FONTE: Corriere della Sera
AUTORE: Daniela Natali
DATA: 17 marzo 2016
In chi ha problemi con la lettura sono non di rado carenti le capacità visuospaziali che possono essere migliorate con specifici software ricreativi
Quando di parla di dislessia, su un’affermazione sono tutti d’accordo: la diagnosi precoce è fondamentale. Sia per iniziare quanto prima un’azione di recupero, sia per evitare che i primi approcci con la scuola si traducano in una débacle tale da scoraggiare i bambini e farli sentire, una volta per tutte, inadeguati. Una dislessia «certificata» permette infatti ai bambini, o meglio ai loro genitori, di chiedere - e agli insegnanti di concedere - una serie di misure compensative: dal tempo in più per svolgere i compiti in classe, all’uso delle tabelline scritte, alla maggior attenzione al contenuto, che alla forma, dei primi “temi”. Ma se fino ad oggi le diagnosi arrivavano, in genere, tra la fine della prima e l’inizio della seconda elementare (e in alcuni casi solo alle medie o oltre), adesso un nuovo metodo promette di individuare i disturbi di apprendimento già a due, tre anni. «Diagnosi in fase prescolare in realtà già si possono fare - puntualizza Stefano Vicari, direttore della Unità operativa complessa di neuropsichiatria infantile del Bambino Gesù di Roma -, basandosi sulle difficoltà di linguaggio. Non si tratta di un generico parlare in modo troppo infantile per l’età cronologica, ma avere difficoltà metafonologiche, cioè nella distinzione dei diversi suoni - e quindi delle diverse future lettere - che compongono una parola».
Un nuovo metodo
Non sempre però queste difficoltà sono in grado di predire una futura dislessia, e c’è anche chi non le ha, ma ugualmente diventerà un alunno dislessico. Ora un gruppo di studio - che fa capo al Developmental & Cognitive Neuroscience Laboratory dell’Università di Padova, guidato dal dottor Andrea Facoetti, in collaborazione con il professor Simone Gori dell’Università di Bergamo, entrambe ricercatori anche all’IRCCS Medea di Bosisio Parini - ha elaborato un nuovo metodo per individuare i disturbi di apprendimento che si basa sulla valutazione dell’attenzione visuospaziale. Cioè l’abilità ad estrarre da un contesto complesso le informazioni rilevanti, “oscurando” quelle irrilevanti. Abilità che si sviluppa a due anni e che si può valutare con semplici test. «Il nostro lavoro, pubblicato su Current Biology - spiega Facoetti - è nato da ricerche di psicofisiologia iniziate negli anni Ottanta, in cui si metteva in rilevo che chi legge male ha problemi anche nell’elaborazione visiva che avviene nella parte alta del cervello, il sistema dorsale; mentre il circuito cerebrale ventrale, legato all’ortografia, poteva non denotare problemi». Ma come può avere un ruolo la parte del cervello legata alla percezione del movimento con la lettura? I fogli stanno fermi... « Sì ,ma quando si impara a leggere - chiarisce Facoetti - si devono vedere le varie lettere come un “insieme” che compone la parola. E quando si passano a leggere delle frasi intere, si deve essere in grado di vedere la parola assieme a tante altre». Come si può migliorare l’abilità visuospaziale ? «Con un metodo certo non sgradito ai bambini: i videogiochi di movimento. A patto che non siano violenti, per ovvie ragioni, vanno bene anche quelli in commercio, ma ora nel nostro laboratorio - anche grazie a un finanziamento che si spera arrivi dalla Comunità europea - stiamo elaborandone alcuni mirati ai disturbi di apprendimento. Ci saranno video giochi per migliorare la capacità visiva, altri per imparare a segmentare le parole, altri ancora per accelerare la capacità di accedere dalla visione dell’oggetto al suo nome, un’abilità carente nei dislessici. I video saranno adatti a bambini dai quattro-cinque anni, usati prima dell’età scolare potrebbero prevenire la dislessia».
Il problema della memoria di lavoro
«Teniamo anche presente - aggiunge Giacomo Stella, professore di psicologia clinica alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Modena e Reggio Emilia - che in chi soffre di dislessia, oltre a esserci problemi di attenzione visuospaziale, c’è un problema di memoria di lavoro . Faccio un esempio: se scriviamo una parola sul bagnasciuga, la sabbia, compattata, “trattiene” quello che scriviamo. Il dislessico è come se scrivesse sulla sabbia asciutta, i segni si cancellano mentre vengono tracciati. Se l’insegnante dice: “scrivete duemilatrecentosessantacinque”, il dislessico sbaglia perché, mentre scrive, dalla sua memoria di lavoro scompare la prima parte del numero. E non va certo meglio nella comprensione del testo: si perdono per strada le parole e le frasi. Migliorare le capacità di lettura con la logopedia è utile, ma non basta. Esiste però il brain training, un lavoro, in parte svolto al computer, in parte con carta e penna, che serve a potenziare la memoria di lavoro».
Disarmonie
«Adesso in letteratura i disturbi del calcolo - aggiunge Daniela Lucangeli , docente di Psicologia dello Sviluppo all’Università di Padova - sono considerati disarmonie dello sviluppo, con componenti genetiche e soprattutto epigenetiche. Poiché questa disarmonia nasce da un incrocio tra geni e ambiente, quello su cui possiamo agire è l’ambiente. E quindi il modo con cui si insegna. Se noi diciamo la parole “aria” e poi la ripetiamo al contrario otteniamo “aira”: qualcosa privo di senso. Viceversa se scriviamo “123” e poi lo capovolgiamo, ottenendo “321”, abbiamo qualcosa di sensato. Insegnare la matematica come se fosse una lingua porta ai risultati terribili che hanno i nostri studenti nei test ed è “veleno” per i dislessici che diventano automaticamente anche discalculici, mentre la discalculia vera che è una totale “cecità al numero”, ed è innata, è rarissima. Meno calcolo scritto e più a mente aiuterebbe a comprendere il concetto di quantità, ma nelle nostre scuole il calcolo a mente sta a quello scritto in un rapporto di 1 a 10. Si imparano automaticamente procedure di calcolo ma non le si “intendono”».