FONTE: almanacco.cnr.it
AUTORE: Rita Bugliosi
DATA: 7 dicembre 2022
A ricordarlo è Michela Matteoli, direttrice dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche, che evidenzia come il sonno notturno garantisca alcune importanti facoltà mentali, dalla memorizzazione all’apprendimento. E come la sua mancanza possa in parte contribuire allo sviluppo di gravi patologie, quali le demenze.
Il sonno è una funzione fondamentale dell’organismo, che si modifica assieme a noi durante la crescita. La sua regolarità e buona qualità garantiscono la nostra sopravvivenza, ma anche la salute del nostro cervello e del nostro organismo, non a caso gli viene dedicata un’ampia porzione della nostra vita. Dormire una quantità insufficiente di ore può avere effetti negativi importanti di vario tipo: ridurre l’attenzione e le capacità cognitive, causare cambiamenti di umore, esporci a un rischio più elevato di alcune malattie quali obesità, diabete di tipo 2, ipertensione, malattie cardiache ed ictus. Cerchiamo allora di comprendere meglio alcune caratteristiche di questa importantissima funzione, a partire dalle differenze nei due sessi.
“Maschi e femmine possiedono sin dalla nascita una differente struttura del sonno, diversità che sono stabilite durante la vita fetale e cambiano durante la crescita. Uno studio francese del 2017 ha valutato i disturbi del sonno in un campione di 381 bambini tra 4 e 16 anni, rivelando, in accordo con ricerche precedenti, che in età infantile le femmine dormono più a lungo e con una migliore qualità del sonno rispetto ai maschi. Dopo i 12 anni di età, in corrispondenza della pubertà, si assesta invece una prevalenza di insonnia e disturbi del sonno di 2,5 volte superiore nelle ragazze rispetto ai coetanei”, spiega Michela Matteoli, direttrice dell’Istituto di neuroscienze (In) del Cnr.
A determinare le ore di sonno è la struttura del cervello e ciò che si sa, in base alle ricerche che sono state condotte, è che dormire di più o di meno ha degli effetti sulle facoltà cognitive. “Utilizzando i dati della Biobanca del Regno Unito, un gruppo di ricercatori ha recentemente esaminato il sonno e i punteggi cognitivi di individui sani tra i 38 e i 73 anni, in relazione con la loro struttura cerebrale. I dati dimostrano che sette ore di sonno al giorno sono associate a prestazioni cognitive più elevate”, chiarisce la direttrice del Cnr-In. “Gli individui che dormono tra le sei e le otto ore sono risultati avere un volume di materia grigia significativamente maggiore in diverse regioni del cervello, tra cui: la corteccia orbitofrontale, importante nel processo decisionale; l'ippocampo, fondamentale per il consolidamento dei ricordi; il giro precentrale, che fa parte dell'area motoria primaria; il lobo frontale, che supporta il coordinamento dei movimenti volontari; e alcune aree del cervelletto, a supporto di precedenti evidenze che avevano mostrato come l’acquisizione di abilità motorie venga migliorata durante il sonno. Anche gli individui che dormivano più a lungo di otto ore mostravano alterazioni in alcune di queste aree. Questi risultati, osservazionali e che richiedono ulteriori conferme, evidenziano l'importante relazione tra sonno e salute strutturale del cervello”.
Tra i danni principali che la mancanza del riposo notturno determina ci sono anche quelli all’apprendimento: una persona privata del sonno ha maggiori difficoltà a focalizzare l’attenzione in modo corretto e, quindi, non riesce ad apprendere in modo efficace. “Il sonno gioca un ruolo anche nel consolidamento della memoria, il processo che permette di integrare nuove informazioni con quelle già presenti nel cervello, stabilizzando e rafforzando i nuovi ricordi. Tale consolidamento, che svolge un ruolo essenziale anche per l'apprendimento, è diretto dalle cosiddette oscillazioni cerebrali lente, che rappresentano l'attività elettrica tipica delle fasi di sonno profondo”, continua la direttrice del Cnr-In. “Studi di risonanza magnetica funzionale dimostrano che, dopo una notte di totale privazione, due notti consecutive di sonno permettono il recupero della connettività ippocampale, ma non sono sufficienti a ristabilire i deficit di memoria episodica”.
La scarsità di sonno può favorire inoltre lo sviluppo di patologie neurologiche come la demenza, che colpisce un numero sempre maggiore di persone, anche a causa dell’allungamento della vita media. “Negli ultimi anni si è scoperto che, durante la fase del sonno non Rem, il cervello può eliminare composti che altrimenti si accumulerebbero nel parenchima, il tessuto dell'organo costituito dalle cellule che conferiscono le caratteristiche strutturali e funzionali. Questo è il caso della proteina Beta-amiloide, implicata nella malattia di Alzheimer e in altri disturbi cerebrali, che aumenta nel cervello di roditori sottoposti a deprivazione di sonno. Il dato è confermato anche sugli umani”, aggiunge Matteoli, che ricorda uno studio scientifico: “L’Università di Berkeley ha analizzato un gruppo di 101 adulti sani del Berkeley Aging Cohort Study per determinare se il sonno frammentato, durante la mezza età, potesse essere collegato a un più rapido accumulo di Beta-amiloide e proteina Tau. Utilizzando la polisonnografia, questionari retrospettivi e Pet specifica per Tau e Beta amiloide, i ricercatori hanno dimostrato che, nell’arco di diversi anni, lo scarso sonno si correla a una maggiore presenza di placche di Beta-amiloide e grovigli di proteina Tau”.
Si tratta indubbiamente di risultati importanti ma, come conclude la ricercatrice: “Sono necessarie ricerche su un numero maggiore di soggetti per esplorare le relazioni tra l'attività del sonno e l'accumulo di proteine tossiche nel cervello. Tuttavia, la misurazione della qualità del sonno, attraverso dispositivi indossabili e non invasivi, potrebbe essere utile per allertare sul possibile accumulo anomalo di proteine nel cervello prima che si sviluppi il declino cognitivo”.
Fonte: Michela Matteoli, Istituto di neuroscienze, e-mail: michela.matteoli@cnr.it