L’amicizia: quella on line non è reale

FONTE: Almanacco CNR

AUTORE: Rita Bugliosi

DATA: 8 maggio 2021

L'amicizia ha un ruolo importante nella vita di ciascuno di noi, alla sua base c'è una condivisione di ideali, di valori, di interessi, di fiducia, un sentimento forte di affetto e la sensazione di poter contare sull'altro nei momenti di bisogno. Di certo un concetto molto diverso da quello dell'amicizia sui social network, basata esclusivamente su “mi piace” e sullo scambio di post nei quali si tende a spettacolarizzare la propria vita, mostrando principalmente momenti positivi. Una diversità notevole, che è importante tenere presente. E su cui ci ha spinto a riflettere anche la pandemia di Covid-19, con le limitazioni che ci hanno costretto a ridurre o interrompere le normali frequentazioni di amici per tutelare la salute nostra e altrui.

Eppure, malgrado le raccomandazioni a evitare “assembramenti” e a ridurre le uscite e gli incontri, sono in tanti a ignorare i divieti e a ritrovarsi in luoghi chiusi o all'aperto. Cosa ci spinge a sfidare i rischi di contagio per stare vicini? “Alla base di questi comportamenti c'è una pulsione prosociale, che può essere spiegata a vari livelli. La visione evoluzionista vede nella prosocialità dei mammiferi una finalità legata prevalentemente alla procreazione e all'accudimento della progenie; la visione neurofisiologica evidenzia come gli effetti della socializzazione si possano vedere anche a livello neuronale, dal momento che, secondo uno studio dell'Università della California, “le persone amiche hanno identiche attività cerebrali durante compiti cognitivi, spiega Antonio Cerasa, neuroscienziato dell'Istituto per la ricerca e l'innovazione biomedica (Irib) del Cnr. “Infine, c'è la prospettiva psicodinamica, che vede nella creazione dei legami sociali una delle condizioni indispensabili per permettere l'evoluzione del pensiero e, soprattutto, della personalità. Le tante persone che si vedono in strada e nelle piazze, incuranti del Coronavirus, non sono semplicemente incoscienti privi di consapevolezza del pericolo che corrono, ma persone che rispondono a uno dei più forti bisogni dell'essere umano moderno: essere parte di qualcosa di più grande”.

I social mdia non sono sufficienti a soddisfare questa esigenza. Non a caso, sebbene la nostra società sia sempre più virtualmente connessa, tante persone provano solitudine, poiché i contatti illimitati ma virtuali non restituiscono una reale interazione con gli altri attraverso i nostri sensi, la nostra corporeità ed emotività. Questo forte bisogno che proviamo ha una spiegazione biologica, come sottolinea Cerasa: “A scatenare questa esigenza è l'ossitocina, detto anche ormone dell'amore. È un ormone peptidico, prodotto dai nuclei ipotalamici, coinvolto nel contesto di un'ampia varietà di comportamenti sociali, a partire dal suo ruolo nei legami riproduttivi - tra una madre e i suoi piccoli o tra maschi e femmine - fino ad arrivare ai comportamenti che promuovono la prosocialità. Negli ultimi decenni, la comprensione scientifica dei ruoli dell'ossitocina nel comportamento sociale è progredita enormemente, anche grazie al contributo dei ricercatori dell'Istituto di neuroscienze del Cnr, che da anni studiano gli effetti di questo ormone. Per esempio, si è scoperto che questa sostanza non viene prodotta solo quando ci sono contatti fisici affettuosi o nel gioco, ma anche durante comportamenti che potenziano le interazioni con gli altri individui, come la selettività sociale, che scatena manifestazioni di aggressività verso quanti non fanno parte del gruppo. E la selettività sociale è uno dei comportamenti più premiati dall'evoluzione, perché permette di sostenere le strutture sociali esistenti. Quindi, oggi si parla più di ossitocina come ormone dell'amicizia che dell'amore”.

L'amicizia, quella vera, che prevede contatto fisico, incontri, scambio diretto di opinioni ci provoca dunque benessere, non altrettanto sembra invece faccia l'amicizia sui social. “Un gruppo di psicologici dell'University of Winsconsin ha dimostrato che i messaggi istantanei che arrivano sui social (il principale rinforzo della socializzazione digitale) non producono ossitocina, come ci si aspetterebbe, ma un'altra serie di ormoni, quali il cortisolo, l'ormone dello stress. Come a dire che l'eccesso di vita sociale a livello digitale comporta più stress cognitivo che vero e proprio piacere di stare con gli altri”, conclude il neuroscienziato del Cnr-Irib.

Macché matematica e scienze, a scuola si insegna la felicità

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Caterina Belloni

DATA: 15 marzo 2017

Il benessere dei bambini diventa fondamentale, tanto che conta per valutare presidi e istituti: E arrivano i corsi di meditazione per gli adolescenti

La matematica serve, come la grammatica inglese, ma quello che conta è il benessere degli studenti. Tanto che nei prossimi anni le scuole britanniche verranno classificate sulla base anche di questo parametro, considerato così fondamentale da stare al pari di quelli accademici, se non addirittura più in alto. La svolta del sistema scolastico inizierà con un progetto pilota per insegnare agli allievi la felicità, che non dipende da qualche sussulto hippy degli eletti in Parlamento, ma dalla constatazione che le nuove generazioni anglosassoni hanno problemi con la serenità. Secondo dati recenti, infatti, il dieci per cento dei minorenni soffre di disagio psicologico o di malattie mentali, mentre un’indagine della Varkey Foundation ha rivelato che i giovani britannici sono tra i più insoddisfatti al mondo. Quasi uno su due si dichiara infelice e solo il Giappone li precede in una classifica realizzata a livello internazionale per fotografare aspettative, paure e stati d’animo dei millennials.  

A lezione di meditazione

Insomma, la ricerca della felicità sta diventando un’emergenza Oltremanica e il governo, che se ne dispiace e soprattutto paga i conti della spesa sanitaria per i giovani in difficoltà, ha deciso di intervenire. La prima mossa del Ministero dell’istruzione è stata quella di lanciare un programma pilota di benessere, che partirà a maggio e coinvolgerà duecento scuole in tutto il paese, per un periodo di almeno due anni. Ai bambini dagli otto anni in su verranno impartite in classe lezioni di felicità, attraverso diverse tecniche. Anzitutto verranno istruiti sulle varie forme di respirazione, che aiutano a contenere l’ansia e a gestirla; poi riceveranno istruzioni su come perseguire il proprio benessere con attività da svolgere a casa o a scuola; ancora saranno invitati a esercitare l'empatia, condividendo sensazioni e problemi dei loro simili; infine verranno formati a praticare la «mindfulness», metodica di liberazione della mente dalle preoccupazioni, che è molto in voga nel Regno Unito. Tutte strade da percorrere, per cercare di raggiungere la serenità perduta. 

Lezioni per prevenire depressione e suicidi

Quanto agli adolescenti, seguiranno oltre a queste lezioni, anche dei seminari mirati a proposito del bullismo, dell’ansia e della depressione e saranno invitati a ragionare sui rischi che corrono nell’ambiente in cui vivono e a capire che il suicidio non è mai un’alternativa praticabile. Secondo gli educatori e i presidi, infatti, negli ultimi anni la scuola si è concentrata molto sui risultati accademici e la valutazione dell’apprendimento, lasciando in secondo piano lo sviluppo psicologico e comportamentale degli allievi. Che invece deve diventare un punto di riferimento e, alla fine della sperimentazione, sarà anche uno dei parametri fondamentali considerati dall’Ofsted, l’organismo regolatore del sistema scolastico britannico, che classifica gli istituti e in base alla cui valutazione vengono erogati fondi oppure chiusi corsi. Alcuni ispettori, in realtà, già oggi tengono conto nelle loro valutazioni sul campo del benessere e della serenità dei bambini, che talvolta appare così rilevante da controbilanciare un ritardo nella competenza in matematica o scienze. Ma forse ancora non basta. La scuola deve formare l’individuo e non solo l’allievo, assicurando benessere e serenità. Anche se per riuscirci bisogna stare seduti in cerchio, ad occhi chiusi, pensando ai problemi e ai pensieri negativi e immaginandoli come degli autobus, che arrivano ma poi ripartono. Lasciando la mente libera dalle preoccupazioni e aperta a un futuro pieno di possibilità. 

 

MI PARE CHE IL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE BRITANNICO, DA LODARE PER L’INIZIATIVA, DIMENTICHI IL FATTORE FONDAMENTALE PER AVERE SERENITà, FELICITà A SCUOLA: LA CAPACITà DEL DOCENTE DI SAPER CREARE, INSIEME AI BAMBINI, UN CLIMA DI AMICIZIA, PUR NELLA DIVERSITà DEI RUOLI, FRA TUTTI COLORO CHE VIVONO INSIEME TANTE ORE.