L’era della digitalizzazione e la formazione che serve

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Mauro Magatti

DATA: 2 gennaio 2019

L’alternativa è questa: o si fanno crescere le persone oppure si va incontro a una spirale economicamente e politicamente regressiva

La grande assente nella legge finanziaria del governo del cambiamento è l’attenzione per il tema della formazione, della scuola, della ricerca: nel testo finale si trovano solo piccoli aggiustamenti per mantenere la pace sindacale e qualche intervento isolato più o meno condivisibile. Ma nessuna azione strategica di rilancio. Eppure, l’avanzata della digitalizzazione renderebbe urgente una scelta di campo ben precisa: scommettere sulla qualità umana delle persone come condizione per potere entrare nel futuro.

Per capire la posta in gioco è utile fare un passo indietro. Risale a un secolo fa, esattamente al 1911, la prima pubblicazione del celebre libro di F. Taylor L’organizzazione scientifica del lavoro: un testo che rivoluzionò l’idea stessa di produzione industriale. Taylor proponeva infatti una idea completamente nuova del lavoro in fabbrica. Concependo l’intera catena produttiva come un sistema integrato — nel quale il «nemico» da combattere era l’esecuzione sbagliata di operazioni da parte dei singoli operai — Taylor intuì i vantaggi in termini di efficienza di una progettazione centralizzata della produzione. L’idea di Taylor — che pure provocò molte resistenze in quanto obbligava a eseguire procedure standardizzate, parcellizzate e ripetitive — riuscì ad affermarsi perché procurava vantaggi tanto agli imprenditori quanto agli operai: ai primi aumentando i profitti, ai secondo riducendo lo sforzo e alla fine determinando aumenti salariali. Tuttavia, le implicazioni superarono di gran lunga i cancelli dalle fabbriche: sui principi di Taylor venne poi concepita la catena di montaggio — immortalata da C. Chaplin in «Tempi Moderni» — che tendeva a creare un nuovo tipo d’uomo a cui si chiedeva di rinunciare alla propria autonomia e capacità di giudizio. Secondo molto autori, tra cui Zygmunt Bauman, precondizione per l’avvento dei totalitarismi degli anni 30.

Ci vollero vent’anni per arrivare, nel 1933, alla pubblicazione del libro di Elton Mayo, I problemi umani della civiltà industriale, fondatore della «scuola delle risorse umane» che ribaltava la concezione di Taylor. Le tesi di Mayo si basavano su studi che mostravano che la partecipazione attiva, aumentando la soddisfazione del lavoratore, migliorava la produttività. La ragione doveva essere cercata, secondo Mayo, nel fatto che la prestazione lavorativa è connessa al benessere psicologico dell’individuo, alle dinamiche di riconoscimento sociale e al senso di appartenenza a una comunità di lavoro. Sono le persone il vero «capitale» dell’impresa e per questo, anche in una prospettiva di tipo economico, è un errore sacrificare l’intelligenza dei lavoratori.

Un secolo dopo, il processo di digitalizzazione, riporta alla ribalta quella discussione. Mentre, però, Taylor e Mayo ragionavano di singola impresa, oggi lo stesso tema si applica a livello di intere società: da un lato, c’è una visione neo-taylorista che si limita a esaltare la potenza di efficientamento delle nuove tecnologie nei diversi ambiti della nostra vita sociale: non solo nelle produzione di beni ma anche nella mobilità, nella sanità, nella scuola, nella ricerca, nella amministrazione. In tale prospettiva, il miglioramento dei risultati si ottiene attraverso la diffusione di protocolli semplificati e addestrando gli operatori/utenti a eseguire senza pensare, in modo da rendere l’intero processo più fluido. Quante volte, già oggi, siamo caldamente invitati — come lavoratori o consumatori — a «seguire la procedura»?

Per questa strada, però, si finisce per impoverire la società, concentrare il potere, indebolire la democrazia. Creando cittadini-produttori sempre più soli e isolati, incapaci di capire (e quindi criticare) quello che accade attorno. La via alternativa è quella che prevede di investire massicciamente e in maniera nuova sull’educazione e la formazione — continua e integrale — dei cittadini. Con l’obiettivo di sviluppare una intelligenza collettiva che, all’epoca digitale, oltre a permettere di contrastare le potenti tendenze verso forme concentrate e magari anche autoritarie di potere (magari con qualche capacità critica in più nei confronti delle fake news), sostiene e diffonde competenze, capacità, responsabilità autonome. Non si tratta di fare qualche piccolo aggiustamento: si tratta di lanciare un grande programma nazionale di riqualificazione di portata simile a quello che i nostri padri introdussero la scuola dell’obbligo.

L’alternativa è secca: o si investe per far crescere le persone — e con loro la comunità — o si finisce per ritrovarsi imprigionati in una spirale economicamente e politicamente regressiva. E questa scelta va fatta adesso, perché tra 5 o 10 anni sarà tardi. Ora, se guardiamo l’Italia le cose non vanno per nulla bene. Pochi laureati, un esercito di drop out e neet (giovani che non studiano e non lavorano), scarsa integrazione scuola-impresa, investimenti inadeguati in ricerca e formazione continua. Mettere davvero la formazione al centro di ogni azione di governo sarebbe stato un segnale forte della volontà di un cambiamento vero. Chi non lo fa, dice già dove — dolosamente o colposamente — ci sta portando: verso un mondo impoverito, sottomesso e disuguale.

È la cultura dell’impunità che genera le baby gang

FONTE: Il Sole 24 Ore

AUTORE: Pietro Bordo*

DATA: 9 febbraio 2018

Ancora più della repressione, manca un’educazione adeguata e per i ragazzi gli elementi diseducativi sono i preferiti, in quanto molto attraenti. I genitori e la scuola si rivelano molto spesso incapaci di rispondere al proprio ruolo.

Il problema delle bande di bambini, in questi giorni all'attenzione della cronaca, non ha nella repressione l'elemento risolutivo fondamentale, che è invece l'eliminazione, o l'attenuazione, della cultura dell'impunità.

La cultura dell'impunità si sviluppa in tenera età in famiglia e nella società, soprattutto, a scuola. Il ministro Minniti ne ha parlato qualche giorno fa a Napoli, ma con una visione teorica, non concreta, in quanto non è il suo lavoro sapere cosa accade nelle scuole e quanto ciò che accade nella società influenza i ragazzi.

Tutti in Italia potremmo scrivere un elenco infinito di comportamenti negativi tenuti con la quasi certezza dell'impunità, o della prescrizione. Ecco alcuni di quelli che tutti i giorni attirano la nostra attenzione, dai più gravi a quelli apparentemente meno, passando per quelli incredibili.

I politici, i dirigenti o i funzionari ad ogni livello che chiedono esplicitamente o meno percentuali o altre dazioni per favori di ogni genere, a danno della collettività.
Il cittadino che butta la spazzatura fuori dei cassonetti, anche se non sono pieni; parcheggia come gli pare e butta carta o altro per strada.
I padroni dei cani che lasciano sui marciapiedi gli escrementi del loro animale.
Gli evasori fiscali che non solo non pagano la loro parte per i servizi che ricevono dai vari enti, ma ottengono “precedenze” in vari servizi pubblici rispetto a chi dichiara onestamente tutto. Caso tipico: il figlio dell'evasore va all'asilo pubblico, quello del vicino di casa onesto (che conosce bene lo stile di vita dell'altro) no.
Gli automobilisti che non lasciano passare i pedoni sulle strisce (in Spagna, ad esempio, non devi avvicinarti alla strada, altrimenti si fermano tutti pensando che tu debba attraversare).
E così via…
Uno dei motivi che determinano tale situazione è che la nostra società è ormai abituata alla mancanza di rispetto per le regole.

Perché? Ancor più della repressione, manca un'educazione adeguata e per i ragazzi (che poi diventano uomini) gli elementi diseducativi sono i preferiti, in quanto molto attraenti.

Fino a circa cinquant'anni fa erano presenti nella società, in generale, vari fattori educativi positivi.
Nell'ambito familiare, c'era almeno un genitore sempre molto presente in casa. Il ragazzo non era quasi mai da solo. Anche i nonni erano molto presenti, ed anche altri parenti. E quasi tutti educavano. Oggi i ragazzi sono spesso soli, con il cellulare ed il computer.
Un genitore presente in casa il pomeriggio è oggi un sogno per tanti ragazzi. Considerando che fino a cinquant'anni fa tale condizione è stata la norma per gli esseri umani per milioni di anni, è facilmente comprensibile come tale situazione alteri in maniera deleteria il loro equilibrio affettivo, togliendo loro serenità.

I nonni sono presenti in poche famiglie. I contatti con zii ed altri parenti sono molto limitati, rispetto al passato. Alcuni bambini sono abituati a trattare alla pari gli adulti con cui sono in contatto o che lavorano per la famiglia, pensando poi di poter esportare tale comportamento con gli altri adulti con i quali entrano in rapporto (ad esempio con i docenti).
Ed evidenziamo che i padri, per troppo lavoro, o ignoranza, spesso trascurano l'educazione dei figli e si interessano poco alla loro istruzione.
Quasi tutti si dimenticano che ciò che più vogliono i ragazzi è l'amore dei genitori, accompagnato dalla loro presenza fisica.
Nella società, molti adulti, per strada ed altrove, fino a non molti decenni fa si preoccupavano di controllare ed eventualmente rimproverare chi sbagliasse.

Oggi sono presenti vari fattori diseducativi.
Nella società, la TV, la diseducatrice per eccellenza, che quando reca poco danno intorpidisce la mente ed il cuore, generalmente propone modelli tremendamente affascinanti e vincenti, che portano i ragazzi a considerare come obiettivi fondamentali della loro vita il successo, il denaro ed il sesso, da ottenere a qualsiasi prezzo. Ovviamente se i bambini sono soli per ore a casa, o in compagnia di baby-sitter che se ne disinteressano o di nonni incapaci di gestirli, ne vedono quanta vogliono.
Internet, oggi ancor più “educante” della TV, un mare infinito, dove insieme ad informazioni utili puoi trovare, mi dicono, quanto di peggio si possa immaginare, ed anche di più. Ed immaginiamo dove la curiosità possa portare anche il migliore dei bambini, magari solo per ore ed ore a casa.

La scuola in passato educava come oggi ai valori positivi comuni, ma senza il buonismo e la tolleranza eccessivi attuali, che consentono a tanti bambini di fare tutto senza praticamente averne conseguenze significative. Oltretutto questo frustra quelli che rispettano le regole e li induce, o almeno stimola, a non farlo.
A scuola (i dati che uso li ho ottenuti dai miei nipoti; da centinaia di colleghe e da altre centinaia di alunni e genitori di varie scuole; dalle mie osservazioni dirette, poiché insegno nella scuola primaria da quarantatrè anni) i ragazzi vedono spesso cattivi esempi dei compagni e la mancanza di un intervento adeguato affinché tutti rispettino le regole positive.
Ciò che più produce danni nei ragazzi e nei docenti è l'acquisizione della consapevolezza della quasi impunità, qualunque sia il loro comportamento, poiché pochi se ne occupano sul serio, anche perché non hanno strumenti per farlo. E tanti “9” e “10” consentono a genitori, che hanno tanto da fare, ed agli insegnanti, che poco vogliono fare, o non vogliono problemi con i genitori, di vivere felici e tranquilli.

Un altro fattore diseducativo è l'abitudine di tanti genitori di superare il senso di colpa derivante dalla consapevolezza di stare poco con i figli “comprando” la loro gratitudine, abituandoli quindi ad avere subito, a prescindere dall'averli meritati, oggetti materiali, spesso costosi ed inutili. Molti genitori stanno poco con i figli per ignoranza, altri perché non possono proprio farlo, dovendo lavorare per sopravvivere. Peccato che il tempo che loro non danno ai propri figli è ciò che essi più desiderano. I bambini crescendo, a volte soprattutto o soltanto fisicamente, potranno sempre avere tutto?
Penso appaia evidente l'importantissimo, direi vitale, ruolo dei genitori e dei docenti, che dovrebbero insieme collaborare, con sicuro effetto sinergico, per educare ed istruire i bambini.

*docente scuola primaria

Educare i bambini in famiglia

AUTORE: Pietro Bordo

DATA: marzo 2003

 

 

Relazione proposta ai Genitori degli alunni dello Iunior International Institute (scuola paritaria primaria di primo e secondo grado)

 

Fino a circa cinquant’anni fa erano presenti, in generale, vari fattori educativi positivi

Nell’ambito familiare:

  1. almeno un genitore sempre molto presente in casa;
  2. nonni molto presenti;
  3. zii ed altri parenti pure.

 

Nella società:

  1. molti, per strada ed altrove, si preoccupavano di controllare ed eventualmente rimproverare chi sbagliasse;
  2. la scuola educava ai valori comuni, senza l’impreparazione, il lassismo e la tolleranza oggi piuttosto diffusi.

 

Oggi sono presenti vari fattori diseducativi (parlo sempre in generale):

 

Nell’ambito famigliare:

  1. un genitore presente in casa è un sogno per la maggior parte dei bambini;
  2. i nonni sono presenti in poche famiglie;
  3. i contatti con zii ed altri parenti sono molto limitati, rispetto al passato;
  4. alcuni bambini sono abituati a trattare con atteggiamento di superiorità gli adulti che lavorano per la famiglia, pensando poi di poter esportare tale comportamento con gli altri adulti con i quali entrano in contatto (minacce di far licenziare…).

Nella società:

  • la TV, la diseducatrice per eccellenza, che quando reca poco danno intorpidisce la mente ed il cuore, generalmente propone modelli tremendamente affascinanti e vincenti, che portano i ragazzi (soli per ore a casa, o in compagnia di baby-sitter che se ne disinteressano) a considerare come obiettivi fondamentali della loro vita il successo, il denaro ed il sesso, tutto a qualsiasi prezzo; naturalmente tutto cambia con la presenza dei genitori e la visione di buoni programmi;
  • le riviste, per le quali vale quanto detto per la TV, anche se con minore efficacia;
  • internet, dove in un mare infinito insieme ad informazioni utili puoi trovare, mi dicono, quanto di peggio si possa immaginare, ed anche di più. Ed immaginiamo dove la curiosità possa portare anche il migliore dei bambini, magari solo per ore ed ore a casa;
  • scuola (dati ottenuti dai miei nipoti e da altre centinaia di alunni e genitori di altre scuole): non raramente scarse qualità umane e professionali degli insegnanti; cattivi loro esempi e dei compagni; mancanza di regole positive; certezza della quasi impunità, qualunque sia il loro comportamento, sia per insegnanti che per gli alunni (quasi nessuno controlla la qualità del lavoro prodotto; tanti “9” e “10” consentono a genitori, che hanno tanto da fare, ed ad insegnanti, che poco vogliono fare, di vivere felici e tranquilli);
  • abitudine dei ragazzi ad avere tutto: molti genitori lo fanno per ignoranza, altri per “comprare” con il denaro il tempo. Che è poi ciò che loro non danno ai propri figli e che essi più desiderano. E crescendo, a volte soprattutto fisicamente, potranno sempre avere tutto?

 

Dopo questa introduzione penso appaia evidente l’importantissimo, direi vitale, vostro ruolo di educatori dei vostri figli. Molto più importante che in passato.

Vorrei proseguire la conversazione usando parole o frasi chiave, quelle più ricorrenti nei miei trenta anni di azione educativa (ho rivisto gli appunti tutoriali di alcune quinte classi precedenti) ed argomentando diffusamente su ognuna.

 

Confronti fra fratelli e sorelle, addirittura fra padre e figlio (ogni persona è diversa e deve percorrere il suo cammino)

Azione educativa individuale (minuti da solo con il papà, o mamma, anche pochi; si può fare anche con sette figli)

Coerenza (parolacce… pure quando è calmo; Messa (il maestro e.. affermano che è importante e poi non ci andiamo; verità…: l’ho sentito dire che…; fumo: se papà non ce la fa anch’io posso non farcela; c’è differenza fra ciò che si dice e quello che si fa)

Giustizia (senza “processo” è facile sbagliare e dare punizioni a chi non le merita; ci soffrono molto e perdono un po’ di stima e fiducia nei genitori; mia sorella mi disturba sempre; papà interviene, ma lei ricomincia; non sappiamo cosa fare! Incredibile!)

Autorevolezza (la si conquista sul campo e la si rafforza giorno dopo giorno; “trasferirla” ai “delegati”: insegnanti, nonni, collaboratori domestici; con dichiarazione formale)

Critiche ai “delegati”: no davanti al bambino. Producono gravi danni poiché il bambino potrebbe estendere a tutta la persona il giudizio negativo sul singolo argomento (o potrebbero disorientarlo; Luca, buono, attento, intelligente, inspiegabilmente comincia ad andare male; ho saputo perché: mancanza di fiducia dei genitori negli insegnanti; esplicitata situazione ai genitori; parlatene col bambino; dal giorno dopo voti da 5 e 6 a tutti 8 o 9! Incredibile)

Critiche al coniuge: effetti devastanti. Il bambino può perdere certezze importanti.

Discutere senza litigare (bambino: la sera quando vado a dormire penso alle liti dei miei genitori e prego e piango)

Mantenere le promesse (se non è possibile spiegarglielo, altrimenti ci soffrirebbe molto e genitore perderebbe parte della stima)

Ci pensa mia moglie (assenza di polso, il maschietto può approfittarsene; inizia a voler discutere tutte le decisioni della mamma che non lo soddisfano; inoltre: dai dodici anni in su con chi parlerà di certi argomenti se non è abituato a farlo quasi quotidianamente almeno dai sette-otto anni?)

I bambini vengono educati soprattutto quando i genitori non pensano ad educarli: con l’esempio di vita

Tutti uguali, tutti diversi (…)

Non trattate sempre i bambini da piccoletti, altrimenti così si comporteranno; già a sei-sette anni fateli diventare elementi attivi della famiglia. Darà loro molta soddisfazione, li aiuterà a crescere e vi toglierà qualche incombenza;

I bambini imitano il papà soprattutto nei comportamenti meno belli, ad esempio durante discussioni con la moglie. Attenzione!

In famiglia aiuti reciproci, anche dai bambini agli adulti (vedere tutti impegnati a migliorarsi, a dare ed accettare aiuti, li stimola molto a crescere) (a scuola funziona…)

Regole chiare

Eccezioni: confermano la regola (possono creare un approfondimento incredibile del rapporto affettivo; sperimentato a scuola)

Scuola-parcheggio (maestri, anche i migliori, poco possono fare senza collaborazione con la famiglia; è come scrivere sulla sabbia; invece insieme si ottiene un effetto sinergico)

Coordinamento fra genitori: sono abilissimi nel sapere a chi rivolgersi per avere maggiori probabilità di risposta positiva alla richiesta, ma sono disorientati dalle differenze

Chi sbaglia paga (non come nella mafia! Non per vendetta, ma per aiutare a migliorare; esplicitarlo; in classe accettano qualsiasi punizione; comunque è bene non esagerare)

Verità: sempre o tacere. Senza dare gravi punizioni a chi ha il coraggio di dirla. A scuola funziona. Mi dicono, penso, tutto. A volte io dico loro: “Questi sono argomenti particolari; parlane col papà; domani mi dirai se l’hai fatto”. Ammettono anche mancanze gravi se si fidano dell’interlocutore, conoscono il suo equilibrio, la sua comprensione e sanno che darà loro buoni consigli per cercare di non ripetere l’errore;

Elogi a chi si sforza di migliorare: uno vale più di mille rimproveri (io a volte a scuola li invento)

Attenzione alle comunicazioni (sei sempre il solito…; sei uno stupido! No: oggi ti sei comportato da stupido)

Ma la parola più importante di tutte quelle finora usate è

Presenza      (molti genitori, specialmente papà, pensano di liberarsi del problema della loro latitanza dalla famiglia rifugiandosi nell’ipocrisia della qualità del tempo, quasi sempre vero e proprio esilio volontario della mente; oppure si rifugiano nelle presunte necessità della famiglia. Dico presunte con dati oggettivi alla mano, perché in tanti casi stare tutto il giorno fuori casa serve alla carriera o ad incrementare il lusso nel quale vive la famiglia. E poiché uno dei fattori fondamentali di crescita di un bambino è il processo di identificazione, con chi si identificherà? Con la mamma? Con il maestro? È questo che vuole il papà?)
Estrema risorsa che ho dovuto usare per convincere papà ad occuparsi del figlio: Suo figlio è oggettivamente orfano di padre dal lunedì al venerdì; a volte per periodi ancora più lunghi.

Sto per concludere con un’altra parola chiave:

Fiducia: con la tutoria (stretta coordinazione scuola-famiglia ed elaborazione di un progetto formativo comune per il bambino), se ben fatta, si possono cambiare tutte le situazioni meno positive, sia a casa che a scuola. Ne ho tanti di esempi di genitori che per amore dei figli hanno fatto cambiamenti significativi nella loro vita, senza stravolgerla ma rimodulando la scala delle priorità e cercando, anche con un po’ di fantasia, quella che prima sembrava l’impossibile quadratura del cerchio (esempi: uscire un’ora dopo la mattina, aspettare pomeriggio figlio a casa; telefonata personalizzata; colazione separata, da uomo ad uomo o da donna a donna)

E ricordatevi che senza cambiamenti dei genitori difficilmente cambiano i figli.

 

Parlando di educazione dei figli penso si debba concludere con due citazioni autorevolissime.

La prima dalla “Centesimus annus”: "Il primo e più importante lavoro si compie nel "cuore dell'uomo", e il modo con cui questi si impegna a costruire il proprio futuro dipende dalla concezione che ha di se stesso e del suo destino”. Infatti in quarta elementare si cambiano le motivazioni da dare ai bambini per lo studio. Si cominciano a proporre quelle etiche: riceverai una chiamata, sii pronto a rispondere, qual essa sia, studiando molto. Il piccolo Karol non sapeva quale chiamata avrebbe ricevuto, ma era pronto. E li abitua a pensare in grande, ma non per avere successo e soldi, ma per poter dare il massimo contributo all’umanità. A volte in aula dico: “Chissà chi di voi inventerà il motore ad acqua, o la cura per…”

La seconda da un discorso pronunciato qualche anno fa dal Santo Padre: “(i bambini) …sono minacciati dall’egoismo e dalla corsa al benessere materiale che talora affascina i genitori, sottraendoli al dovere di una presenza educativa, fatta di premurosa vicinanza ai figli e di ascolto dei problemi connessi con la loro crescita” (13 dicembre 1999).

Chiesi ad un bambino: “Qual è la cosa più bella che ti piace fare col papà? “… stiamo lì per terra a giocare ...”. Ed il viso gli si illuminava di felicità.