Il libro “Il maestro Pietro ed i suoi alunni”, per dare fiducia ed ottimismo a genitori e docenti

FONTE:  personale

AUTORE: Pietro Bordo

DATA: 10 settembre 2024

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Il libro “Il maestro Pietro ed i suoi alunni”, per dare fiducia ed ottimismo a genitori e docenti

Dopo tanti mesi di lavoro finalmente è stato pubblicato il mio libro: “Il maestro Pietro ed i suoi alunni”.

Mi chiedo quanti miei alunni e quanti loro genitori si riconosceranno, nei diversi racconti del libro, come protagonisti di quell’episodio un po’ particolare della scuola elementare; che forse hanno dimenticato.

Ovviamente ho cambiato i nomi di tutti i protagonisti.

La più importante motivazione a scrivere è stata la volontà di trasmettere esperienze concrete vissute in tanti anni d’insegnamento per dimostrare come a volte con un po’ di fantasia e di coraggio, e soprattutto con tanto amore e determinazione, si possono risolvere problemi dei bambini apparentemente irrisolvibili se si usano solo le nozioni imparate durante gli studi e l’esperienza scolastica ordinaria.

Questo è il link per la mia intervista sul libro: https://www.youtube.com/watch?v=AqztjdCFnzE

Se vuoi leggere il libro e non ti va di andare in libreria, puoi acquistarlo on line. Ad oggi il miglior prezzo è quello di Feltrinelli: in tutto 20,66€, comprese le spese di spedizione. Sotto il link per arrivarci

https://www.ibs.it/maestro-pietro-ed-suoi-alunni-libro-pietro-bordo/e/9791256592197

Se condividessi o inoltrassi questo messaggio potresti dare un’iniezione di fiducia ed ottimismo a qualche genitore.

Adolescenti e salute, come gestire al meglio l’età più difficile dei figli

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Elena Meli

DATA: 9 giugno 2014

Età difficile per eccellenza, l’adolescenza è una fase complicata per tutta la famiglia: per i ragazzini, in balia di un processo di cambiamento e crescita, fisica e psicologica, che li destabilizza, e per i loro genitori, in difficoltà di fronte al rebus di figli che da un giorno all’altro sembrano diventare “altre persone”. Per di più è un’età in cui nella maggior parte dei casi si è sani, ma in cui possono svilupparsi problemi con “strascichi” che condizionano tutta la vita futura, dalla dipendenza dal fumo alle malattie sessualmente trasmesse. Come assicurarsi, allora, che i figli crescano in salute e non corrano rischi?

 

Raccomandazioni ai genitori

«La prima raccomandazione per i genitori è che siano presenti nella vita degli adolescenti, in modo discreto ma attento — osserva Piernicola Garofalo, presidente della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza —. Spesso mamme e papà oscillano fra allarmismo e indifferenza, invece bisognerebbe essere sentinelle mute, per accorgersi subito dei segnali di allarme. Purtroppo, molti genitori sono i primi a chiudere le porte della comunicazione con i figli, perché, ad esempio, non sono mai a casa: i ragazzini hanno bisogno di sapere che qualcuno li sta seguendo, è presente, è un riferimento a cui rivolgersi». Osservare è il primo passo per accorgersi se qualcosa non va, come conferma Giuseppe Di Mauro presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale: «Tutti i bruschi cambiamenti della quotidianità devono insospettire: un calo netto e repentino del rendimento scolastico, un isolamento marcato, l’abbandono dello sport, una variazione nel rapporto con il cibo sono tutti indici di un disagio da indagare con discrezione». Andarci con i piedi di piombo sembra indispensabile per non scontrarsi con un muro impenetrabile di mutismo, rischiando di complicare ancor di più i rapporti. In questo può aiutare, allora, il pediatra di famiglia, con cui i ragazzi spesso riescono a confidarsi più che con mamma e papà.

 

«Check-up» a otto anni

«Il momento giusto per un “check-up” è il “bilancio di salute”, che dagli otto anni in poi dovrebbe essere eseguito almeno ogni due anni, meglio se una volta l’anno — riprende Di Mauro —. Si tratta di una visita in cui si controllano il peso, l’altezza, la pressione, la schiena, l’apparato genitale e tutto il resto, ma che diventa l’occasione per parlare e capire se qualcosa non va. Un vero strumento di prevenzione, perché, oltre a valutare se è tutto a posto e consigliare, se serve, una visita dallo specialista del caso, è soprattutto un’occasione per educare le famiglie e presentare opportunità preziose, come la vaccinazione contro il papilloma virus, da proporre a tutte le dodicenni per prevenire il tumore al collo dell’utero in età adulta: la copertura vaccinale in Italia non arriva al 50 per cento proprio perché spesso “perdiamo” il contatto con gli adolescenti che, non avendo problemi evidenti di salute, non vengono dal medico. I bilanci invece vanno fatti, perché sono la chiave per avere ragazzi sani». In Italia non sono obbligatori e sta quindi ai genitori e al pediatra “impegnarsi” per farli regolarmente.

 

Gli screening

Oltre a questi check-up generali, servono anche periodiche analisi del sangue e test più accurati? Alcune linee guida, ad esempio quelle del National Heart, Lung and Blood Institute statunitense, raccomandano lo screening per il colesterolo, la glicemia e altri parametri già a partire dai 9-11 anni, ma non tutti sono d’accordo e l’American Academy of Pediatrics, ad esempio, non consiglia test a tappeto su tutti i ragazzini. «Lo screening va guidato. Fare regolarmente le analisi del sangue a tutti gli adolescenti non serve, né avrebbe un buon rapporto costo-beneficio — spiega Garofalo —. Il medico deve individuare i “lati deboli” del ragazzo che cresce, in base alla sua storia personale e familiare: se il papà ha il diabete sarà opportuno stare attenti a non farlo ingrassare, perché altrimenti rischia di ammalarsi pure lui e in giovane età; se una sorella è intollerante al glutine e c’è qualche lieve sintomo sospetto, sarà bene fare i test per la celiachia».

 

Cattive abitudini

Fra le “minacce” che mettono più in pericolo la salute degli adolescenti ci sono diverse cattive abitudini, prima fra tutte l’alimentazione sregolata: uno studio statunitense appena pubblicato su Public Health Nutrition spiega, ad esempio, che alle soglie della pubertà la qualità degli spuntini e dei pasti inizia a diminuire, per diventare pessima in piena adolescenza a causa della maggior libertà e dei pasti consumati fuori casa assieme agli amici. «Una dieta adeguata è senza dubbio fondamentale a questa età, così come spronare allo sport perché diventi una sana passione con cui occupare il tempo libero: purtroppo, invece, proprio nell’adolescenza molti abbandonano l’attività fisica — dice Di Mauro —. Va incentivato il movimento all’aria aperta, organizzato e non, anche per “salvare” i ragazzi dalla prigionia di computer, tablet e cellulari su cui spesso si isolano, rischiando vere e proprie dipendenze con ripercussioni psicologiche gravi che possono arrivare fino alla depressione. Altrettanto importante è parlare con i ragazzi dei danni da fumo, alcol e abuso di sostanze, insidie molto concrete per la loro vita: mettere la testa sotto la sabbia non serve, occorre discuterne». «Purtroppo i giovanissimi hanno una fruizione spesso acritica di queste sostanze, non le scelgono per trasgredire ma solo perché il contesto li porta a farlo, per questo serve informarli sulle conseguenze — osserva Garofalo —. Anche i disordini alimentari sono molto frequenti fra gli adolescenti, in costante crescita pure fra i maschi, così come sono un grande pericolo le malattie sessualmente trasmesse o le gravidanze indesiderate: non c’è un’educazione alla corporeità, si fa sesso in modo sconsiderato perché tutti lo fanno, banalizzandolo, senza pensare alle conseguenze. È invece indispensabile educare i ragazzi alla sessualità; è assurdo che non si parli di contraccezione responsabile e poi le ragazzine vadano in cerca della pillola del giorno dopo». «Una gravidanza indesiderata, l’HIV, una dipendenza da sostanze sono problemi che poi cambiano radicalmente il futuro. Gli adolescenti sono sani, ma hanno il potenziale per farsi molto, molto male. Per questo genitori e pediatri devono star loro vicino, parlare, informarli: solo così cresceranno consapevoli dei pericoli a cui potrebbero andare incontro» conclude Di Mauro.

Smartphone e famiglia: tutti insieme (silenziosamente)

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Cristina Marrone

DATA: 14 maggio 2019

Cellulari e tablet hanno rivoluzionato il modo di comunicare anche fra genitori e figli, ma se non usati con attenzione si corre il pericolo di essere iperconnessi (ma soli)

Ma quanto tempo passano oggi i ragazzi incollati a tablet e telefonini? E quali conseguenze può avere per la loro crescita? Il tema, da tempo, tormenta i genitori. Che devono accettare un dato di fatto: la tecnologia ormai fa parte della famiglia e ha cambiato il modo di comunicare. Non necessariamente in meglio. Tra gli esperti che considerano negativo l’impatto del digitale sulle relazioni c’è Sherry Turkle, sociologa e psicologa americana che anni fa ha dato a un suo libro un titolo che non ha bisogno di spiegazioni: Alone together, «Soli insieme». Un recente studio inglese pubblicato sul Journal of Marriage and Family ha fatto il punto sulle difficili interazioni tra membri della stessa famiglia. Killian Mullan, docente di Sociologia e politica alla Aston University e Stella Chatztheochari, che insegna sociologia all’Università di Warwick, hanno analizzato i «diari del tempo» raccolti da genitori e bambini fra i gli 8 e i 16 anni nel 2000 e poi nel 2015, periodo in cui è esploso il cambiamento tecnologico. Con sorpresa è emerso che i ragazzini trascorrevano più tempo a casa nel 2015 rispetto al 2000: una mezz’ora in più, un’ora tra i 14 e i 16 anni. Peccato che abbiano anche ammesso di essere «soli» in questo tempo. E i dati hanno mostrato che figli e genitori hanno trascorso la stessa quantità di tempo (circa 90 minuti) utilizzando i dispositivi mobili quando erano insieme.

 

Incuriosisce che gli adolescenti siano diventati più casalinghi.«C’è molta più preoccupazione per la sicurezza dei figli, quindi si cerca di iper proteggerli , anche se alla fine si rischia di renderli più fragili» ipotizza Laura Turuani, psicologa e psicoterapeuta del centro milanese Il Minotauro, che si occupa di disagio adolescenziale e dipendenze. «Il “codice materno” richiede vicinanza e controllo e i mezzi di oggi consentono forme di sorveglianza che nessuna generazione precedente poteva immaginare. In ogni momento, grazie alle app di geolocalizzazione, sappiamo dove sono i ragazzi o che social stanno usando. Il registro elettronico comunica in tempo reale i voti: un ragazzo che prende un 5 non può neppure provare a tenerlo nascosto, nella speranza di recuperare con un 7. Più facile che quando torna a casa trovi già a disposizione il professore per le ripetizioni, sempre nell’ottica di anticipare i bisogni. Il mondo diventa sempre più iper protetto, a partire dall’infanzia. Gli scivoli dei bambini sono fuori norma senza i tappetini anticadute; è solo di pochi mesi fa la polemica sul fatto che le scuole medie non volevano lasciare uscire da soli neppure i ragazzi di terza. Se uno studente sarà bocciato, oggi arriva a casa una lettera degli insegnanti che invita i genitori a prepararlo alla brutta notizia».

 

Frammenti di dialogo

La casa, dunque, è vista come un ambiente sicuro. Ma almeno tra le camerette bunker e la cucina passano le informazioni? «Si comunica in modo diverso» aggiunge Turuani, che è anche co-autrice de Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa (Cortina editore). «Il dialogo è spezzettato, spesso scritto o con messaggi vocali nel corso della giornata. Si resta costantemente in contatto. Difficile arrivare a casa la sera e scoprire che è successo qualcosa di importante in giornata, ci si è mandati di sicuro un messaggio prima». Questa forma di comunicazione non dovrebbe sostituirsi del tutto al tradizionale “faccia a faccia”, anche se la comodità degli smartphone condiziona. Niente di troppo diverso dalla vecchia e diffusa abitudine di cenare con la tv accesa o di parcheggiare i bambini davanti ai cartoni per consentire. Tuttavia nello stare “soli insieme” di oggi c’è una differenza rispetto alla visione della tv di un tempo: prima davanti allo schermo si stava in un luogo e per un periodo circoscritto, oggi siamo sempre connessi, raggiungibili ovunque e quindi è facilissimo «distrarci».

 

Non è colpa dei ragazzi

Un errore frequente è colpevolizzare i ragazzi, che non parlerebbero perché troppo presi dai loro cellulari. Sicuri che sia così? Allora come si spiega che sono spesso proprio loro a chiedere ai grandi di spegnere il telefono o il pc quando sono insieme? «I genitori sono modelli di identificazione e devono essere coerenti» ricorda Turuani. «La mail di lavoro sottrae lo stesso tempo di un messaggio della fidanzata, il risultato emotivo è lo stesso per il figlio: vi state occupando di altro, non di lui. In molti Paesi i componenti di una famiglia cenano separati, chi davanti alla televisione, chi al computer, chi a studiare, ma sarebbe importante mantenere la tradizione di riunirsi a tavola e passare una mezz’ora insieme, per condividere le esperienze della giornata e rafforzare il legame affettivo. Preservare alcuni momenti familiari senza tecnologie è il primo passo per concedersi un tempo “sconnesso” che va riempito con scambi di opinioni e confidenze». Senza illudersi però, che basti spegnare i dispositivi digitali per avere una buona comunicazione in casa.

Senza intelligenza emotiva non si può insegnare

AUTORE: Umberto Galimberti

DATA: agosto 2019

Galimberti: “I Docenti Dovrebbero Essere Assunti in Base all’Intelligenza Emotiva, Senza di Essa Non si Può Insegnare”

Dall’incontro “Educazione emozionale a scuola: il metodo RULER”, che si è tenuto alla fiera Didacta a Firenze è emerso che la scuola italiana si occupa poco dell’intelligenza emotiva, nonostante questa sia ormai universalmente riconosciuta come componente fondamentale nello sviluppo della psiche umana. A parlare di questo argomento sono intervenuti la dottoressa Laura Artusio e il professor Umberto Galimberti.

La dottoressa Artusio ha presentato il metodo RULER di educazione socio-emozionale (SEL). Questo metodo sviluppato presso la Yale University è stato adattato al diverso contesto italiano. Si rivolge a tutto il corpo docenti e mira a sviluppare modalità didattiche alternative che abbiano lo scopo di stimolare l’intelligenza emotiva degli studenti. Cinque sono le abilità chiave dell’intelligenza emotiva : il riconoscimento, la comprensione, il vocabolario emozionale, l’espressione e le strategie di gestione delle proprie emozioni.

Il professor Galimberti ha sottolineato quanto i genitori, oberati dal lavoro o da altre occupazioni, spesso trascurano questo tipo di apprendimento: “Oggi troppo spesso l’apporto genitoriale è fallimentare, i genitori non hanno più tempo di rispondere alle domande filosofiche dei bambini, ai loro mille perché, e spesso le parole mancate vengono sostituite da montagne di giocattoli”.

Questa mancanza, spiega il professore, produce due effetti negativi importanti: un analfabetismo affettivo diffuso e “il rapido appagamento offerto dal giocattolo che impedisce ai bambini di annoiarsi. Quando invece dovrebbero trovarsi in situazioni noiose per elaborare poi, in modo creativo, degli stratagemmi per divertirsi”.

Galimberti ha poi spiegato la differenza tra istruzione, come mera trasmissione di saperi, ed educazione, che permette invece ai bambini di sviluppare la propria personalità: “L’educazione emotiva è ciò che più scarseggia nel sistema scolastico italiano, quando un ragazzo rimane impantanato nello stadio pulsionale il rischio è che sviluppi forme di violenza e bullismo. La pulsione non si esprime in parole, ma solo in gesti e azioni”. Il professore spiega poi come migliorare questa situazione: “Innanzitutto limitando il numero di alunni per classe, fino a un massimo di quindici studenti; ma soprattutto ci vorrebbe una formazione specifica per i professori, che dovrebbero essere scelti anche in base a criteri emotivi e non solo conoscitivi. Se una persona non è empatica e coinvolgente non può fare il professore. È qualcosa che non si può imparare”.

Non manca poi il dissenso totale di Galimberti per l’uso spropositato di strumentazioni tecnologiche e lavagne elettroniche nella scuola italiana: “Dovrebbe essere strapiena di letteratura, soprattutto di romanzi, che permettono di definire le proprie emozioni immedesimandosi nella vita degli altri. Il razzismo nasce proprio dall’incapacità di riconoscersi nell’altro, e su questo dobbiamo intervenire oggi più che mai”.

Per comprendere il bullismo bisogna saper guardare alle radici

FONTE: Il Sole 24 Ore

AUTORE: Pietro Bordo

DATA: 7 giugno 2018

I recenti fatti di cronaca, docenti oltraggiati da ragazzi, ripropongono con forza il tema del bullismo, che si manifesta ormai verso ogni persona ritenuta debole, adulto o minore.
La maggioranza assoluta di commenti sono di persone che dell'albero del bullismo vedono solo le foglie, e propongono soluzioni ad esse rivolte. Ignorano completamente le radici, mentre è proprio lì che bisogna agire, prima che la pianticella diventi un albero.

Queste persone non godono dell'osservatorio privilegiato che ho io: da quarantaquattro anni trascorro ventidue ore settimanali insegnando nella scuola primaria, dove nascono e crescono le radici della pianta del bullismo. E quante volte vedo atteggiamenti e comportamenti di bambini della fascia sei-dieci anni che, se non corretti, non è difficile prevedere che sfoceranno in atti di bullismo.

“Fai proprio schifo, sei ‘na pippa; nun te volemo più in squadra!”
Queste parole, dette con veemenza verbale, mimica e gestuale, non sono pronunciate da un ragazzo terribile di una borgata romana, ma da un bel bambino di una cosìddetta buona famiglia, generalmente educato e gentile, che sta giocando a pallone con i compagni di scuola. La sua classe è la prima primaria, quindi ha appena sei anni.
Tante volte ho sentito pronunciare queste frasi, o simili, durante i miei quarantaquattro anni d'insegnamento.
E non è l'estrazione sociale la causa di certi comportamenti che, se non osservati, o se trascurati e non curati, degenereranno successivamente nel bullismo.

Cerchiamo di capire perché accadono certi episodi e le conseguenze che ne possono derivare in funzione delle varie risposte degli adulti.
Prendendo in esame un gruppo di venti bambini che si affacciano al primo anno di scuola primaria, dal punto di vista caratteriale statisticamente possiamo notare che generalmente ve n'è un terzo eccessivamente timido e tranquillo, un terzo disinibito ed esuberante, un terzo “normale”.
Gli appartenenti al secondo gruppo sono quelli che vogliono dominare i compagni, che vogliono sempre imporre i loro giochi preferiti, che voglio sempre aver ragione durante il gioco. Se non litigano fra di loro per il predominio individuale, si coalizzano contro tutti gli altri per imporre la loro volontà.
Quelli del gruppo dei timidi e tranquilli soccombono subito tutti, senza praticamente reagire. Quindi non “divertono” i dominanti, che raramente infieriscono su di loro.
Gli altri, quelli del gruppo dei “normali”, reagiscono secondo la loro caratteristica individuale, qualcuno con forza. Sono quelli che danno maggiore soddisfazione ai dominanti, che si esaltano nel branco.

Perché un bambino esuberante si comporta così?
Innanzi tutto per una sua componente caratteriale genetica. Ma soprattutto perché non è stato aiutato negli anni precedenti.
Il primo aiuto è la presenza nei primi anni di vita di persone competenti che gli vogliano veramente bene, che lui senta vicine, e che non lo seguano solo per una remunerazione o perché non possono rifiutarsi di farlo. Persone quindi desiderose di educarlo, che siano preparate allo scopo, che quindi non lo assecondino in comportamenti capricciosi o prepotenti.
Quanti bambini passano con le tate, spesso del tutto inadeguate ad educarli, molto più tempo di quello che passano con i genitori! Oppure quanti passano tanto tempo con altre persone, ad esempio i nonni, che non hanno alcuna consapevolezza educativa e prendono decisioni senza valutarne le conseguenze. Quelle che poi si notano subito i primi giorni di scuola. O quanti bambini, ancora peggio, passano interi pomeriggi ad alimentarsi di violenza giocando con videogame che istigano ai peggiori comportamenti; oppure giocando, incontrollati, per strada ad imitare i comportamenti peggiori dei ragazzi più grandi e degli adulti, quei comportamenti dei quali la televisione riferisce con ricchezza di casi e dovizia di particolari.

Ma anche se il bambino passa tanto tempo con i genitori ma essi non educano, se trascorre i primi anni di vita prevalente con la mamma, ma essa non è preparata ad educare e segue solo il suo istinto, le conseguenze negative per la crescita sociale del bambino sono quasi sempre deleterie.
La saggezza popolare dice infatti che fare i genitori è sì il più bel lavoro del mondo, ma anche il più difficile, poiché nessuno ti insegna sul serio a farlo.

Il secondo aiuto è la presenza, sin dai primi anni di vita sociale (asilo, scuola primaria), di insegnanti motivati, preparati sul serio, non sulla carta, autorevoli e consapevoli dell'importanza della loro azione sul futuro dei bambini loro affidati.

Limitandoci al problema del bullismo, è fondamentale che l'insegnante i primi giorni di scuola spieghi serenamente, col sorriso, ma chiaramente ai bambini che a scuola ci sono delle regole; che chi non le rispetta avrà delle conseguenze negative; che la regola principale è il rispetto delle persone.

Ma tutto ciò non serve a niente se l'insegnante non sa che egli deve presenziare attivamente ad ogni attività che svolgono i bambini, soprattutto durante i momenti di gioco.
Specialmente durante la ricreazione, quanti insegnanti si riposano conversando amabilmente con i colleghi e lasciando i bambini praticamente liberi di fare e dire ciò che vogliono. Se un bambino tende ad assumere atteggiamenti negativi, l'insegnante, che vigila stando in mezzo a loro, deve subito intervenire, prima che la situazione degeneri in liti o si sviluppino situazioni di bullismo, spiegando al gruppo cosa non va, perché ed eventuali conseguenze future in caso di ripetizione dell'azione negativa. E se il fatto si ripete, deve sanzionarlo; serenamente, senza esagerare, con gradualità e progressività, ma inflessibilmente. Il bambino così acquisisce l'abitudine a controllarsi ed a rispettare i compagni.

Ovviamente per far ciò il docente deve contare sull'accordo con i genitori, sulla loro fiducia, elementi non sempre presenti.

Immaginiamo un bambino che nei primi anni di vita fa il prepotente in famiglia ed all'asilo. Arriva alla primaria dove tutti i giorni, per anni, impone ai compagni in ogni maniera la sua volontà, incrementando di anno in anno la sua forza, imparando che gode dell'impunità. Passando alle medie e poi alle superiori questo ragazzo penserà di non avere più limiti, di poter fare impunemente ciò che vuole.
Accadranno allora tutti i fenomeni di cui si occupa la cronaca; ed anche quelli meno eclatanti, ma più diffusi e dannosi come gli altri.
Non dimentichiamoci che gli interventi sui bambini più tardi si fanno e maggiore forza richiedono (ed hanno minor probabilità di successo).
In sintesi: i bambini diventano bulli se adulti impreparati ad educarli non li aiutano preventivamente.

Perché i genitori non vogliono più leggere ad alta voce con i loro figli

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Caterina Belloni

DATA: 27 febbraio 2018 

Si sta perdendo un’abitudine utilissima per lo sviluppo cognitivo dei più piccoli. La colpa? In parte del digitale, che fagocita l’attenzione dei bambini, in parte del disagio crescente degli stessi genitori nel maneggiare i libri.

Titoli da gustare insieme: 14 consigli

Il numero dei genitori che leggono storie ai loro bambini è in continua diminuzione. A lanciare l’allarme è un sondaggio intitolato promosso in Gran Bretagna dalla Nielsen. Secondo questa indagine, dal 2013 ad oggi si è registrata una diminuzione del venti per cento nel numero di mamme e papà che si siedono con i pargoli a leggere. Eppure l’abitudine di sfogliare insieme un libro aiuta a sviluppare legami forti tra genitore e figlio e favorisce lo sviluppo cognitivo del piccolo. I pedagogisti lo ripetono, gli educatori lo sostengono, nelle biblioteche dei ragazzi si sono creati programmi e spazi speciali per invogliare a questa pratica. In Gran Bretagna, ad esempio, ai bambini delle elementari viene assegnato come compito di leggere insieme a un genitore per un quarto d’ora al giorno fino alla terza elementare e per mezz’ora dal quarto anno in poi. Linee guida ed indicazioni che mirano a far crescere bambini sani e felici, ma che sembrano disattese nella realtà.

Wonder e altre 13 meraviglie da leggere con i vostri figli a Natale

Colpa dei figli...

La conclusione del sondaggio lo dimostra, puntando il dito soprattutto sulla mancanza di momenti di lettura per i più piccoli. Durante lo scorso anno sono stati intervistati 1596 genitori di bambini da zero a tredici anni a proposito delle loro abitudini di lettura e anche 417 teenager tra i 14 e i 17 anni. E’ emerso che il 69 per cento dei bimbi in età prescolare nel 2013 aveva momenti di lettura quotidiani con un genitore, mentre adesso la percentuale è scesa al 51 per cento. Il 19 per cento dei genitori ha anche dato una spiegazione per questa riduzione: i bambini appaiono troppo stanchi e fissare la loro attenzione sul libro risulta impossibile, ma forse quelli esausti e poco motivati sono soprattutto gli adulti. Anche perché nel questionario un genitore su cinque ha confessato di provare disagio quando entra in una libreria, mentre ancora di più sostengono di sentirsi sopraffatti dall’ampia offerta di libri per bambini, con la conseguenza che non riescono a sceglierne uno e finiscono poi per non leggere ai figli (46 per cento).

Otto modi per far leggere di più i vostri figliI consigli dell’Harvard Business Review

... o dei genitori?

La ricerca, poi, fa emergere un’altra causa di disinteresse per la parola scritta. Qualcuno sostiene che i piccoli non vogliano leggere i libri perché preferiscono fare altre cose, come ad esempio guardare cartoni animati alla tv o video sul computer (16 per cento). I genitori cedono alle loro richieste, «archiviano» i libri stampati e illustrati, ma poi confessano di essere spaventati dall’attenzione che i bambini dimostrano nei confronti dei nuovi strumenti tecnologici. Il 61 per cento degli intervistati ha segnalato questa preoccupazione, ma forse per evitarla bisognerebbe affidarsi di più alla vecchia abitudine della lettura sul divano. Mano nella mano. 

È la cultura dell’impunità che genera le baby gang

FONTE: Il Sole 24 Ore

AUTORE: Pietro Bordo*

DATA: 9 febbraio 2018

Ancora più della repressione, manca un’educazione adeguata e per i ragazzi gli elementi diseducativi sono i preferiti, in quanto molto attraenti. I genitori e la scuola si rivelano molto spesso incapaci di rispondere al proprio ruolo.

Il problema delle bande di bambini, in questi giorni all'attenzione della cronaca, non ha nella repressione l'elemento risolutivo fondamentale, che è invece l'eliminazione, o l'attenuazione, della cultura dell'impunità.

La cultura dell'impunità si sviluppa in tenera età in famiglia e nella società, soprattutto, a scuola. Il ministro Minniti ne ha parlato qualche giorno fa a Napoli, ma con una visione teorica, non concreta, in quanto non è il suo lavoro sapere cosa accade nelle scuole e quanto ciò che accade nella società influenza i ragazzi.

Tutti in Italia potremmo scrivere un elenco infinito di comportamenti negativi tenuti con la quasi certezza dell'impunità, o della prescrizione. Ecco alcuni di quelli che tutti i giorni attirano la nostra attenzione, dai più gravi a quelli apparentemente meno, passando per quelli incredibili.

I politici, i dirigenti o i funzionari ad ogni livello che chiedono esplicitamente o meno percentuali o altre dazioni per favori di ogni genere, a danno della collettività.
Il cittadino che butta la spazzatura fuori dei cassonetti, anche se non sono pieni; parcheggia come gli pare e butta carta o altro per strada.
I padroni dei cani che lasciano sui marciapiedi gli escrementi del loro animale.
Gli evasori fiscali che non solo non pagano la loro parte per i servizi che ricevono dai vari enti, ma ottengono “precedenze” in vari servizi pubblici rispetto a chi dichiara onestamente tutto. Caso tipico: il figlio dell'evasore va all'asilo pubblico, quello del vicino di casa onesto (che conosce bene lo stile di vita dell'altro) no.
Gli automobilisti che non lasciano passare i pedoni sulle strisce (in Spagna, ad esempio, non devi avvicinarti alla strada, altrimenti si fermano tutti pensando che tu debba attraversare).
E così via…
Uno dei motivi che determinano tale situazione è che la nostra società è ormai abituata alla mancanza di rispetto per le regole.

Perché? Ancor più della repressione, manca un'educazione adeguata e per i ragazzi (che poi diventano uomini) gli elementi diseducativi sono i preferiti, in quanto molto attraenti.

Fino a circa cinquant'anni fa erano presenti nella società, in generale, vari fattori educativi positivi.
Nell'ambito familiare, c'era almeno un genitore sempre molto presente in casa. Il ragazzo non era quasi mai da solo. Anche i nonni erano molto presenti, ed anche altri parenti. E quasi tutti educavano. Oggi i ragazzi sono spesso soli, con il cellulare ed il computer.
Un genitore presente in casa il pomeriggio è oggi un sogno per tanti ragazzi. Considerando che fino a cinquant'anni fa tale condizione è stata la norma per gli esseri umani per milioni di anni, è facilmente comprensibile come tale situazione alteri in maniera deleteria il loro equilibrio affettivo, togliendo loro serenità.

I nonni sono presenti in poche famiglie. I contatti con zii ed altri parenti sono molto limitati, rispetto al passato. Alcuni bambini sono abituati a trattare alla pari gli adulti con cui sono in contatto o che lavorano per la famiglia, pensando poi di poter esportare tale comportamento con gli altri adulti con i quali entrano in rapporto (ad esempio con i docenti).
Ed evidenziamo che i padri, per troppo lavoro, o ignoranza, spesso trascurano l'educazione dei figli e si interessano poco alla loro istruzione.
Quasi tutti si dimenticano che ciò che più vogliono i ragazzi è l'amore dei genitori, accompagnato dalla loro presenza fisica.
Nella società, molti adulti, per strada ed altrove, fino a non molti decenni fa si preoccupavano di controllare ed eventualmente rimproverare chi sbagliasse.

Oggi sono presenti vari fattori diseducativi.
Nella società, la TV, la diseducatrice per eccellenza, che quando reca poco danno intorpidisce la mente ed il cuore, generalmente propone modelli tremendamente affascinanti e vincenti, che portano i ragazzi a considerare come obiettivi fondamentali della loro vita il successo, il denaro ed il sesso, da ottenere a qualsiasi prezzo. Ovviamente se i bambini sono soli per ore a casa, o in compagnia di baby-sitter che se ne disinteressano o di nonni incapaci di gestirli, ne vedono quanta vogliono.
Internet, oggi ancor più “educante” della TV, un mare infinito, dove insieme ad informazioni utili puoi trovare, mi dicono, quanto di peggio si possa immaginare, ed anche di più. Ed immaginiamo dove la curiosità possa portare anche il migliore dei bambini, magari solo per ore ed ore a casa.

La scuola in passato educava come oggi ai valori positivi comuni, ma senza il buonismo e la tolleranza eccessivi attuali, che consentono a tanti bambini di fare tutto senza praticamente averne conseguenze significative. Oltretutto questo frustra quelli che rispettano le regole e li induce, o almeno stimola, a non farlo.
A scuola (i dati che uso li ho ottenuti dai miei nipoti; da centinaia di colleghe e da altre centinaia di alunni e genitori di varie scuole; dalle mie osservazioni dirette, poiché insegno nella scuola primaria da quarantatrè anni) i ragazzi vedono spesso cattivi esempi dei compagni e la mancanza di un intervento adeguato affinché tutti rispettino le regole positive.
Ciò che più produce danni nei ragazzi e nei docenti è l'acquisizione della consapevolezza della quasi impunità, qualunque sia il loro comportamento, poiché pochi se ne occupano sul serio, anche perché non hanno strumenti per farlo. E tanti “9” e “10” consentono a genitori, che hanno tanto da fare, ed agli insegnanti, che poco vogliono fare, o non vogliono problemi con i genitori, di vivere felici e tranquilli.

Un altro fattore diseducativo è l'abitudine di tanti genitori di superare il senso di colpa derivante dalla consapevolezza di stare poco con i figli “comprando” la loro gratitudine, abituandoli quindi ad avere subito, a prescindere dall'averli meritati, oggetti materiali, spesso costosi ed inutili. Molti genitori stanno poco con i figli per ignoranza, altri perché non possono proprio farlo, dovendo lavorare per sopravvivere. Peccato che il tempo che loro non danno ai propri figli è ciò che essi più desiderano. I bambini crescendo, a volte soprattutto o soltanto fisicamente, potranno sempre avere tutto?
Penso appaia evidente l'importantissimo, direi vitale, ruolo dei genitori e dei docenti, che dovrebbero insieme collaborare, con sicuro effetto sinergico, per educare ed istruire i bambini.

*docente scuola primaria

Tigre, elicottero o spazzaneve. E tu che genitore sei?

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: 

DATA: 26 dicembre 2017

Le nuove definizioni delle tipologie di genitori, a seconda della loro relazione con i figli: quelli che sono troppo amici, quelli super-severi. Ecco il catalogo

 

Genitori spazzaneve

Gli anglosassoni li chiamano «genitori spazzaneve», perché - letteralmente - «ripuliscono ogni cosa davanti ai loro figli in modo che nulla possa andare loro storto e possa minacciare la loro autostima». Ma ormai i genitori spazzaneve fanno parte della letteratura scientifica che indaga sui rapporti intrafamiliari. Sono iperprotettivi e eccessivamente desiderosi di evitare qualsiasi fatica e/o imprevisto ai figli sul cammino della vita. Di solito vogliono evitare gli insuccessi dei figli perché sono incapaci di affrontarli e gestirli.

 

Genitori elicottero

I genitori elicottero rappresentano l’iperpadre e l’ipermadre: sono quei genitori che trasformano il desiderio legittimo di successo dei figli in un’ossessione per se stessi e per questi ultimi. La loro sindrome è molto evidente nell’ambito della carriera scolastica dei figli, che ritengono debba funzionare al meglio senza ostacoli ma soprattutto senza considerare desideri e inclinazioni dei ragazzi. Così facendo di solito creano le condizioni per frustrazione e infelicità alla prole.

 

Mamme tigre

Prima e fortunata formula creata ormai sei anni fa dalla cinese Amy Chua nel suo best seller autobiografico «Battle Hymn of the Tiger Mother», la mamma Tigre definisce le mamme che vogliono figli super-performanti seguendo la regola dello studio matto e disperatissimo, che non concede spazio ad attività che non siano educative già dall’infanzia. Dopo una dibattito acceso la mamma Tigre è stata liquidata come genitore infelice e depresso e il metodo della professoressa di legge a Yale Amy Chua è stato bocciato da esperti e ricercatori: sono infelici le mamme tigri e anche i loro tigrotti.

 

Mamme chioccia

Parenti strette dei genitori elicottero le mamme chioccia, con la loro iper-presenza sia fisica che psicologica e con le migliori intenzioni, tendono a rovinare la vita dei figli, perdendo di vista ciò che è veramente importante per l’educazione e lo sviluppo della personalità. Oltreoceano è un atteggiamento attribuito principalmente alla famosa generazione dei baby-boomers, quelli nati nel dopoguerra (tra il 1946 e il 1964), che, una volta diventati genitori, svegliano tutte le mattine i loro «bambini» perché non arrivino in ritardo a lezione, magari al college, probabilmente via telefonino (che il professore americano Richard Mullendore ha definito «il cordone ombelicale più lungo del mondo»). Ecco alcuni consigli per evitare un eccesso di «chioccismo»

 

Mamma coccodrillo

Secondo la teoria di Lacan sono le madri che si sacrificano per la vita del figlio e così, insoddisfatte di sé, tendono poi anche a inglobarne l’esistenza, come in una eterna gravidanza. Si tratta di una figura tipica delle società patriarcali, in cui i padri incarnano la Legge e le mamme la cura. Oggi è un tipo di psicopatologia meno diffuso che ha lasciato il posto al suo contrario: alla mamma narciso che non vuole occuparsi dei figli per occuparsi di sé.

 

Genitori pavone

Oltre agli elicotteri, agli spazzaneve e ai coccodrilli ci sono i genitori «Pavone». Sono coloro che si compiacciono specchiandosi nei propri figli. Genitori prestazionali sognano di avere dei piccoli campioni invece che dei figli da educare e da mostrare.

 

Papà peluche

Secondo la definizione di Daniele Novara si tratta di «una figura di genitore morbida, compiacente, gratificante. Che non ama stare nel suo ruolo, si trova a disagio». Paralizzati dalla paura di opporsi ai figli con dei no, di contenerli e guidarli con decisione, producono creando disordine dei ruoli dentro la famiglia dei figli tirannici. Ma anche dei figli soli ai quali sono inconsapevolmente demandate le scelte anche da piccoli come se fossero adulti.

 

 

Il padre-peluche: genitore morbido, compiacente. Non sa stare nel suo ruolo, si trova a disagio e concede tutto

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Antonella De Gregorio

DATA: 6 ottobre 2012

«Un incontro per genitori: un papà mi chiede se può usare la paghetta come punizione: toglierne un po’ alla figlia (5 anni) disubbidiente… Per me, due orrori in uno», commenta l’educatore Daniele Novara. «Una mamma mi racconta del figlio, 4 anni, che fa sempre quel che gli pare. Poi, per dimostrarmi quanto sia “avanti”, mi dice: pensi che quest’estate ha scelto lui dove andare in vacanza, voleva vedere la Cina», racconta Anna Oliviero Ferraris, docente e psicoterapeuta dell’età evolutiva.

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Esempi, tra i tanti che gli esperti di famiglia e infanzia collezionano quotidianamente. Che dicono quanto la situazione ci stia sfuggendo di mano. Quanto nella nostra generazione i bambini siano sempre più chiamati a decidere al posto dei grandi, costretti a prendere posizione.

Bambini «adultizzati», che scelgono i corsi da frequentare, la scuola, cosa si fa nel weekend. In quale casa restare quando mamma e papà non vanno più d’accordo…

Quelli che Irene Bernardini psicoterapeuta con grande esperienza di conflitti, genitori e figli descrive nel suo libro «Bambini e basta» (Mondadori). Bambini che avete presente di sicuro, che non andrebbero a letto mai, interpellati su tutto («che cosa vuoi mangiare amore?»), super protetti dalla fatica di imparare a vivere, ma costretti a dare corpo a un’immagine da vincenti.

E che, loro malgrado, si trovano anche a farci un po’ da mamme e da papà. Bambini, in fondo, soli. Perché lasciati soli a decidere, quando siamo noi a dover decidere per loro. Mentre noi, gli adulti, dice la psicologa, siamo, all’opposto, «infantilizzati»: sempre più insicuri e fragili. Incapaci di governare le nostre vicende personali, scarichiamo responsabilità e compiti sui figli.

Quanti ne vediamo di bambini così? «Tanti — assicura Daniele Novara, arrabbiato con un Paese orfano di pedagogia —. Sono più di vent’anni che assistiamo a questo ribaltamento dei ruoli. Siamo passati dal padre-padrone al padre-peluche, una figura di genitore morbida, compiacente, gratificante. Che non ama stare nel suo ruolo, si trova a disagio. Dal disordine esce un “figlio tirannico”». Oppure quello che Susanna Mantovani (docente di Pedagogia, prorettore all’Università Bicocca di Milano) chiama: «figlio disorientato». È l’altra faccia del rispetto, dice. Dal «decido tutto io» si è passati al «non decido niente».

L’eccesso di scelta manda i piccoli in confusione. Invitare il bambino a dire «voglio» crea uno squilibrio, mentre l’educazione è questione di equilibrio. Un equilibrio che cambia a seconda dei tempi e delle circostanze.

 La tendenza a non scegliere ciò che è giusto per il figlio, la pigrizia emotiva, caratterizzano questo tempo. «Io preferisco un genitore che si impone un po’, magari anche sbagliando, a un educatore fragile, che rende i bambini insopportabili e confusi». Rinunciando al compito di far loro conoscere il mondo, aspettando che si comportino da adulti, certi genitori si sfiniscono, si arrabbiano, sprofondano nell’impotenza e cedono sempre di più.

«Credono di farlo per amore, invece lo fanno per sé, perché non sanno che un bambino è soprattutto piccolo. Che ci vuole un gran lavoro dei grandi per aiutare un bambino ad affrancarsi, poco alla volta, dai suoi desideri assoluti», sostiene Bernardini.

Se i nostri bambini crescono troppo in fretta, è anche colpa della società del consumo, dice Anna Oliverio Ferraris, che qualche anno fa ha dedicato un libro — «La sindrome Lolita», Rizzoli — a questi adulti in miniatura:

«Siccome devono diventare anche loro degli acquirenti, si spingono il più presto possibile verso l’adolescenza convincendoli che sono molto più maturi di quanto non siano e che possono scegliere autonomamente».

Gli studi degli psicologi ci dicono che i bambini oggi sono più svegli, più intelligenti. «Ma si fa confusione tra intelligenza e maturità, che è fatta di anche di crescita emotiva, di esperienza — avverte la psicoterapeuta —.I nostri bambini possono capire più di quello che emotivamente sono in grado di reggere».
Invertire la rotta è possibile? Sì, secondo Novara. Cominciando a dire qualche no, senza sprofondare nei sensi di colpa. Poi? «Sospendere le discussioni. Si chiede ai genitori di parlare tanto con i figli, ma l’educazione viene prima. Il discussionismo provoca nei figli un senso di solitudine». Infine, dice — e lo spiega anche in un manualetto appena uscito, «L’essenziale per crescere» (Mimesis) — bisogna evitare ogni forma di «servizievolezza»: e cioè fare «le cose che san fare i bambini, solo perché i bambini non le vogliono fare». Esempio? Ti taglio la pizza a sei anni o ti raccolgo la forchetta perché tu non hai voglia di farlo. Novara è speranzoso: «Questa è una generazione di genitori molto ingaggiati, che vogliono fare il meglio possibile». Mantovani vede la strada in salita: «A volte bisogna avere il coraggio di farsi aiutare da un esperto».

E Bernardini: i bambini non sono più «i bastoni della nostra vecchiaia», come li chiamavano i nonni. E non possono essere le nostre bussole.

Hanno bisogno che noi siamo grandi. Che assecondiamo non i loro desideri ma i loro bisogni. E noi abbiamo bisogno che loro siano piccoli. Bambini. E basta.

Come far mangiare le verdure ai bambini

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Laura Cuppini

DATA: 1 febbraio 2017

Strategie (più o meno assurde)
per far mangiare le verdure ai bambini

Molti genitori devono affrontare il rifiuto dei figli di fronte ai vegetali: c’è chi li nasconde dentro alimenti più graditi e chi minaccia terribili punizioni. Ma sono tutte strade destinate a fallire. Le uniche “armi” davvero efficaci sono in realtà le più semplici: coinvolgere i bambini nella preparazione del pasto, dare il buon esempio mangiando verdure in prima persona, ricordarsi che ognuno ha i suoi gusti ma anche che le abitudini alimentari si formano nei primi mesi di vita e dunque le scelte di mamma e papà sono decisive.

Bambini «corrotti» col denaro

C’è chi nasconde le verdure dentro bocconi di altro cibo, chi costringe i figli a restare seduti finché il piatto non è perfettamente pulito, chi minaccia punizioni o promette regali. Probabilmente ognuno di noi conosce genitori “disperati” per il rifiuto del pargolo a mangiare qualunque alimento di colore verde (o comunque di origine vegetale). Una teoria recente ha lanciato l’idea di aprire un conto corrente bancario in cui vengono versati dei soldi ogni volta che il piccolo mangia un piatto di spinaci o il minestrone. I benefici di questa “corruzione” si vedrebbero, secondo uno studio americano, per alcuni mesi anche dopo il termine dei versamenti sul conto. E l’obiettivo finale sarebbe quello di accompagnare il figlio, a suon di omaggi monetari, fino all’età in cui può rendersi conto da solo che mangiare sano è importante per stare bene (e dunque, in teoria, a quel punto lo farebbe anche senza incentivi). Un articolo sulla Cnn fa notare che qualunque corrispettivo, in denaro e non, è assolutamente lontano dal raggiungere lo scopo finale, che è - o dovrebbe essere - far sì che i bambini abbiano un buon rapporto con il cibo, soprattutto quello salutare. Con frasi come «se non mangi la verdura non avrai il dolce», si sottintende che mangiare i vegetali è una specie di “tortura” per arrivare al cibo davvero desiderabile, ovvero il dessert. E allora, che fare?

 

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