Cosa fare se sospettate che vostro figlio è un bullo

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: decalogo pubblicato sul profilo Facebook della Polizia di Stato

DATA: 27 gennaio 2017

Ecco dieci consigli utili

Il decalogo pubblicato sulla pagina Facebook «Una vita da social» della Polizia di Stato

Cosa deve fare un genitore quando scopre, o ha solo il dubbio, che il figlio possa essere un bullo o un cyberbullo? La psicoterapeuta Maura Manca, presidente dell’Osservatorio nazionale adolescenza, ha messo a punto un decalogo pubblicato sul profilo Facebook della Polizia di Stato Una vita da social.

PER LEGGERE I 10 CONSIGLI UTILI BASTA USARE IL LINK

Bullismo: aumenta anche l’attenzione

FONTE: Sergio Benvenuto, Istituto di scienze e tecnologie della cognizione, Roma, tel. 06/44362370

AUTORE: Marco Serio

DATA: febbraio 2016

bullismo

Negli ultimi anni, con frequenza e ampiezza crescente, testate giornalistiche e talk show dedicano spazio a notizie e dibattiti sul tema del bullismo, specie in coincidenza di casi di cronaca drammatici, come quello della dodicenne di Pordenone indotta a tentare il suicidio dai suoi coetanei. Su 15.268 ragazzi intervistati da Skuola.net, 1 su 3 si è dichiarato vittima di episodi di bullismo. Nella fascia di età compresa tra i 14 e i 17 anni, i bullizzati sono addirittura 2 su 5. Secondo Sergio Benvenuto, dell'Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc) del Cnr, non siamo però di fronte ad una novità: ciò che è realmente cambiata è la sensibilità collettiva. “Oggi il bullismo ci appare più diffuso dal momento che, almeno pubblicamente, esso viene sempre meno tollerato dagli adulti, siano essi genitori o educatori”.

Un tempo, invece, la tolleranza era tanto diffusa da portare quasi a una 'istituzionalizzazione’ del fenomeno. “Basti pensare alle feste delle matricole universitarie oppure al nonnismo verso le reclute durante il servizio militare”, prosegue il ricercatore. "Venuta in qualche modo meno questa complicità degli adulti, aumenta la determinazione nel reprimere comportamenti e manifestazioni presenti, in comunità giovanili quali la scuola e l'esercito".

Una componente cui non si dedica la stessa attenzione è il bullismo femminile rispetto a quello maschile, che si esplica con azioni diverse ma non meno gravi: “Se ne parla meno perché non è fisico, come quello tra maschi, ma verbale, a base di gossip e calunnie. Lo si vede bene in un film recente, 'La vita di Adele’ di Abdel Kechiche, dove una ragazza sospettata di essere lesbica viene 'bullizzata’ dalle compagne”, aggiunge Benvenuto.

Secondo uno studio Hbsc (Health Behaviour in School aged Children) la percentuale di bambine, che già a 11 anni dichiara di aver subito occasionalmente atti di bullismo tra gli anni 2011 e 2014 è passata dal 9,2% al 17,3%. Gli episodi di bullismo online colpiscono poi più le femmine.

Le nuove tecnologie, sono al tempo stesso i canali di diffusione di molti atti di violenza ma anche maggiore visibilità a cui il fenomeno è sottoposto. “Ovviamente anche il bullismo si serve delle tecnologie più avanzate, in particolare di Internet, dello streaming…”, continua lo psicologo. “Prima si facevano circolare bigliettini, ora immagini imbarazzanti della vittima. Anche qui ci è di aiuto un film, 'Disconnect’ del 2012, diretto da Henry Rubin, in cui un adolescente tenta di impiccarsi dopo essere stato ridicolizzato via Internet dai compagni di scuola”.

Tra i ragazzi è sempre più diffuso anche il 'sexting’, ossia lo scambio di video e foto o di testi dal contenuto sessuale attraverso, cellulari e internet. Un fenomeno che sfugge agli adulti se è vero che in Italia solo il 15% dei genitori di ragazzi che hanno sperimentato il sexting ne sono consapevoli, a fronte del 20% dei francesi, del 25% di inglesi e olandesi e del 29% degli spagnoli. 

Intelligenza emotiva

AUTORE: Pietro Bordo

DATA: 1 settembre 1998, ma attualissimo

 

 

Probabilmente sarà capitato anche ad ognuno di voi di trovarvi in situazioni emotivamente forti e di esservi detti: "Non riesco a pensare". Ed immagino che in molte altre situazioni di leggera alterazione emotiva vi sarà capitato di aver avuto difficoltà a concentrarvi, o ad essere totalmente razionali; per, magari, poi pentirvi… di esservi lasciati andare, con tutte le conseguenze negative che avreste volentieri evitate.

brain-1845962_640

 

Sono esperienze comuni a tutti gli uomini e negli ultimi trent'anni alcune università degli USA ne hanno fatto oggetto di studi scientifici seri ed approfonditi. E questi studi hanno dimostrato come l'incapacità di riconoscere e controllare le alterazioni emotive sia un fattore negativo determinante nella vita delle persone. Ciò riguarda soprattutto i bambini, sia nel momento dello studio che in quelli del gioco e delle altre relazioni sociali e famigliari.

Le emozioni hanno un ruolo importante ai fini della razionalità.

Nel complesso rapporto fra sentimento e pensiero, la facoltà emozionale guida le nostre decisioni momento per momento, in stretta collaborazione con la mente razionale, consentendo il pensiero logico o rendendolo impossibile. Allo stesso modo, il cervello razionale ha un ruolo dominante sulle nostre emozioni, con la sola eccezione di quei momenti in cui le emozioni eludono il controllo e prendono, per così dire, il sopravvento, di prepotenza.

In un certo senso, abbiamo due cervelli, due menti; e due diversi tipi di intelligenza: quella razionale e quella emotiva. Il nostro modo di comportarci nella vita è determinato da entrambe: non dipende solo dal quoziente di intelligenza, ma anche dall'intelligenza emotiva, in assenza della quale l'intelletto non può funzionare al meglio.

Ecco perché ho studiato molto per realizzare un programma che insegni ai bambini quella che sopra ho chiamato intelligenza emotiva, un termine che include l'autocontrollo, l'entusiasmo e la perseveranza, nonché la capacità di automotivarsi. Così essi saranno messi nella condizione per far fruttare qualunque talento intellettuale la genetica abbia dato loro.

Ci sono prove crescenti del fatto che nella vita atteggiamenti fondamentalmente morali derivino anche dalle capacità emozionali elementari. Chi è alla mercé dell'impulso, chi manca di autocontrollo, è affetto da una carenza morale: la capacità di controllare gli impulsi è alla base della volontà e del carattere. Per lo stesso motivo l'altruismo non può prescindere dall'empatia, ossia dalla capacità di leggere le emozioni negli altri. Senza la percezione delle esigenze o della disperazione altrui non può esserci preoccupazione per loro.

Attualmente l'educazione emozionale è lasciata al caso, con risultati spesso disastrosi. Mentre, come ho già detto, l'emozione può rivelarsi un motore potente, capace di dare maggiore efficacia ai nostri sforzi, ad esempio nel trovare la motivazione per insistere e provare -provare ancora- nonostante gli insuccessi o nonostante la cosa non sia gradevole.

Oggi tanti bambini -ed adulti- sono affetti da dissemia, l'incapacità di comprendere i messaggi non verbali, senza che essa venga diagnosticata e quindi curata. E questo li danneggia molto, poiché raramente le emozioni dell'individuo vengono verbalizzate; molto più spesso esse sono espresse attraverso altri segni. La chiave per comprendere i sentimenti altrui sta nella capacità di leggere i messaggi che viaggiano su canali di comunicazione non verbale: il tono di voce, i gesti, l'espressione del volto e simili. Naturalmente con la dissemia non può esservi l'empatia. E questo, è dimostrato, danneggia il rendimento scolastico e le relazioni sociali.

L'empatia si sviluppa sin dai primi giorni di vita di un bambino e dipende soprattutto dal modo in cui i genitori riprendono i figli e dalla "sintonia" fra di loro (bambino-genitori). E una situazione negativa in tal senso si può riparare, a casa ed a scuola.

In aula, se l'insegnante sa stabilire un rapporto di sincronia fra lui e l'alunno, che poi vuol dire una coordinazione degli stati d'animo, versione adulta della importantissima sintonizzazione della madre con il neonato, può migliorare di molto i risultati del suo lavoro. Pertanto noi insegnanti non possiamo più disinteressarci dell'analfabetismo emozionale.

Quante crisi adolescenziali sono determinate anche dall'incapacità di individuare i sentimenti dolorosi e di controllarli, senza cadere nei disturbi alimentari (anoressia e bulimia). Quanti matrimoni vanno a rotoli anche per mancanza di intelligenza emotiva. Ad esempio per la mancanza della capacità di tenere a freno i propri sentimenti negativi o di saper ascoltare l'altro; oltre, soprattutto, opinione personale, alla scarsa percezione della sacralità della relazione e quindi alla mancanza di vero amore e di rispetto. Quante relazioni interpersonali non si sviluppano adeguatamente, o si interrompono bruscamente, o non si realizzano affatto, per analfabetismo emozionale.

Già in passato, senza un progetto organico razionale e conoscenze specifiche approfondite sull'argomento, ho realizzato attività che, me ne rendo conto ora, aiutano lo sviluppo dell'intelligenza emotiva. Ad esempio, il "gioco delle offese", durante il quale un alunno alla volta si mette in piedi davanti ai compagni per mostrare la sua capacità di autocontrollo davanti agli insulti che a turno i compagni gli proferiscono. Oppure l'invitare i due bambini che hanno appena litigato a dire davanti a tutti i compagni se in quel momento provano sensazioni di felicità; e a valutare se hanno agito correttamente per prevenire la lite, che ha portato loro tante spiacevoli conseguenze.

Ma non bastano queste iniziative: serve un corso organico, razionale e ben preparato, da svolgere in ambito scolastico, durante le normali ore di lezione. E del quale sarà parte integrante il ricordare ai genitori che debbono curare la loro intelligenza emotiva, se vogliono dare ai propri figli sin dalla nascita una eccezionale gamma di benefici e vantaggi che interessa tutto lo spettro dell'intelligenza emotiva e si spinge ad interessare tutte le componenti della vita.

Lo ripeto: dati sempre più numerosi dimostrano che il successo scolastico e la successiva vita da adulto dipendono in misura sorprendente dalle caratteristiche emotive formatesi negli anni precedenti all'ingresso del bambino nella scuola e che si può rimediare ad eventuali problemi affrontandoli razionalmente, sia a casa che a scuola, con le competenze necessarie.

Lezioni di intelligenza emotiva si svolgono da parecchi anni in scuole degli USA. Ed esse si fondono con materie quali letteratura, scrittura, scienze, studi sociali, religione. I programmi di arte ed immagine della scuola elementare italiana prevedono esplicitamente lo sviluppo di alcune capacità che costituiscono parte, seppur piccola, del bagaglio di competenze emotive indispensabili per ogni essere umano.

Per risultare più efficaci gli insegnamenti emozionali devono essere legati allo sviluppo del bambino e vanno ripetuti in diverse età in modi adatti alle mutevoli capacità di comprensione del ragazzo e alle nuove sfide che deve affrontare, anche perché allora il cervello li accoglie come percorsi consolidati, come abitudini neurali a cui ricorrere in momenti di costrizione, di frustrazione e di sofferenza.

Il programma funziona al meglio, come già accennato, quando le lezioni a scuola sono coordinate con quello che avviene a casa.

Il programma di alfabetizzazione emozionale dovrebbe comprendere quindi anche corsi speciali per i genitori, per insegnare loro ciò che i figli stanno imparando a scuola. E lo scopo non è soltanto quello di consentire ai papà ed alle mamme di integrare ciò che viene impartito ai ragazzi in aula, ma anche quello di aiutare coloro i quali sentono il bisogno di rapportarsi in maniera più efficace con la vita emotiva dei figli. In tal modo i ragazzi ricevono messaggi coerenti di competenza emozionale in ogni ambito della loro vita.

Queste linee parallele di rafforzamento delle lezioni emozionali -non solo in classe, ma anche sul campo di gioco; non solo a scuola, ma anche a casa- danno risultati ottimali. Si aumenta la probabilità che ciò che i ragazzi imparano nei corsi di alfabetizzazione emozionale non rimanga una semplice esperienza scolastica, ma venga messo alla prova, praticato e affinato nelle sfide reali della vita. E tutto ciò è ormai dimostrato.

Quelli che seguono sono gli obiettivi principali del curriculum della "scienza del sé", il programma per lo sviluppo dell'intelligenza emotiva. Dei tredici obiettivi fondamentali qui ne ho sviluppati, ed in parte, soltanto due.

1-Essere autoconsapevoli: osservare se stessi e riconoscere i propri sentimenti; costruire un vocabolario per i sentimenti; conoscere il rapporto tra pensieri, sentimenti e reazioni (migliorare quindi la capacità di comprendere le cause dei sentimenti e di riconoscere la differenza fra sentimenti ed azioni).

2-Decidere  personalmente: ...

3-Controllare i sentimenti: ...

4-Controllare lo stress: ...

5-Essere empatici: ...

6-Comunicare: ...

7-Essere aperti: ...

8-Essere perspicaci: identificare modelli tipici nella propria vita emotiva e nelle proprie reazioni, valutarli e imparare a migliorarli; riconoscere modelli simili negli altri e valutare quindi conseguentemente i loro comportamenti; migliorare la capacità di assumere il loro punto di vista; migliorare l'empatia e la sensibilità verso i sentimenti degli altri; migliorare la capacità di ascoltarli; aiutarli a migliorarsi, con tatto e delicatezza.

9-Autoaccettarsi: ...

10-Essere personalmente responsabili: ...

11-Essere sicuri di sé: ...

12-Saper entrare nella dinamica di gruppo: ...

13-Saper risolvere i conflitti: ...­

C'è una parola tradizionale per designare quell'insieme di abilità che sono rappresentate dall'intelligenza emotiva: il carattere.

Il carattere, scrive Amitrai Etzioni, teorico sociale della George Washington University, è il "muscolo psicologico richiesto dalla condotta morale". Possiamo sicuramente dire che l'educazione morale diventa molto efficace quando le lezioni vengono impartite non astrattamente, ma in presenza di accadimenti reali: è questo il modo dell'alfabetizzazione emozionale. E l'intelligenza emotiva rafforza il carattere.

La base del carattere è la disciplina; la vita virtuosa si basa sull'autocontrollo, come i filosofi, a partire da Aristotele, hanno sempre osservato. E l'intelligenza emotiva rafforza l'autocontrollo.

Un altro capisaldo del carattere è la capacità di motivare e guidare se stessi in ogni azione, dal fare i compiti, al portare a termine un lavoro, all'alzarsi dal letto al mattino. E l'intelligenza emotiva rafforza la capacità di automotivarsi.

Quella che fino ad oggi è chiamata volontà è un'altra serie di abilità emozionali elementari: la capacità di rinviare la gratificazione, di controllare ed incanalare i propri impulsi ad agire.

Abbiamo bisogno di saper controllare noi stessi, i nostri appetiti e le nostre passioni, per comportarci giustamente verso gli altri, oltre al riconoscerli come nostri fratelli. E l'intelligenza emotiva aiuta molto verso questi obiettivi.

La capacità di accantonare gli impulsi egoistici presenta benefici sociali: apre la strada all'empatia, all'ascolto degli altri, all'assunzione della prospettiva altrui. E l'empatia aiuta ad andare verso la benevolenza, l'altruismo, la compassione. Veder le cose dal punto di vista altrui infrange gli stereotipi ed i pregiudizi e alimenta perciò la tolleranza e l'accettazione delle differenze.

La scuola, insieme alla famiglia, può svolgere un ruolo importante nella maturazione del carattere, inculcando la disciplina e l'empatia, che a loro volta consentono un sincero impegno in difesa dei valori morali e civili.

A questo scopo non basta tenere ai ragazzi lezioni sui valori: hanno bisogno di metterle in pratica, e ciò avviene solo quando riescono a costruire le abilità emozionali e sociali essenziali.

In questo senso, l'alfabetizzazione emozionale va di pari passo con la formazione del carattere, con l'educazione alla crescita morale e con l'educazione civica, obiettivi che la nostra scuola dovrebbe perseguire con determinazione, con uno strumento a mio avviso fondamentale, come il pollice per la mano di un uomo: l'intelligenza emotiva.

Naturalmente non ho la presunzione di pensare di poter rapidamente risolvere tutti i problemi degli alunni, ma di aiutarli sul serio sì; ovviamente con la collaborazione dei genitori e con l'aiuto di uno psicologo. Anche perché mi son reso conto che empiricamente, episodicamente, sto lavorando da molti anni nella giusta direzione.

int-emotiva-best

Tutti i vantaggi di mettere i figli a letto presto (intorno alle 20)

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Laura Cuppini

DATA: 13 luglio 2016

bimbi-a-letto

Cena, eventualmente cartoni animati, lavaggio dei denti, un libro, nanna. Il rituale quotidiano serale di chi ha figli piccoli ha un copione (giustamente) rigido, che lascia poco spazio alla fantasia. Ma sull’orario di messa a letto dei bambini c’è grande varietà: trovi la mamma che si lamenta del fatto che il figlio/a non dorme prima di mezzanotte e quella che allo scoccare delle 20 può dedicarsi ad altro perché la prole dorme beatamente. Chi ha ragione? Premesso che ogni bambino è fatto a modo suo (e dunque anche la quantità di sonno necessaria può essere diversa), uno studio americano, del Penn State College of Medicine, pubblicato sulla rivista Jama Pediatrics, sottolinea i benefici dell’andare a letto presto fin da piccoli.

Il principale è legato alla salute futura dei bambini stessi: i bambini che hanno una buona routine sonno-veglia sono risultati più protetti dal rischio di sovrappeso a un anno di età, un aspetto fondamentale se si considera che chi accumula chili nei primi anni di vita ha molte più possibilità di essere obeso nel corso dell’esistenza e andare quindi incontro a diabete e disturbi cardiovascolari. Gli studiosi americani hanno preso in esame 250 bambini e le loro mamme, che hanno ricevuto visite periodiche da parte di un gruppo di ostetriche. Alcune mamme hanno ricevuto consigli sul sonno dei piccoli e sull’alimentazione, compreso l’invito a metterli a nanna presto e a non intervenire subito se piangevano nel corso della notte correndo ad allattarli. Ed ecco i risultati dello studio: i bambini di 9 mesi che andavano a letto intorno alle 20 dormivano un’ora e mezza più dei coetanei. E a un anno di vita le loro probabilità di essere sovrappeso risultavano dimezzate rispetto al resto del campione. «È importante stabilire buone abitudini di sonno sin dai primi anni di vita per motivi di salute, compresa la prevenzione dell’obesità, ma anche per il benessere emotivo della famiglia – spiega Ian Paul, primo autore della ricerca -. I neo genitori non pensano all’obesità: il nostro obiettivo è prevenirla senza dover parlare esplicitamente del peso del loro bambino». Senza contare il fatto che se i bambini vanno a letto presto, i genitori hanno qualche ora da dedicare a se stessi, e questo va senza dubbio a vantaggio di tutta la famiglia.

E pensare che, secondo una ricerca presentata da Assirem (Associazione scientifica italiana per la ricerca e l’educazione nella medicina del sonno), il 50% dei bambini dorme meno di quanto dovrebbe. Lo studio «Come dormono i bambini in Italia» ha preso in esame 365 bambine e altrettanti bambini di 8 anni, scoprendo appunto che la metà non riposa abbastanza (nella fascia 6/11 anni servono tra le 9 e le 12 ore di sonno). Se un bambino su tre (31,7%) non vorrebbe andare a dormire, il 9,6% ha difficoltà nell’addormentamento e di questi il 7,3% per la presenza di ansia, agitazione o per paura. Il 7,2% si sveglia durante la notte più di due volte, con difficoltà a riaddormentarsi nel 5,4% dei casi. Il sonno agitato risulta presente nel 26,7% dei casi. Nell’insieme, il sonno insufficiente o la scarsa qualità del riposo portano il 26,1% dei bambini a svegliarsi con difficoltà e il 15,2% a svegliarsi stanchi. Un altro rilevante fattore negativo è rappresentato dai disturbi respiratori: il 17% russa, il 9,7% non respira bene, il 4,6% ha apnee notturne.

«Le conseguenze si vedono a livello sia fisico che mentale – spiega il presidente di Assirem, Pierluigi Innocenti -, perché durante il sonno vengono prodotti degli ormoni, in particolare quello della crescita. Quindi se un bambino dorme meno, lo sviluppo ne risente. Il sonno ridotto può determinare conseguenze anche nella quotidianità, soprattutto nel rendimento scolastico, nella capacità di concentrazione, così come dal punto di vista comportamentale: i ragazzini che non dormono vanno incontro a uno stato di ipereccitabilità e spesso sono considerati “ragazzi difficili”, mentre semplicemente non riposano abbastanza. La deprivazione di sonno incide anche sull’alimentazione: i lavori degli ultimi anni ci dimostrano come, durante il sonno, viene prodotto un ormone che si chiama leptina, che regola il nostro senso di sazietà. Se dormiamo meno ne produciamo meno e siamo più predisposti ad avere una maggiore fame. La deprivazione di sonno comporta un maggior uso del cosiddetto ‘cibo spazzatura’, che tende a farci ingrassare. Oggi sta esplodendo il problema dell’obesità e le due cose sembrano molto correlate».

«Prima di tutto bisognerebbe cercare di anticipare l’orario di addormentamento non oltre le 22, poi parlare con il pediatra della possibilità che dietro i disturbi accusati dal bambino possa esserci un problema di sonno – conclude il professor Oliviero Bruni del Centro del Sonno, Dipartimento Psicologia Processi Sviluppo e Socializzazione dell’Università La Sapienza di Roma, nonché curatore dello studio -. È necessario avviare una campagna di informazione che sensibilizzi l’opinione pubblica, fermo restando che i bambini che presentano uno specifico disturbo del sonno dovrebbero essere visti da uno specialista».