Coronavirus: bimbi, quarantena e strategie per aiutarli

FONTE: Il Fatto Quotidiano

AUTORE: Daniela Accadia

DATA: 13 aprile 2020

Intervista a Chiara Dallatomasina che insieme a Elisa Riboni ha scritto la "Piccola guida al contagio emotivo" (scaricabile gratuitamente)

Per un mese ho raccontato per ilfattoquotidiano.it la mia vita in quarantena (leggi qui il diario dall’isolamento), io giornalista e mamma una famiglia come tante della prima zona rossa italiana (quella del Basso Lodigiano). Le piccole e grandi difficoltà, i timori, gli inevitabili cambiamenti che hanno stravolto la nostra quotidianità. Mi sono fatta tante domande in questo periodo, soprattutto riguardo le conseguenze che tutto ciò avrà sui miei figli. Ho cercato di immedesimarmi in due bambini di 3 e 5 anni e vedere questa nuova vita dal loro punto di vista. Io e mio marito con tanta buona volontà e fantasia cerchiamo di rendere questa reclusione forzata un periodo comunque sereno e felice per loro. Ma sono chiusi in casa da oltre 45 giorni, non vanno all’asilo, non vedono gli amichetti al parco. Potete immaginare il concentrato di emozioni che hanno acceso i loro occhi quando hanno visto i video-messaggi con i saluti di tutti i loro compagni di scuola che ci siamo scambiati noi genitori sulle chat di classe. Una gioia incontenibile: salti, risate. E a distanza di settimane continuano a chiedermi di riguardarli. E’ inevitabile che nonostante la loro tenera età si stiano rendendo conto che qualcosa non va. Per gestire una situazione senza precedenti, inattesa e per cui nessuno di noi era preparato, la strada più utile è quella di affidarsi ai consigli degli esperti.

Io ho trovato molte risposte alle mie domande nella “Piccola guida al contagio emotivo”, pubblicata proprio nel bel mezzo dell’emergenza coronavirus da Chiara Dallatomasina e Elisa Riboni, neuropsicologhe dello sviluppo cognitivo, consulenti presso l’Ospedale San Raffaele di Milano. La guida è scaricabile gratuitamente da https://www.bebibrain.it/wp-content/uploads/2020/03/La-piccola-guida-al-contagio-emotivo.pdf, sito con cui le due amiche e colleghe offrono tanti consigli pratici per i genitori riguardo lo sviluppo emotivo e cognitivo dei bambini. Dallatomasina ha risposto alle domande de ilfattoquotidiano.it per fare un po’ di chiarezza sul momento che stanno affrontando i più piccoli.

Come dovremmo spiegare ai nostri figli quello che sta succedendo?
In base all’età del bambino, la cosa importante è dire sempre la verità. Perché se non diamo informazioni adeguate, loro cercheranno di darsi da soli risposte che potrebbero risultare più catastrofiche del dovuto. Poi c’è anche il rischio di creare una dissonanza tra le emozioni negative che i bambini vedono in noi (stress, nervosismo, tristezza) e le informazioni positive che gli diamo (va tutto bene, non è successo niente, non preoccuparti). Questa dissonanza crea preoccupazione nei bambini e difficoltà nel gestire la loro emotività. Essere rassicuranti sì, ma senza nascondere la verità.

La vostra guida parla di “contagio emotivo”, che cosa significa?
Fin da piccolissimi i bambini sono esposti a ciò che in psicologia è definito contagio emotivo: in una situazione difficile, il bambino si trova a far propria l’emozione che il genitore sta vivendo in quel dato momento come se fosse un vero e proprio virus sociale. Addirittura il bambino ne assume in modo involontario e inconsapevole anche le espressioni facciali, vocali e posturali, trovandosi a provare e dover gestire le emozioni che vive, come rabbia, tristezza e paura, senza però aver chiare tutte le informazioni cognitive che spiegano questo evento e che invece per noi adulti sono molto chiare.

Se durante la quarantena un bambino manifesta comportamenti o disturbi mai avuti prima (aggressività, regressioni, ecc.) cosa consigliate di fare ai genitori?
La prima cosa è accettare che il proprio figlio possa, attraverso un comportamento, manifestare il disagio emotivo, perché soprattutto i più piccoli non riescono a verbalizzare le loro emozioni. Poi esprimere empatia, comprensione: banalmente, anche solo un abbraccio. Di fronte a un’espressione di rabbia essere accoglienti può essere un gesto che spiazza il bambino, ma sicuramente lo aiuta. In primo luogo, dunque, i genitori devono accettarlo e non spaventarsi. Alcune cose sono fisiologiche: compaiono improvvisamente e poi regrediscono. L’importante è non sottolineare troppo il comportamento sbagliato, non riprendere il bambino. Se non gli diamo molto peso, alcuni comportamenti possono scomparire in modo spontaneo. Comunque in caso di necessità molti psicologi fanno colloqui anche in questa situazione via Skype.

Cosa non bisogna far mancare al bambino durante la quarantena?
Sicuramente la cosa importante che non deve mancare è la routine, cercare di mantenere abitudini e orari che c’erano anche prima. L’organizzazione della giornata rassicura molto i bambini. Dal punto di vista delle attività bisogna garantire un’alternanza tra gioco attivo con movimento (caccia al tesoro, percorso in casa) e attività che stimolino più la concentrazione (come un puzzle). Che è un po’ quello che fanno anche per esempio alla scuola materna, gioco libero alternato ad attività al tavolo.

Qual è il modo più appropriato per far vivere le feste di questi giorni, in questa situazione anomala, ai nostri bambini?
Mantenere la festa laddove è possibile, perché l’importante è l’autenticità. In un contesto familiare in cui tutti stanno bene è più facile: si può comprare l’uovo di Pasqua, cucinare qualcosa di particolare… In famiglie dove ci sono situazioni gravi di salute, la cosa importante è che venga spiegato al bambino che certe cose non si potranno fare perché c’è un problema. Ma è bene offrirgli comunque qualcosa che gli ricordi l’evento, che lo renda felice, anche se purtroppo si festeggia in una modalità diversa.

Non sappiamo ancora quando potremo tornare alla normalità e neppure se davvero potrà tornare tutto come prima. Come potrebbero affrontare i bambini delle modifiche, speriamo solo transitorie, delle nostre abitudini come l’utilizzo della mascherina?
Sicuramente i bambini possono adattarsi a delle norme, quindi alle norme di igiene e di prevenzione: anche alla mascherina. Se dovesse diventare una normalità per tutti, adulti e amici, diventerebbe una normalità anche per loro. Ovvio che una cosa del genere genererebbe una percezione del rischio maggiore: c’è un messaggio che viene veicolato di “pericolosità” nei rapporti umani. Bisognerebbe quindi stare attenti e trovare il giusto equilibrio tra la norma che tutela la nostra salute e la necessità di non esagerare nel veicolare troppo il messaggio di pericolosità.

Il successo parte da piccoli. Ecco i nuovi asili

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Valentina Santarpia

DATA: 26 febbraio 2016

Un convegno nel weekend porta alla Bicocca migliaia di esperti nazionali e internazionali, chiamati a disegnare le linee guida delle nuove scuole per i piccoli: laboratori e problem solving più importanti di nozioni e apprendimenti

asilo

A 11 anni sono migliori dei propri coetanei in matematica e inglese, riescono ad avere un comportamento scolastico più controllato, meno iperattivo e più socievole. E nell’arco della vita guadagnano in media il 4,3% in più. Ecco come una buona educazione nei primi anni di vita, nella cosiddetta pre-school, fa progredire i ragazzini inglesi, secondo una ricerca che verrà presentata dalla professoressa Kathy Sylva, dell’università di Oxford, venerdì all’università di Milano Bicocca. Lei è solo una dei tanti esperti chiamati ad approfondire, nel corso di una tre giorni internazionale, il tema delicatissimo e affascinante dello 0-6: capire cioè in che direzione stanno andando i nostri bambini da 0 a sei anni e come ridefinire le nuove regole per l’educazione e la cura dei bambini più piccoli.

 

Anche i neonati apprendono

Proprio nei giorni in cui, come prescritto dalla legge 107, il governo sta mettendo a punto la legge delega per ridisegnare il panorama degli asili italiani, questo diventa un appuntamento prezioso per docenti, pedagogisti, funzionari ministeriali, educatori, economisti. Previsti i contributi dei massimi conoscitori del sistema, da Michel Vandenbroeck, dell’Università di Gent, a Sylva, di Oxford, da Christa Preissing, dell’Ista di Berlino, a Claudia Giudici, presidente Scuole e Nidi d’infanzia di Reggio Emilia. Con un punto fermo da cui partire: in quegli anni il piccolo essere umano introietta tutti gli stimoli possibili per realizzarsi nella vita. «Crediamo che l’educazione precoce dia le migliori chance ai bambini per iniziare nella vita - spiega Sylva- Questo vale soprattutto per i bambini che vengono da famiglie povere o di immigrati. Ed è fondamentale che la fascia 0-3 sia gestita dallo stessa fascia 3-6: anche i neonati imparano!». Gli studi in materia sono unanimi: da James Heckman, premio Nobel per l’economia nel 2000, alle ultime ricerche del Tfiey, il forum transatlantico dedicato alle politiche per lo sviluppo dei servizi per la prima infanzia, le conclusioni sono identiche: soprattutto per le fasce sociali svantaggiate, la frequenza di scuole con caratteristiche «dignitose» porta a maggiore inclusione sociale e a migliori successi scolastici. Da dove cominciare allora per disegnare gli asili del futuro? Dal «curricolo, che è responsabilità», come recita il titolo del convegno.

 

Cabana, l’asilo milanese diventa magico e tattile

«Attenzione, non stiamo parlando di curricolo perché vogliamo mettere la pagella anche ai bambini piccolissimi», ride la rettrice della Bicocca, Susanna Mantovani. «Anzi, presenteremo gli esiti di 2471 questionari completati da maestri e genitori di bambini da 0 a sei anni, che ci rivela proprio quanto le competenze scolastiche siano considerate irrilevanti rispetto ad altri aspetti». L’indagine, realizzata nell’ambito del progetto Care (Curriculum and quality Analysis and impact review of European Early Childhood education and care), ha avuto un discreto riscontro in Italia, dove sono stati restituiti quasi 2500 questionari completi rispetto ai 200 olandesi e ai 700 tedeschi. E fornisce delle indicazioni molto precise sulle esigenze che gravitano intorni ai bambini più piccoli: le conoscenze non sono mai ai primi posti. Da 0 a 3 anni, genitori e insegnanti convergono nel ritenere l’atteggiamento nei confronti dell’apprendimento la cosa più importante, e da 3 a 6 la competenza interpersonale ed emotiva, mentre le abilità e conoscenze pre-scolastiche finiscono agli ultimi posti. «È interessante: significa che concordano nel ritenere che i bambini non debbano imparare a contare precocemente o a scrivere, ma ad affrontare i problemi, a sviluppare competenze. È un approccio molto diffuso in Norvegia, Finlandia, Svezia, e sempre più anche in Italia: valutiamo meno i risultati, misuriamo meno, ma sviluppiamo più capacità. E infatti i bambini che hanno frequentato asili dignitosi nella fascia 0-6 sono anche quelli che vanno meglio nelle prove Invalsi». Un esempio su tutti? Lasciar discutere i bambini di 4 o 5 anni di come si può pedalare senza rotelle, come sia possibile evitare di cadere - esperimento veramente realizzato, filmando i bambini per mezz’ora - può dare dei risultati sorprendenti, con risposte e idee che si avvicinano alla fisica pur senza averne alcuna cognizione. Un progetto educativo sperimentale da poco avviato dal Comune di Milano presso tre scuole dell’infanzia segue proprio questi principi: la Cabana, una struttura ludico-didattica alta, aperta, luminosa, sonora, magica, tattile. Una struttura polifunzionale in legno che nelle sue varie forme basiche lascia spazio a educatori e bambini per trasformarle nei modi più diversi.

 

No alla valutazione delle scuole dell’infanzia

D’altra parte, che la strada giusta sia questa - meno valutazione, più problem solving- lo dimostra anche il fatto che il gruppo di lavoro chiamato da ministero dell’Istruzione e Invalsi a definire il nuovo strumento di autovalutazione delle scuole dell’infanzia abbia stabilito nelle sue conclusioni che i bambini da tre a sei anni non debbano essere sottoposti a prove standardizzate, sul modello dei test Invalsi per capirci. «Abbiamo escluso questa possibilità- anticipa la dottoressa Anna Bondioli al Corriere- per evitare rischi di stigmatizzazione precoce, e che il passaggio di queste informazioni dalla materna alla primaria possa incentivare pregiudizi». Evitato questo rischio, l’autovalutazione verterà piuttosto su domande che riguardano il processo, sul curricolo specifico per l’infanzia, sull’iter complessivo del bambino. Proprio nell’ottica di considerare la fascia di età 0 - 6 un tutt’uno, una sorta di arco temporale unico, proprio come disegna la legge 107, che dovrà essere declinata dai decreti attuativi entro la fine dell’anno.

 

Poli educativi ed educatori laureati

Un tutt’uno non significa che esiterà una sola scuola dalla nascita fino alla soglia delle elementari, spiega Bondioli, che quando per la prima volta la senatrice Francesca Puglisi ha presentato il progetto di legge 1260 ha scritto, insieme a più di 100 docenti di pedagogia, una serie di linee guida sull’ipotesi di legge. I servizi rimarranno così come sono, divisi in asili nido e scuole dell’infanzia, che avranno gestione regionale/comunale/statale, ma quello che cambierà sarà il coordinamento. «La gestione delle liste di attesa, l’organizzazione degli aspetti pratici come i passaggi di informazioni da un grado all’altro, la formazione continua in servizio degli educatori e degli insegnanti-che la legge prescrive- dovrebbero essere affidate a dei poli educativi», spiega Bondioli. Il personale dovrebbe avere come riferimento dei facilitatori educativi, che non dovrebbero seguire delle linee guida uguali per tutti, ma calarsi nella realtà territoriale e declinare le indicazioni per i gruppi di lavoro in base ai contesti. Al di là delle specificità della cura riservata ai più piccoli, il comun denominatore dei bambini da 0 a sei anni dovrebbe essere «l’apprendere l’apprendere», ovvero «più che i contenuti, imparare l’approccio per relazionarsi ai problemi», ribadisce anche Bondioli: più laboratori ed esperimenti che canzoncine da imparare a memoria. E poi, un aspetto fondamentale è puntare sulla uniformità degli standard: spazi, orari, numero di insegnanti per bambini, oggi sono diversi in base alle scelte regionali o comunali, mentre i decreti punteranno a specificare con chiarezza i parametri validi per tutti. «Da 0 a sei anni, vanno bene 7 bambini ad educatore, tra i 2 e i 3 1 ogni 8, ma tra i 3 e i 6 bisogna scendere assolutamente: inaccettabile che un solo insegnante tenga 25 bambini e per di più senza compresenza». Il personale dovrebbe diventare tutto con carriera universitaria, ma «un compromesso potrebbe essere permettere alle educatrici del nido di avere la laurea triennale, quelle dell’infanzia la specialistica».

 

Un posto per tutti

Al di là delle questione tecniche, resta comunque uno l’obiettivo di fondo: «Dobbiamo generalizzare l’offerta, non possiamo permettere che continui ad esistere un Paese a macchia di leopardo», sottolinea Nice Terzi, presidente del gruppo nidi-infanzia italiani. «Fino ad ora gli investimenti sono stati utilizzati in maniera molto diversa da Nord e Sud, così negli anni abbiamo sviluppato delle realtà efficienti, che ci studiano anche all’estero, come a Reggio Emilia, e delle zone assolutamente prive di servizi per l’infanzia. Basta: ora è il momento di mettere i fondi e di stabilire il principio che tutti i bambini hanno diritto ad avere un posto all’asilo nido. Cominciamo col raggiungere l’obiettivo del 33% stabilito dall’Europa, e poi andiamo avanti. Anche la scuola dell’infanzia, deve passare dal 95% al 100%. E per cominciare a sperimentare, bisogna lanciare progetti pilota su tutto il territorio: poi, entro qualche anno, finalmente vedremo i frutti».