«Svogliato», «disordinato», ma anche «intelligente»: le etichette influenzano lo sviluppo della personalità di un bambino

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Silvia Turin

DATA: 19 maggio 2024

Esiste un'alta probabilità che le aspettative o i giudizi degli adulti diventino «profezie che si auto-avverano»: etichettare un figlio significa bloccarlo. Perché succede e come evitarlo

Le parole hanno un impatto diretto sulla formazione dell'identità di un bambino.

I contenitori che definiscono

Quando un genitore commenta le azioni del figlio con termini che etichettano la sua persona, come «pigro», «disordinato», «monello», le parole usate (spesso sempre le medesime) possono creare involontariamente una gabbia che condizionerà l'autostima e la percezione di sé del bambino.
Il bambino si aspetterà lo stesso risultato da se stesso in situazioni simili: «Non sono bravo in matematica, quindi, so già che non capirò l’esercizio» e questo potrebbe condizionare la sua crescita riducendo le possibilità e, anzi, portandolo ad avverare quel che ci si aspetta dai giudizi su di lui, la classica «profezia che si auto-avvera».

Problemi anche con i complimenti

Le etichette sono negative, però, anche quando partono da giudizi positivi (come: «sei bravo», «sei intelligente», «sei il migliore»), perché?
Come si possono esprimere giudizi senza classificare la persona?
Abbiamo chiesto di fare chiarezza su questo tema ad Elisa Fazzi, Direttore della Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza ASST Spedali Civili di Brescia, professore ordinario di Neuropsichiatria infantile dell'Università di Brescia e attuale presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza.

Che cosa si intende per «etichetta»?
«Sono giudizi o attribuzione di valori che i genitori (e talvolta gli insegnanti) danno ai figli e che vengono utilizzati per descrivere comportamenti, emozioni, caratteristiche dei ragazzi».

Come influiscono sulla personalità di un bambino?
«L’etichetta non è qualche cosa che può essere considerato esaustivo di una persona: non deve stigmatizzare l'individuo, ma può stigmatizzare un comportamento o, meglio, un comportamento in un contesto».

Quindi esistono etichette anche «valide»?
«Più che etichette saranno considerazioni pedagogiche: da un lato c’è un aspetto psicologico relativo alle etichette, dall'altro un aspetto educativo. Le etichette possono cristallizzare, predire, indirizzare dal lato psicologico, ma non possiamo impedire a un genitore o a un professore di formulare espressioni che abbiano una valenza pedagogica”.

Com'è possibile che alcuni giudizi condizionino addirittura la personalità?

«Perché possono innescare due meccanismi: il bambino si ribella e diventa oppositivo, oppure interiorizza l’aspetto negativo e quindi si adatta e “realizza” l’etichetta, con moltissimi problemi di insicurezza. Lo vediamo nei bambini che hanno problemi di deficit di attenzione o disturbi dell’apprendimento: la continua svalutazione ("tanto non ce la fai, tanto sei svogliato”) porta il bambino a viversi proprio in questo modo».

Come fare allora? Ad esempio per sottolineare un comportamento che consideriamo negativo?
«È esattamente questo il modo: è il comportamento a essere negativo. Non bisogna esprimere giudizi come fossero una caratteristica del soggetto, ma come una contestualizzazione legata al comportamento. “Non sei distratto, pigro o lazzarone, ma forse oggi non ti sei impegnato abbastanza, magari lo sai fare perché in altre occasioni l'hai fatto”. Non dare al rimprovero o alla sottolineatura il valore di racchiudere l'individuo, ma contestualizzarlo all’azione e quindi alla modificabilità, perché l'etichetta cristallizza e impedisce di pensare a un margine di miglioramento. “La camera è disordinata? Vediamo se saprai fare meglio domani”».

Anche fare complimenti, però, condiziona. In che senso?
«In questo caso perché non aiuta nella crescita. Sottolineare sempre aspetti positivi non corrisponde alla realtà, questa immagine di perfezione che vogliamo trasmettere ai nostri figli non lascia spazio all’errore, che invece fa parte dell'umanità e può riguardare anche il più bravo, il più dotato, il più sostenuto dei ragazzi. Ecco che allora, se il ragazzo è stato sempre accompagnato dall’idea di essere il migliore, la caduta inevitabile sarà ancora più catastrofica. Altro problema, i complimenti dopo una buona prestazione (sia un voto o una medaglia sportiva) possono portarlo a credere che un fallimento nelle prestazioni corrisponda a un suo fallimento come persona».

Come possono i genitori usare le giuste parole rispetto alle proprie aspettative e giudizi?
«Se avere aspettative sul bambino attribuendogli delle caratteristiche vuol dire pensarlo, definirlo, desiderarlo e amarlo è positivo; se invece è un attribuirgli un'etichetta che possa in qualche modo condizionarlo o limitarlo non va bene. L’etichetta inquadra e classifica, è una lapide che non si muove più, invece, parliamo di bambini che un giorno sono bravi, un giorno meno. Cerchiamo di mantenere viva la possibilità di migliorare o di accettare la caduta. I bambini per loro definizione cambiano e un'etichetta non può bloccare un essere che è in movimento per definizione».

Si può «tornare indietro» oppure, dopo una certa età, ormai «il danno» è fatto?
«Voglio togliere a queste considerazioni ogni aspetto di senso di colpa. Certo che si può tornare indietro. Il consiglio è non rinunciare a dare il proprio giudizio pedagogico, ma bisogna contestualizzarlo al qui e ora, non farlo diventare un'etichetta che impedisce il cambiamento. In pratica, quando facciamo l'osservazione negativa inseriamo la possibilità che possa andare diversamente in un'altra occasione, diamo una seconda chance. Oppure, nel momento in cui valorizziamo un aspetto positivo, ricordiamo sempre che, se un giorno dovesse andare peggio, non sarà grave».

19 maggio 2024

Il violino di Einstein, ovvero come crescere figli creativi (e geniali)

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Orsola Riva

DATA: 20 ottobre 2016

I consigli ai genitori del professor Adam Grant, autore del best-seller «Originals»: più valori che regole, puntate sul carattere e fate leggere i vostri figli. Con una postilla della psicologa Carol Dweck: non ditegli che sono intelligenti, così rischiate di bloccarli per la paura di sbagliare.

 

Sogni il Nobel per la fisica? Studia il violino

Sognate che vostro figlio/figlia un giorno vinca il Nobel per le fisica? Allora fategli suonare il violino, come faceva mamma Einstein con il piccolo Albert. All’inizio detestava andare a lezione, poi si appassionò veramente. Tanto che una volta disse che se non fosse stato capace di pensare in musica non avrebbe mai potuto elaborare la teoria della relatività.

einstain-col-violino

I bambini creativi sono i grandi visionari di domani. Non i primi della classe, i piccoli geni della matematica o del computer di cui noi genitori andiamo così fieri, ma quelli che studiano per passione più che per zelo, che non cercano di compiacerci con i bei voti e il dieci in condotta ma che sanno pensare con la propria testa. Solo belle parole? Niente affatto, sostiene il professor Adam Grant, docente alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania, autore del bestseller Originals: How Non-Conformists Move the World. Che genio e creatività vadano a braccetto, dice Grant in un video pubblicato da The Atlantic, lo dimostra il fatto che se si fa un censimento degli scienziati che hanno vinto il Nobel, molti di loro sapevano anche suonare uno strumento musicale, scrivevano poesie, erano discreti pittori dilettanti, ottimi ballerini, amavano recitare o fare giochi di prestigio... Ecco allora alcuni consigli ai genitori per incoraggiare la creatività dei propri figli.

 

Valori più che regole

In primo luogo il professor Grant consiglia di non puntare tutto sulle regole. I bambini che le seguono pedissequamente finiscono per diventare compiacenti, mentre quelli che vi si ribellano rischiano di non imparare ad affrontare i problemi ma solo a schivarli.

Anche se - va detto - in letteratura le pagine più belle sulla creatività dei bambini le hanno scritte proprio i disobbedienti. Vale su tutte la lezione, immortale, di Tom Sawyer che, dopo l’ennesima marachella, viene messo per punizione dalla zia a dipingere la staccionata di casa. Cosa si inventa Tom per spuntarla ancora una volta? Non solo riesce a convincere un gruppo di amichetti a imbiancare la staccionata al suo posto ma si fa pure pagare per il lavoro.

staccionata

 

Conta il carattere, più del comportamento

Se troppe regole fanno male, anche l’eccesso opposto rischia di essere dannoso, sostiene il professor Grant. Inutile continuare a dire: «Non seguire il gregge, non fare il pecorone».

 

pecore 

 

Vietato dire ai figli che sono intelligenti (IO, PIETRO B., NON SONO D’ACCORDO, IN BASE ALL’ESPERIENZA. BiSOGNA AGGIUNGERE CHE SENZA LA VOLONTà NON SI VA DA NESSUNA PARTE)

A proposito dell’importanza del carattere, vale la lezione della psicologa americana Carol Dweck, che da anni sostiene come non ci sia niente di più sbagliato che continuare a lodare i propri figli dicendo loro in continuazione che sono tanto intelligenti e dotati. Così si rischia soltanto di bloccarli per la paura di sbagliare. Mentre il solo modo per aiutarli è puntare non sulle loro presunte capacità innate ma sul carattere inteso come impegno continuo e resilienza: se cadi, rialzati; se sbagli, riprovaci.

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E’ il processo che conta (con buona pace del totem americano dell’IQ, il quoziente d’intelligenza). Ecco la ricetta migliore per crescere dei figli davvero intelligenti (e creativi): non dirgli che lo sono!

 

La lezione che viene dai libri

Una delle cose che plasma maggiormente l’immaginazione di un’intera generazione sono i libri per ragazzi. I nostri nonni, i nostri padri e pure noi ci dividevamo in due squadre: Verne contro Sandokan. Da un lato l’avventura con la A maiuscola, quella dei viaggi al centro della terra, sulla luna o in fondo agli abissi, dei capitani Nemo e delle isole misteriose; dall’altro, l’esotismo della giungla, fra pericolosi sikh armati di kriss (i pugnali malesi con la lama a biscia) e perle di Labuan...

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I nostri figli sono cresciuti invece alla scuola di Hogwarts, ma in fondo fa lo stesso. Secondo il professor Grant uno dei modi migliori per stimolare la creatività dei bambini è chiedergli di mettersi nei panni dei loro eroi di carta: cosa farebbero Harry Potter o Ermione in una determinata situazione? Aiuta a guardare le cose con gli occhi degli altri, a pensare in modo creativo. Anche se, certo, con la bacchetta magica è tutto molto più facile...

Tutti i vantaggi di mettere i figli a letto presto (intorno alle 20)

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Laura Cuppini

DATA: 13 luglio 2016

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Cena, eventualmente cartoni animati, lavaggio dei denti, un libro, nanna. Il rituale quotidiano serale di chi ha figli piccoli ha un copione (giustamente) rigido, che lascia poco spazio alla fantasia. Ma sull’orario di messa a letto dei bambini c’è grande varietà: trovi la mamma che si lamenta del fatto che il figlio/a non dorme prima di mezzanotte e quella che allo scoccare delle 20 può dedicarsi ad altro perché la prole dorme beatamente. Chi ha ragione? Premesso che ogni bambino è fatto a modo suo (e dunque anche la quantità di sonno necessaria può essere diversa), uno studio americano, del Penn State College of Medicine, pubblicato sulla rivista Jama Pediatrics, sottolinea i benefici dell’andare a letto presto fin da piccoli.

Il principale è legato alla salute futura dei bambini stessi: i bambini che hanno una buona routine sonno-veglia sono risultati più protetti dal rischio di sovrappeso a un anno di età, un aspetto fondamentale se si considera che chi accumula chili nei primi anni di vita ha molte più possibilità di essere obeso nel corso dell’esistenza e andare quindi incontro a diabete e disturbi cardiovascolari. Gli studiosi americani hanno preso in esame 250 bambini e le loro mamme, che hanno ricevuto visite periodiche da parte di un gruppo di ostetriche. Alcune mamme hanno ricevuto consigli sul sonno dei piccoli e sull’alimentazione, compreso l’invito a metterli a nanna presto e a non intervenire subito se piangevano nel corso della notte correndo ad allattarli. Ed ecco i risultati dello studio: i bambini di 9 mesi che andavano a letto intorno alle 20 dormivano un’ora e mezza più dei coetanei. E a un anno di vita le loro probabilità di essere sovrappeso risultavano dimezzate rispetto al resto del campione. «È importante stabilire buone abitudini di sonno sin dai primi anni di vita per motivi di salute, compresa la prevenzione dell’obesità, ma anche per il benessere emotivo della famiglia – spiega Ian Paul, primo autore della ricerca -. I neo genitori non pensano all’obesità: il nostro obiettivo è prevenirla senza dover parlare esplicitamente del peso del loro bambino». Senza contare il fatto che se i bambini vanno a letto presto, i genitori hanno qualche ora da dedicare a se stessi, e questo va senza dubbio a vantaggio di tutta la famiglia.

E pensare che, secondo una ricerca presentata da Assirem (Associazione scientifica italiana per la ricerca e l’educazione nella medicina del sonno), il 50% dei bambini dorme meno di quanto dovrebbe. Lo studio «Come dormono i bambini in Italia» ha preso in esame 365 bambine e altrettanti bambini di 8 anni, scoprendo appunto che la metà non riposa abbastanza (nella fascia 6/11 anni servono tra le 9 e le 12 ore di sonno). Se un bambino su tre (31,7%) non vorrebbe andare a dormire, il 9,6% ha difficoltà nell’addormentamento e di questi il 7,3% per la presenza di ansia, agitazione o per paura. Il 7,2% si sveglia durante la notte più di due volte, con difficoltà a riaddormentarsi nel 5,4% dei casi. Il sonno agitato risulta presente nel 26,7% dei casi. Nell’insieme, il sonno insufficiente o la scarsa qualità del riposo portano il 26,1% dei bambini a svegliarsi con difficoltà e il 15,2% a svegliarsi stanchi. Un altro rilevante fattore negativo è rappresentato dai disturbi respiratori: il 17% russa, il 9,7% non respira bene, il 4,6% ha apnee notturne.

«Le conseguenze si vedono a livello sia fisico che mentale – spiega il presidente di Assirem, Pierluigi Innocenti -, perché durante il sonno vengono prodotti degli ormoni, in particolare quello della crescita. Quindi se un bambino dorme meno, lo sviluppo ne risente. Il sonno ridotto può determinare conseguenze anche nella quotidianità, soprattutto nel rendimento scolastico, nella capacità di concentrazione, così come dal punto di vista comportamentale: i ragazzini che non dormono vanno incontro a uno stato di ipereccitabilità e spesso sono considerati “ragazzi difficili”, mentre semplicemente non riposano abbastanza. La deprivazione di sonno incide anche sull’alimentazione: i lavori degli ultimi anni ci dimostrano come, durante il sonno, viene prodotto un ormone che si chiama leptina, che regola il nostro senso di sazietà. Se dormiamo meno ne produciamo meno e siamo più predisposti ad avere una maggiore fame. La deprivazione di sonno comporta un maggior uso del cosiddetto ‘cibo spazzatura’, che tende a farci ingrassare. Oggi sta esplodendo il problema dell’obesità e le due cose sembrano molto correlate».

«Prima di tutto bisognerebbe cercare di anticipare l’orario di addormentamento non oltre le 22, poi parlare con il pediatra della possibilità che dietro i disturbi accusati dal bambino possa esserci un problema di sonno – conclude il professor Oliviero Bruni del Centro del Sonno, Dipartimento Psicologia Processi Sviluppo e Socializzazione dell’Università La Sapienza di Roma, nonché curatore dello studio -. È necessario avviare una campagna di informazione che sensibilizzi l’opinione pubblica, fermo restando che i bambini che presentano uno specifico disturbo del sonno dovrebbero essere visti da uno specialista».