia, se mai l’avesse avuta». Durante la crescita cambiano naturalmente le ragioni che possono portare a un rimprovero: nei bambini di 5 o 6 anni possono esserci degli episodi che danneggiano i compagni e in questi casi bisogna dedicare del tempo per spiegare perché quello che hanno fatto è sbagliato e indicare quale può essere il modo giusto di farlo. È necessario anche trasmettere il valore del chiedere scusa quando si è fatto qualcosa di sbagliato o che ha offeso una persona.

 

La spiegazione è sempre indispensabile 

«Quando i figli diventano più grandicelli aumentano le capacità di elaborazione dei concetti e di comprensione, ma continua a essere necessario che l’adulto spieghi il motivo del rimprovero. E una volta fatto, un abbraccio o una carezza possono essere utili per dare sicurezza, ribadendo l’affetto del genitore». Per i bambini è fondamentale conoscere i propri limiti ed esserne consapevoli, devono imparare a riconoscere le loro esigenze ma anche quelle degli altri, essere in grado di comprendere il valore dell’autorità e riuscire ad accettarla. «Tra i difficili compiti dei genitori c'è anche quello di favorire che i figli si attrezzino ad affrontare adeguatamente la vita, nel rispetto di sé stessi e degli altri. Lo scopo di una sgridata è far comprendere che certi comportamenti inappropriati, i cosiddetti "cattivi", devono essere evitati, mentre è importante adottare atteggiamenti appropriati, i "buoni", per il bene proprio e della comunità in cui si vive», conclude Trinci.

 

24 giugno 2025 ( modifica il 24 giugno 2025 | 09:57)

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Crepet ai genitori: “Trattate i figli come degli scemi, così gli impedite di crescere”

FONTE: Orizzonte Scuola

AUTORE: Redazione

DATA:  22 settembre 2025

Nel corso di un reel pubblicato sul proprio profilo, Paolo Crepet ha puntato il dito contro un atteggiamento sempre più diffuso tra i genitori: la tendenza a proteggere i figli in maniera eccessiva, fino a toglier loro la possibilità di crescere.

L’illusione di una vita senza sconfitte

Perché nella vita si perde e si vince. Ma noi abbiamo pensato che ci debba essere una terza cosa. La terza cosa si chiama NC, non classificabile” dice Crepet, ironizzando sulla pretesa di annullare ogni esperienza negativa per i ragazzi. Secondo lo psichiatra, molti genitori sembrano incapaci di accettare che la vita comporti inevitabilmente anche fallimenti, e cercano di trasformare ogni esito in un territorio neutro, mai troppo netto, mai davvero sfidante.

L’eccesso di cure quotidiane

Crepet sottolinea poi il paradosso della routine familiare: sveglie anticipate, orari da rispettare, colazioni preparate con meticolosità. “Avete girato lo zucchero dentro il caffe” osserva, sottolineando come ogni gesto finisca per diventare un atto di sostituzione. Non c’è spazio per l’autonomia, perché il figlio deve essere sollevato da qualsiasi responsabilità, anche la più piccola.

La protezione che diventa controllo

Secondo Crepet, questo modo di accudire i bambini non nasce dalla loro fragilità, ma dalle paure degli adulti. “Siccome sono scemi, bisogna proteggerli. Ma è ovvio. Cosa volete? Che vadano a scuola con il loro zainetto? Ma no, ci deve pensare la mamma, la nonna, la zia” dice con tono provocatorio. L’eccesso di premure, continua, non si limita alle questioni pratiche: diventa un’ansia collettiva che impedisce ai figli di sperimentarsi.

Genitori sotto pressione

Psicolabili. Oddio, siamo noi che non reggiamo” aggiunge Crepet, ribaltando la prospettiva. Non sono i ragazzi a non sopportare il peso della vita, ma i genitori che, incapaci di gestire le proprie ansie, finiscono per trasmetterle ai figli. Il risultato è una generazione a cui viene negato il diritto di sbagliare e di imparare dai propri errori.

Galimberti: “Troppi alunni con diagnosi, scuole come cliniche”

FONTE: tg24.sky.it

AUTORE: Redazione

DATA: 25 febbraio 2025

Il filosofo e psicanalista prende posizione sull'aumento delle diagnosi che riguardano i Disturbi dell'apprendimento tra gli studenti già alle elementari: "La colpa è dei genitori, non interessa la formazione ma la promozione"ta articolo

"La scuola elementare sembra che sia diventata una clinica psichiatrica, sono tutti discalculici, disgrafici, dislessici, asperger, autistici, ma chi l’ha detto? Ai tempi miei non c’erano queste condizioni, c’era uno che era più bravo e quell’altro un po’ meno bravo che poi si esercitava e diventava bravo. Perché patologizzare tutte le insufficienze?" Sono le parole pronunciate del noto filosofo e psicanalista Umberto Galimberti di fronte a un pubblico di genitori e imprenditori durante un evento sulla scuola organizzato da Confartigianato Vicenza, che stanno facendo discutere in queste ore.

"È la strada dell'ignoranza, purché siano promossi"

Per Galimberti l’aumento esponenziale delle certificazioni per i Disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa) tra gli studenti sarebbe dovuto più all’interesse dei genitori nell’agevolare il percorso scolastico dei figli piuttosto che a reali difficoltà. “È la strada dell’ignoranza, purché siano promossi - ha concluso - perché ai genitori interessa questo, non la formazione“. Parole che, come prevedibile, hanno acceso un polverone online: in molti hanno chi criticato il suo pensiero, definendolo semplicistico e superficiale, e difeso l’importanza delle certificazioni per garantire un percorso scolastico adeguato agli studenti con Bes (bisogni educativi speciali).

Lo sport in adolescenza è il primo fattore protettivo per la salute di corpo e mente

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Chiara Bidoli

DATA: 19 settembre 2025

Praticare un’attività regolarmente, soprattutto se in team, migliora l’autostima e la capacità di relazionarsi con gli altri. Il rischio per i giovani è che il risultato e la perfomance rappresentino stimoli distruttivi e non benefici

Correre, saltare, giocare all’aria aperta sin dalla prima infanzia e poi praticare uno sport sono, insieme a una sana ed equilibrata alimentazione, i pilastri della salute a breve e a lungo termine. Secondo le linee guida dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) fra i 3 e i 17 anni si dovrebbe praticare un’attività fisica quotidiana di intensità moderata-vigorosa per almeno un’ora al giorno. Il che significa, per i più piccoli gioco libero, che allenare naturalmente la coordinazione dei movimenti, e per i più grandi, scegliere un’attività sportiva che abbia effetti benefici non solo sulla salute fisica, ma anche mentale. In particolare, in pre-adolescenza e adolescenza, praticare uno sport, specie se di squadra, permette di aumentare l’autostima, di migliorare la gestione dei rapporti con i coetanei e ha impatti positivi sulla qualità del sonno, oltre a tenere lontane cattive abitudini come fumo e alcol.

Praticare sport in adolescenza può proteggere da dipendenze e isolamento ma, perché abbia un impatto significativo, dev’essere iniziato «prima»: è soprattutto nell’infanzia che si adottano abitudini che poi si consolideranno negli anni, ed è in questa fase della vita che si orientano le traiettorie di salute di una persona. Se guardiamo alla situazione in Italia i dati, però, non sono confortanti: il nostro Paese è tra i primi per obesità infantile (17%) e sovrappeso nei bambini fra i 7 e i 9 anni (39%) (fonte European health report 2024, Oms). Tra questi ultimi il 70% trascorre almeno due ore al giorno davanti a uno schermo, a scapito di un’attività motoria, percentuale che tende ad aumentare con l’età, soprattutto tra i soggetti più svantaggiati a livello socioeconomico.

Gioco di squadra contro ansia e frustrazioni

Praticare regolarmente un’attività fisica è fonte di benessere, e questo gli italiani sembrano averlo ben compreso. Negli ultimi 30 anni è in aumento la pratica sportiva continuativa che, per quasi metà del campione interpellato, corrisponde ad almeno un allenamento a settimana. Una consapevolezza che però sembra non appartenere agli adolescenti: il cosiddetto dropout sportivo riguarda soprattutto loro, ed è in aumento. Quali sono le ragioni per cui i ragazzi abbandonano lo sport, che nella fase di passaggio dall’infanzia all’età adulta può essere un’esperienza formativa? Rispondono al Corriere Ilaria Polenghi, specialista in Psicologia Clinica dell’Università Vita-Salute San Raffaele e Stefano Faletti, formatore nazionale del Csi (Centro Sportivo Italiano).

«Lo sport di squadra è un buon alleato nel periodo delicato dell’adolescenza perché promotore di benessere e salute ed è uno dei fattori protettivi per eccellenza rispetto ad alcune psicopatologie: aiuta a gestire ansia, rabbia e le fatiche tipiche di questa fase della crescita — spiega la psicologa —. In alcuni casi, però, può essere anche un fattore di rischio, specie in quelle situazioni in cui la comunicazione è poco sana, molto giudicante, in contesti estremamente performanti nei quali può anche diventare il fattore scatenante di alcune fragilità. Per questo è prioritario costruire una buona rete intorno ai ragazzi così da aiutarli nella regolazione delle emozioni».

Educatori prima di tutto

Al centro della rete di sostegno ci sono gli allenatori che hanno bisogno di strategie nuove per essere efficaci con i giovani di oggi.
«Il ruolo degli educatori sportivi è cambiato molto negli ultimi anni soprattutto perché dietro ai ragazzi, spesso, non ci sono più le famiglie e c’è una povertà di valori condivisi — spiega il formatore sportivo—. Fino a qualche anno fa quando si riprendeva un giocatore perché svogliato, la sgridata o la punizione serviva per stimolarlo a fare meglio. Oggi di fronte a un commento negativo è facile che il ragazzo preferisca cambiare o abbandonare».

Perché i giovani oggi di fronte alle difficoltà tendono a bloccarsi e scelgono di non mettersi alla prova?
«L’idea che mi sono fatto è che valori come spirito di sacrificio, solidarietà e propensione alla collaborazione stiano venendo meno e abbiano lasciato maggiore spazio a egocentrismo, egoismo e a una conclamata incapacità di rapportarsi con gli altri. Basta guardarli quando affrontano le sfide con i videogiochi. Lo fanno preferendo i livelli più bassi dove risultano sempre vincitori. Non c’è da stupirsi, quindi, se poi non riescono ad affrontare la frustrazione di un fallimento reale», continua l’esperto.

In adolescenza il livello sportivo si alza, spesso, a scapito del divertimento. «Con la crescita dei ragazzi ci si dimentica che, oltre alle prestazioni e agli obiettivi da raggiungere, conta in egual modo l’aspetto ludico — sottolinea Ilaria Polenghi —. E questo vale anche per i professionisti. Che significa prevedere degli attimi di relax intorno al momento della partita. Ne è un esempio Sinner che, prima di entrare in campo, è solito giocare a palla con il suo staff. La parte ludica è fondamentale perché è quella che tiene “agganciati” i ragazzi al contesto sportivo e permette di affrontare il match con la giusta serenità. Anche ai genitori va ricordato che ai giovani, oltre agli allenamenti, serve vivere dei momenti più leggeri, in grado di allentare la tensione e mantenere alta la motivazione».

 

La gestione della rabbia

Come gestire la frustrazione sul campo che, talvolta, si trasforma in rabbia?
«In presenza di un discontrollo emotivo di un giocatore che compie un’azione “eccessiva” durante il gioco è necessario che intervenga non solo lo staff sportivo, che dovrebbe avere gli strumenti corretti per gestire questo genere di episodi. Le cose funzionano di più quando riesce il gioco di squadra, non solo tra giocatori, ma tra allenatori, staff e genitori. Il ragazzo che ha sbagliato, o che ha subito un’azione violenta da parte di un avversario, può essere accompagnato, sia singolarmente che con il gruppo, nella rielaborazione dell’esperienza negativa vissuta. Allenatori e preparatori valuteranno che cosa è più efficace fare a livello educativo e in alcuni casi può essere necessario ricorrere a uno specialista, soprattutto se il livello di frustrazione rimane alto nel tempo. Non sempre, però, viene valutata questa possibilità. Si ricorre facilmente a un fisioterapista per un problema muscolare, mentre, molto meno, ci si rivolge a uno psicologo sportivo se il problema è di natura mentale», continua l’esperta.

Livelli di performance

Dietro all’aggressività in campo, in molti casi, c’è la fragilità di chi non ha gli strumenti per affrontare le difficoltà e regolare le emozioni. «Ci troviamo di fronte, sempre più spesso, a “genitori spazzaneve” che cercano di liberare la strada del figlio dai problemi o sofferenze, ma questo non li allena ad affrontare i problemi della vita — spiega Faletti —. Ed è così che la fragilità può diventare rabbia, violenza, arroganza. Di fronte a un ostacolo i ragazzi di oggi rispondono malamente oppure si arrendono. In alcuni casi arrivano a cambiare squadra perché si sentono incompresi, ma nella maggior parte dei casi sono destinati a non trovare mai una realtà in linea con le loro, false, aspettative. E poi c’è il tema del ruolo. All’interno di una squadra, quello da “primo attore” è per pochi, ma non tutti accettano di essere al servizio del gruppo. In questi casi molti ragazzi anziché prendere ispirazione dai migliori, preferiscono rimuginare sulla loro condizione dando la colpa alla sorte o agli allenatori, per poi scegliere di cambiare squadra o abbandonare lo sport».

Ansia da prestazione

La «generazione ansiosa» descritta nel libro omonimo dallo psicologo statunitense Jonathan Haidt affronta con difficoltà le sfide, anche nell’ambito sportivo. Come aiutarla? «Per prima cosa occorre evitare di minimizzare le emozioni e il vissuto che sta provando il ragazzo ma, piuttosto, usare frasi empatiche come, per esempio, “dev’essere una sfida per te affrontare questa gara”, “è normale sentirsi così, ti capisco”, l’approccio dev’essere sempre positivo. Al posto di “calmati” si può dire “respira”, incoraggiando il ragazzo a visualizzare un ricordo positivo, una situazione in cui si è sentito bene, non necessariamente una vittoria, così che possa riprendere consapevolezza del proprio corpo e rilassarsi», consiglia la psicologa. E poi ci sono gli allenatori che devono, per primi, accettare gli errori dei loro atleti.

«Senza errori non si impara, ma se l’errore è vissuto solo come fallimento il ragazzo non può apprendere e questo genera ansia. Per insegnare a rialzarsi di fronte a una delusione andrebbe insegnato che cos’è “la vittoria”, che non è necessariamente, o solo, vincere la partita ma, come per i maratoneti, dare il proprio massimo e migliorare rispetto al proprio record personale, alle proprie capacità», sottolinea il formatore. Prima di ricominciare l’anno sportivo è importante che i genitori si interroghino su ciò che serve davvero ai figli. «Non tutti i giovani si sentono a proprio agio nell’agonismo e possono gestire serenamente prove ad alta intensità. Per questo è importante osservare il ragazzo che abbiamo davanti e pensare al suo benessere, assecondando le sue inclinazioni naturali. Il successo sportivo non è mai più importante del benessere psicologico, anche perché se il benessere psicologico viene meno, il successo sportivo non arriva o non dura. Non è il risultato sportivo a determinare il valore di un’atleta», conclude la Polenghi.

Consigli per gli allenatori

Un buon allenatore deve aiutare il ragazzo a individuare gli obiettivi, mantenendo un atteggiamento positivo. Un portiere, per esempio, dovrà concentrarsi sul parare un rigore, non sulla possibilità che l’attaccante sbagli. E poi bisogna aiutare i ragazzi a dare attenzione al momento, senza pensare al domani: la troppa frenesia porta a bruciare le tappe. Il miglioramento sportivo, è provato, avviene alternando lavoro e riposo ed è proprio il recupero che determina l’obiettivo. A livello mentale ci sono momenti in cui bisogna spingere e altri in cui è necessario staccare la spina. L’allenatore deve capire quando accelerare e quando consolidare ciò che si è appreso. E poi è necessario che ciascuno, compresi i genitori, accetti il suo ruolo senza invadere altri campi ma facendo sempre un gioco di squadra», spiega Stefano Faletti, formatore nazionale CSI.

Consigli per i genitori

«Il punto di vista dei genitori dev’essere sempre e solo fuori dal campo, che significa osservare quello che succede senza mai intervenire da un punto di vista tecnico. I genitori dovrebbero fare il tifo per i propri figli, osservare ed ascoltare. Valutare, in base alla situazione, se intervenire con un supporto attivo (fornendo consigli) o più improntato all’autonomia. I ragazzi hanno bisogno di tempo per elaborare un’esperienza per loro importante, devono avere un margine di autonomia in cui sperimentare delusioni e fallimenti. Solo quando sono in grado di tradurre le loro emozioni in parola possono essere guidati in una riflessione che li aiuti ad aumentare la consapevolezza di ciò che hanno vissuto. Può, invece, essere utile condividere i propri insuccessi con i figli. Uno dei modi migliori per trasmettere un “modello di resilienza” che li aiuti a capire che fa tutto parte del percorso di crescita», spiega Ilaria Polenghi psicologa, Univ. Vita-Salute San Raffaele.

Il ruolo di endorfine, serotonina e dopamina

Praticare uno sport o fare attività fisica regolarmente durante il periodo di crescita, in cui avvengono tanti cambiamenti fisici e psichici, ha un ruolo importante anche per lo sviluppo del cervello. «Da un punto di vista neurobiologico muoversi stimola il rilascio di endorfine, della serotonina e della dopamina, che sono neurotrasmettitori legati al benessere, alla regolazione dell’umore, alla parte cerebrale che attiva “la motivazione” che guida le nostre azioni — spiega la psicologa Ilaria Polenghi —. Tra gli effetti dello sport c’è anche la riduzione dell’ansia e dello stress tantoché muoversi ha un effetto ansiolitico, particolarmente utile per supportare le fragilità, in aumento, delle nuove generazioni. L’attività sportiva consente a corpo, mente ed emozioni di agire insieme e permette di vivere nel presente, nel mondo reale dell’offline, in cui poter rimanere concentrati sul “qui e ora” senza dover pensare al domani che, come sappiamo, è motivo di stress e incertezze per l’intera società, ma soprattutto per i più giovani.

«A questo si aggiunge il valore che un’attività sportiva dà a livello relazionale e identitario. Lo sport offre uno spazio in cui i ragazzi possono mettersi alla prova, affrontare le proprie insicurezze, sviluppare capacità come resilienza, gestione della frustrazione, disciplina. Se poi si pratica un’attività di squadra, è lo spazio ideale per imparare a comunicare, a collaborare, a rispettare il proprio ruolo e quello degli altri, così come è un’esperienza che obbliga ad accettare regole e decisioni che poi tornano utili dentro e fuori dal campo di gioco. Perché si possa beneficiare degli effetti dello sport ha un ruolo cruciale l’allenatore che deve vedere il singolo anche nel gruppo e tenere presente che ognuno ha le sue sensibilità. Alcuni ragazzi hanno bisogno di toni più decisi, con altri è più efficace ritagliare un momento dedicato per confidarsi e commentare il da farsi, ma a bassa voce. In generale contano soprattutto i gesti, che non devono mai essere aggressivi, giudicanti e poco empatici».

Le sfide del Centro Sportivo Italiano

«Oggi più che mai, il CSI è chiamato ad affrontare sfide cruciali, prima fra tutte quella del contrasto alla sedentarietà, fenomeno in crescita, anche tra i più giovani, nonostante una maggiore consapevolezza sugli stili di vita sani. Con circa 14 mila società attive in tutta Italia, il Centro Sportivo Italiano apre ogni giorno le porte a tutti, indipendentemente da abilità, provenienza o condizione sociale: questo impegno per un’inclusione concreta nasce dalla nostra visione dello sport come strumento di giustizia sociale. Ma perché questi obiettivi possano essere raggiunti, occorre prima di tutto difendere la tenuta dei valori sportivi autentici: rispetto, gioco di squadra e lealtà. Restituire ai bambini e ai ragazzi il diritto di giocare, crescere e divertirsi attraverso la pratica sportiva significa promuovere il loro benessere fisico e psicologico e, allo stesso tempo, difendere il futuro dello sport stesso», ha dichiarato Vittorio Bosio, presidente nazionale del CSI.

13 settembre 2025

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Attività extrascolastiche al via: guida per la scelta tra i desideri di genitori e bambini

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Valentina Rorato

DATA: 15 settembre 2025

Tennis, basket, calcio e gli altri: quali criteri adottare? Divertimento o apprendimento? I consigli della pedagogista per non privilegiare solo le aspettative degli adulti

A settembre si torna a scuola, ma riprendono anche tutte le attività extrascolastiche. Corsi inglese, di musica, di tennis, per diventare dei piccoli Sinner, di danza, calcio e tutto ciò che possa aiutare lo sviluppo di passioni, talenti e competenze trasversali fondamentali.

La scelta giusta

Ma come si scelgono? Bisogna assecondare i desideri dei bambini o il genitore deve cercare di imporre le soluzioni, a suo avviso, migliori? «È fondamentale ricordare, specialmente agli adulti, che il divertimento e l'aspetto ludico dovrebbero essere al primo posto. Sebbene queste attività possano anche favorire l'apprendimento e lo sviluppo di talenti o competenze specifiche, la priorità assoluta dev'essere sempre la dimensione ludica e sociale», racconta Giovanna Giacomini, pedagogista, formatrice e ideatrice del portale Edu-wow.com.
«Un compito cruciale per i genitori è distinguere tra le proprie aspettative e i reali bisogni dei figli. La società odierna, spesso veicolata da social media e video, ci propone un'immagine di genitore ideale che offre infinite opportunità ai figli, portandoli a eccellere in ogni campo. Questo contesto rischia di farci proiettare sui bambini desideri e ansie che non sono i loro, perdendo di vista la dimensione dell'infanzia e l'individualità di ogni piccolo».

 

Coltivare ascolto e osservazione

Il modo migliore per scegliere l’attività «giusta» è osservando i bambini, che comunicano i loro bisogni anche senza parole: momenti improvvisi di irritabilità potrebbero indicare stanchezza e necessità di più riposo o gioco libero, mentre un bambino che cerca molta attenzione potrebbe aver bisogno di sfide più adatte a lui.
I genitori devono evitare di proiettare i propri sogni, le proprie ambizioni e anche le frustrazioni sui figli, che hanno il diritto di viversi un’esperienza libera da condizionamento. «Non aver paura se tuo figlio non eccelle o non ama determinate attività; non significa aver fallito come genitore. Molte generazioni, inclusa la nostra, sono cresciute senza la miriade di attività extrascolastiche di oggi, raggiungendo comunque serenità e successo nella vita. È essenziale distinguere la felicità della performance», aggiunge Giacomini.
«Questo implica anche abbandonare la competizione tra famiglie basata sulla quantità di attività e risultati. Dobbiamo concentrarci su ciò che serve a quel bambino, in quel momento della sua vita. I quattro anni di un figlio non torneranno più e ogni età ha il suo tempo. È essenziale ridefinire i nostri valori di base e ricordarci che i bambini hanno il diritto di vivere la propria infanzia».

Il vademecum

Esistono diversi elementi chiave, secondo la pedagogista, che si possono valutare per scegliere l’attività giusta:

  • Interessi emergenti. «Ascoltare attentamente gli interessi che il proprio figlio esprime. Se è ancora piccolo, osservalo: cosa gli riesce facile e spontaneo? Quali attività lo assorbono senza fatica? Spesso, proprio in questi momenti emerge un talento naturale che merita di essere coltivato».
  • Considerare l’unicità di ogni bambino. «Ogni bambino è unico. Se l'amico del cuore frequenta un'attività e nostro figlio desidera seguirlo, non è detto che sia la scelta giusta per le sue inclinazioni».
  • Non forzare il bambino a fare qualcosa solo perché «gli fa bene» o perché è di moda.
  • Età e sviluppo. «Considerare sempre l'età e il grado di sviluppo. Per i bambini più piccoli, attività propedeutiche come la psicomotricità o quelle puramente ludiche sono più indicate. L'obiettivo principale, in questa fase, è il gioco, non l'apprendimento formale. Dai 6 anni in su, si possono introdurre sport o corsi specifici, basandosi sulle preferenze espresse e sui talenti che iniziano a manifestarsi».
  • Obiettivi educativi. «Prima di iscrivere un bambino a una qualsiasi attività è fondamentale chiedersi: "Cosa vogliamo che tragga da questa attività?". Può essere un'esperienza meravigliosa sotto molti aspetti, ma il contesto è fondamentale. Un ambiente tossico, un allenatore svalutante, standard troppo elevati o valori in contrasto con quelli della famiglia possono annullare qualsiasi beneficio. Informati sul gruppo e sugli educatori: l'ambiente deve essere inclusivo, stimolante e accogliente per tutti, riflettendo i valori che guidano la vostra famiglia».
  • Fattibilità logistica. Inutile considerare attività che non sono compatibili a livello pratico con gli impegni della famiglia.

Quando la «squadra» è meglio 

É meglio scegliere le attività organizzate basate sulla socializzazione o individuali? «Le attività di gruppo, in particolare quelle con uno scopo divertente, rafforzano la fiducia in sé, promuovono lo sviluppo del carattere, l'empatia e la compassione. Sentirsi connessi con gli altri, uscire dalla propria dimensione individuale per entrare in relazione, sono aspetti fondamentali che queste esperienze nutrono. Attività di volontariato, ad esempio, non solo sviluppano competenze pratiche (come la sostenibilità ambientale nel caso della raccolta della plastica), ma promuovono anche un senso di agire attivo e proattivo per il benessere collettivo», conferma la pedagogista, che però sottolinea come siano così efficaci solo se il bambino partecipa con serenità.

Integrare le attività nella settimana scolastica

É molto importante oltre a scegliere un’attività che il bambino possa svolgere con piacere, anche inserire il corso in un contesto adeguato e non sovraccarico. Si consiglia quindi di stabilire una routine settimanale e quotidiana chiara. «Organizzare i giorni in modo da bilanciare gli impegni (come gli allenamenti di lunedì e giovedì) con pomeriggi completamente liberi. Si può adottare la regola del due, limitando le attività extrascolastiche a un massimo di due, in giorni distinti, almeno fino a una certa età (due giorni al di là del weekend)». I bambini devono avere il tempo di fare i compiti, ma anche di non fare nulla. Semplicemente, di riposare e giocare liberamente.

Per quanto, poi, sia difficile per i genitori modificare in corso la pianificazione settimanale, non bisogna dimenticarsi di essere flessibili e di «rallentare i ritmi se li vediamo sopraffatti, eliminare attività o, al contrario, introdurne di nuove se si percepisce svogliatezza. L'obiettivo è calibrare gli impegni sul benessere di tutti, genitori inclusi». E, il modo migliore per farlo, è osservando i bambini.

Segnali come stanchezza, calo di entusiasmo, difficoltà di concentrazione, cambiamenti nei risultati scolastici, alterazioni nei ritmi sonno-veglia o nelle abitudini possono indicare un sovraccarico.

15 settembre 2025 ( modifica il 15 settembre 2025 | 15:44)

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Tutti matti per gli scacchi

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Giorgio Fontana

DATA: 18 agosto 2015

Tutti matti per gli scacchi

Fanno bene (ai genitori)

Gli scacchi affinano il pensiero, sviluppano la concentrazione. E sono poco impegnativi per chi deve assistere alle partite dei figli

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Da ragazzino partecipai a qualche torneo di scacchi: ricordo bene la mia disperazione dopo una sconfitta - ma mio padre ricorda meglio il mio sguardo feroce e ciò che gli dissi prima di lanciare un attacco vincente: «Adesso gli salto al collo, a quello lì». Già. Gli scacchi conservano qualcosa che trascende il mero gioco: una volontà irriducibile di sopraffare l’avversario.
In un divertente articolo pubblicato sul Financial Times , Matthew Engel vede proprio negli scacchi lo sport ideale cui incoraggiare i figli, dal punto di vista dei genitori: combina costi e rischi bassissimi (difficilmente ci si sloga un polso muovendo un alfiere) con la libertà per padri e madri di non dover assistere alle partite (i litigi furibondi fra parenti, un classico del calcio giovanile, non son diffusi).
Di più: gli scacchi aiutano lo sviluppo della concentrazione, affinano il pensiero per immagini, ed educano alla responsabilità - sulle sessantaquattro caselle la fortuna praticamente non esiste, vittoria e sconfitta dipendono unicamente dalla qualità delle mosse. Anche per questi motivi, lo scorso febbraio il Parlamento spagnolo ne ha introdotto lo studio in diversi percorsi scolastici.
Ma c’è una ragione se Duchamp lo definiva uno sport violento - e se il Grande Maestro Nigel Short ha rincarato la dose dicendo che per questa attività «devi essere pronto a uccidere». La solitudine, l’astrazione e la mancanza dell’elemento corporale possono logorare i nervi di chiunque: e il genitore che vede il figlio tranquillo e assorto di fronte alla scacchiera non dovrebbe dimenticarlo. Nella sua introduzione a La psicologia del giocatore di scacchi di Reuben Fine, Giuseppe Pontiggia scriveva di questo gioco: «mobile e inafferrabile, esso elude tutti i tentativi di chiuderlo in quella gabbia, in cui finisce con l’aggirarsi il giocatore». Nel tesserne l’elogio, vorrei ricordare l’ossessione che lo anima: la lotta per dominarla, del resto, è parte del suo fascino.

Giocare per crescere, dieci regole per aiutare i bambini a esplorare l’ambiente e le proprie emozioni

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Valentina Rorato

DATA: 25 ago 2025

Antonio di Pietro, pedagogista ludico: «Con il gioco i nostri figli apprendono l’autoregolazione, la risoluzione dei problemi, la gestione del rischio e molte altre competenze che migliorano la qualità della vita»

«È naturale che l’anima del fanciullo abbia bisogno di gioco. I fanciulli sono per natura portati a inventare giochi e basta che si ritrovino insieme perché il più delle volte ne scoprano uno», insegna Platone, tratteggiando con una semplicità incredibile il senso del gioco per i bambini, che non è solo piacere e divertimento ma è una palestra per crescere, essendo un’esperienza vitale. Perché è così importante? Lo abbiamo chiesto ad Antonio di Pietro, pedagogista ludico, referente pedagogico del coordinamento regionale di Nati per la musica Toscana e collaboratore del Centro per la salute delle bambine e dei bambini (Csb onlus). «Come prima cosa direi che il gioco è importante "semplicemente" perché per i bambini è importante. Basta osservarli: giocano ogni qualvolta se ne crei l'occasione, giocano senza che nessuno glielo chieda. Poi quando giocano lo fanno con tanto impegno. Allo stesso tempo il gioco genera divertimento, ovvero un piacere che permette di ricercare, scoprire e conoscere qualcosa di nuovo rispetto a sé stessi, agli altri, al mondo intorno a noi».

Autonomia

Giocare è una motivazione a saperne sempre di più, che permette al bambino di esplorare l’ambiente, acquisendo il senso del tempo e dello spazio, imparando a conoscere il proprio corpo, ad allenare la fantasia, a regolare le sue emozioni e a confrontarsi con gli altri. È un’attività estremamente complessa con cui il piccolo allena la coordinazione mano-occhio, assimila modelli comportamentali adulti grazie all’imitazione. È consigliabile lasciarli giocare da soli o è meglio che siano guidati nelle attività ludiche? «Se pensiamo ai giochi della nostra infanzia molto probabilmente ricordiamo maggiormente i giochi autonomi, quelli sufficientemente lontani dallo sguardo degli adulti. Se la nostra memoria mantiene queste immagini un motivo deve pur esserci. Significa che il gioco autonomo è importante quanto quello condotto da un adulto - prosegue il pedagogista -. In una giornata con una forte presenza dell'adulto è fondamentale che i bambini si dedichino ampiamente al gioco autonomo, un tempo dove cavarsela da soli, accordarsi con gli amici, sentirsi liberi di partecipare. Aspetti da considerare anche quando si conduce un gioco».

Il decalogo

Per guidare bambini e genitori nella buona pratica del gioco, il pedagogista ha stilato un decalogo:

Andiamo dove ci porta il gioco. «Proponiamo i giochi della nostra infanzia: un bel modo per condividere le storie di vita, tenere accesa la propria giocosità e per apprezzare il giocare con "niente" (con le mollette per i panni, con la terra). Proponiamo nuovi giochi e giocattoli scegliendoli in base ai valori che rispecchiano. E poi andiamo dove ci porta il gioco, seguendo il "flusso" dello stare bene insieme».

Garantiamo giochi di tutti i generi. «Il gioco è una forma di nutrimento per la crescita e gli apprendimenti dei bambini. E una buona "dieta ludica", è quella sana e varia. Garantiamo un equilibrio sia fra la qualità dei materiali di gioco (legno, metallo, tessuto), sia fra le diverse tipologie di gioco (narrazione, strategia, movimento), evitando l'etichetta "giochi da maschi" e "giochi da femmine"».

Giochiamo sul serio. «Facciamoci caso, i bambini giocano con impegno e serietà. Giochiamo con loro impegnandoci anche noi nello stare al gioco. Se ne accorgono se siamo sinceramente interessati a giocare. Prendiamoci del tempo per stare ludicamente connessi ai figli, staccando da tutto il resto (pensieri, messaggi, social), disponibili esclusivamente in una "modalità gioco"».

Mettiamoci in gioco con gli schermi. «Scegliamo con cura i giochi con gli schermi, facendo attenzione ai contenuti (tematiche, grafica) e ai tempi: l'Organizzazione mondiale della sanità e l'Accademia americana dei pediatri indicano di non utilizzare i device prima dei due anni, massimo 60 minuti a sei anni, poi non più di due ore. Fondamentale, quando i bambini utilizzano gli schermi (anche per giocare), è stargli accanto».

Costruiamo congegni ludici. «Meravigliosi, nella loro "imperfezione" e nel loro significato affettivo, sono i giochi e i giocattoli auto-costruiti. Realizziamo oggetti di gioco, tavolieri per i figli, costruendoli con loro. Ricerchiamo materiali e strumenti per far sì che i bambini possano creare con le proprie mani i loro congegni ludici».

Organizziamo incontri giocosi. «I bambini adorano giocare con altri bambini, ne hanno bisogno. Organizziamoci in modo che si possano incontrare fra loro per condividere il tempo libero giocando insieme, sia a casa (propria e dei compagni) sia all'aperto sia in spazi organizzati (ludoteche, parchi pubblici). Ci sorprenderanno».

Accogliamo la scintilla ludica della noia. «Sentirsi dire dai figli "mi annoio" potrebbe indurci a pensare di non fare abbastanza per loro, per poi correre ai "ripari" riempiendoli di cose da avere e da fare. I bambini hanno necessità di spazi con poche cose e di qualità, di tempi liberi e liberati, di calma e lentezza. Una sana noia è una scintilla che fa nascere idee giocose».

Giochiamo all'aperto. «Per salvaguardare la salute fisica, mentale e sociale, i bambini dovrebbero trascorrere ogni anno almeno mille ore all'aperto. Sono sempre più noti i molteplici benefici dello stare fuori. Facciamo giocare i bambini all'aperto, ancor meglio se in ambienti naturali, durante tutte le stagioni vestendoli in modo adeguato».

Lasciamoli giocare. «Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi sull'importanza del gioco autonomo. Teniamo conto che i bambini per crescere hanno bisogno di cavarsela anche un po' da soli. Oggi il gioco autonomo è sempre più considerato un indicatore di qualità della vita. Ci sono ricerche che evidenziano una correlazione fra gioco autonomo durante l'infanzia e uno stare bene in adolescenza».

Giochiamo tanto per giocare. «Giochiamo tanto, nel senso di dedicare tempo al gioco a tutte le età. Ricordiamoci che quando giochiamo con i figli e quando loro giocano da soli o con i compagni, i bambini giocano per il gusto di giocare, quindi la finalità è il gioco stesso. In questo modo apprendono l’autoregolazione, la risoluzione dei problemi, la gestione del rischio e molte altre competenze che migliorano la qualità della vita».

24 agosto 2025

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Pietro Bordo ha parlato di scuola su Rai 1, a Unomattina Estate, insieme a Carlo Conti e Daniele Novara

FONTE:

AUTORE: Pietro Bordo

DATA: 13 agosto 2025

Pietro Bordo ha parlato di scuola su Rai 1, a Unomattina Estate, insieme a Carlo Conti e Daniele Novara.

Il link per vedere il video è appena sopra.

La scaletta è cambiata durante la diretta. Il tempo era finito e per riuscire ad accennare all'energia atomica dell'amore, rivoluzione copernicana che può cambiare la scuola (relazioni umane, personali fra docenti, alunni e genitori), ha dovuto insistere, non si vede nel video, con Alessandro Greco.

Il capoautore gli ha prospettato la possibilità di approfondire a Unomattina Inverno…

ChatGPT fa male al cervello? I sorprendenti risultati di uno studio del MIT di Boston sul «debito cognitivo»

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Federico Fubini

DATA: 20 giugno 2025

ChatGPT fa male al cervello? I sorprendenti risultati di uno studio del MIT di Boston sul «debito cognitivo»

L’intelligenza artificiale ci rende stupidi? Un’analisi (preliminare) del Massachussets Institute of Technology mette in guardia dall’uso massiccio per compiti di scrittura di questi strumenti , che possono ridurre la connettività cerebrale del 55%. I rischi (e i possibili «antidoti»)

Più conformisti, dissociati dalle nostre stesse idee, meno capaci di pensare in modo autonomo e soprattutto meno capaci di apprendere. L’intelligenza artificiale ci rende stupidi?
È una domanda legittima dopo la pubblicazione (preliminare) di un nuovo studio sperimentale del Media Lab del Massachusetts Institute of Technology sugli effetti dei «large language models».

Il titolo del paper

Il paper ha un titolo esplicito: «Il tuo cervello e ChatGPT: accumulazione di debito cognitivo nell’usare un assistente di intelligenza artificiale per compiti di scrittura». 

A guidare lo studio è Natalia Kosmyna, una ricercatrice con un dottorato in informatica che lavora sull’interazione fra i computer e il cervello umano. Il modello di ricerca di Kosmyna e dei suoi colleghi, fra i quali vari neuroscienziati e studiosi del linguaggio, è stato del tutto sperimentale.

I tre gruppi che compongono il campione

Kosmyna ha formato tre gruppi da un campione di 54 volontari, incaricando ciascuno dei componenti di scrivere tre brevi testi per tre sessioni successive su temi predefiniti, per un periodo esteso su un trimestre.

Il primo gruppo («Brain-only») poteva scrivere solo sulla base delle proprie risorse mentali, senza accesso né a internet né a uno schermo. 

Il secondo gruppo aveva accesso al motore di ricerca di Google.

Il terzo gruppo invece aveva accesso all’intelligenza artificiale generativa, in particolare ChatGPT di Open AI. Il cervello dei partecipanti a tutti e tre i gruppi è stato analizzato, connettendolo a degli elettrodi per un elettroencefalografia mentre svolgevano il compito richiesto.

La connettività celebrale

I risultati sono sorprendenti. Lo sono sia nell’immediato che negli effetti successivi dell’esperimento sui comportamenti e le capacità mentali delle persone sottoposte al test.

In primo luogo, nello stesso processo di scrittura i componenti dei tre gruppi hanno manifestato un’attivazione molto diversa delle loro menti. Rispetto al livello del gruppo che scriveva senza supporto digitale, il gruppo con accesso al solo motore di ricerca ha registrato una connettività cerebrale fra il 34% e il 48% più bassa; il gruppo con accesso a ChatGPT (nella forma di GPT-4o) ha mostrato una connettività cerebrale del 55% più bassa. In sostanza, più consistente è il supporto e più si riduce l’ampiezza dell’attività del cervello.

Le aree del cervello interessate

Era forse prevedibile che andasse così. Ma anche la qualità del lavoro cambia.

Il gruppo «Brain-only» evidenzia un’attivazione delle aree del cervello connesse con l’ideazione creativa, con l’integrazione dei significati fra loro e con l’automonitoraggio: le funzioni necessarie a generare contenuti, pianificarli e rivederli.

Invece chi usa Google fa lavorare soprattutto la corteccia occipitale e visuale: le aree che presiedono ad assimilare tramite la vista l’informazione ottenuta sullo schermo e poi raccoglierla. Infine, chi usa ChatGPT attiva soprattutto le aree per funzioni pressoché automatiche e entro un’impalcatura esterna.

Che cosa succede con l’Ai

I lavori prodotti sono risultati molto vari e diversi gli uni dagli altri nel caso del gruppo «Brain-only», ma estremamente omogenei e simili fra loro per il gruppo che ha usato l’intelligenza artificiale.

In sostanza, affidarsi all’AI genera conformismo di pensiero e messaggi. 

Qui però è arrivata una sorpresa ulteriore: nell’83% dei casi, chi aveva lavorato con ChatGPT ha poi avuto difficoltà nel citare frasi dai propri stessi testi già pochi minuti dopo averli consegnati; come se chi aveva scritto con ChatGPT non avesse sviluppato nessun senso di appartenenza riguardo al contenuto del proprio lavoro e tutta l’attenzione fosse andata solo a come riprodurre passivamente informazioni generate all’esterno. Al contrario, pressoché tutti coloro che avevano lavorato da soli sono riusciti a citare frasi dai testi appena scritti quasi esattamente, mostrando molta più attenzione al contenuto e al senso del lavoro svolto (non solo alle modalità).

I concetti non vengono assimilati

In sostanza, l’uso dell’intelligenza artificiale ha reso le persone sottoposte al test dei semplici assemblatori di concetti che non vengono assimilati dai loro stessi autori. 

I testi poi sono stati esaminati come piccoli saggi scolastici. I valutatori basati sull’intelligenza artificiale hanno assegnato voti più alti di testi scritti con la stessa intelligenza artificiale. Invece i valutatori umani, gli insegnanti, hanno subito riconosciuto quali erano i testi scritti con l’intelligenza artificiale e li hanno valutati meno degli altri.

L’inversione dei gruppi

Ma quel che è accaduto dopo dà ancora di più da riflettere.

C’è infatti stata una quarta sessione del test, nella quale le parti si sono invertite. Al gruppo che aveva sempre usato l’intelligenza artificiale è stato chiesto di comporre un testo a tema fisso senza alcun supporto digitale; al contrario, chi aveva scritto fino ad allora senza supporto ha potuto usare ChatGPT.

Si crea un debito cognitivo

Il risultato è destinato ad aprire un dibattito sulla pericolosità dell’uso dell’intelligenza artificiale.

Chi si era abituato ad usare ChatGPT ha mostrato difficoltà a ricreare il tipo di robusta attività cerebrale, ricca di connessioni, che occorre per sostenere un’attività di creazione autonoma di contenuti. Fra loro si è evidenziato quello che Kosmyna definisce un «debito cognitivo». Il tema dello scritto richiesto era uguale a quello di scritti precedenti, ma coloro che si erano abituati a ChatGPT sono riusciti a citare un elemento qualunque appena due su dieci, ora che potevano contare solo sulla propria mente.

Invece chi aveva contato solo sul proprio cervello all’inizio, allenandolo in modo autonomo, è riuscito a produrre testi più ricchi e precisi proprio grazie all’uso dell’AI nella sessione finale.

Attivazione cerebrale più debole

Anche l’elettroencefalografia ha confermato i risultati.

Chi era abituato a contare su ChatGPT ha mostrato comunque un’attivazione cerebrale più debole quando è rimasto senza supporto digitale, come se la mente fosse divenuta più pigra e incapace di creatività, giudizio di merito e memoria profonda.

Invece chi aveva già imparato a pensare e produrre lavoro in autonomia ha potenziato le proprie capacità cognitive con ChatGPT.

Le conclusioni

Conclude lo studio: «Quando i partecipanti (al test, ndr) riproducono dei suggerimenti (dell’intelligenza artificiale, ndr) senza valutarne l’esattezza o la pertinenza, rinunciano non solo ad appropriarsi delle idee espresse, ma rischiano di interiorizzare prospettive superficiali o distorte».

In altri termini, diventano individui più manipolabili da ogni sorta di propaganda o interesse. 

Le implicazioni per la democrazia e per la scuola o l’università non potrebbero essere più grandi: una società di persone libere e capaci di elaborare idee e un giudizio autonomo usa sì l’intelligenza artificiale; ma solo dopo aver allenato molto bene - e a lungo - quella naturale.