FONTE: Corriere della Sera
AUTORE: Antonella De Gregorio
DATA: 24 aprile 2017
«I lavoretti scolastici? Inutili». La prof di Yale: «Non aiutano la creatività». Secondo Erika Christakis nelle scuole dell’infanzia (americane) si punta troppo sull’approccio formale e sul prodotto finito.
E in Italia? Susanna Mantovani: «Il lavoretto è superato, ma si può fare ancora molto per stimolare in modo adeguato i bambini»
Conigli di Pasqua, alberelli di Natale, cuoricini di stoffa per la Festa della mamma, cravatte di carta coi brillantini colorati per quella del papà, nonni di pastafrolla da appendere sul frigorifero. Alzi la mano chi non ha mai sollevato un sopracciglio ricevendo dal proprio pargolo un ben confezionato «lavoretto» prodotto in classe per qualcuna delle sempre più numerose feste comandate. Ma mentre si pensa a dove custodire il piccolo orrore, forse si può sfogliare il libro scritto da una mamma americana, Erika Christakis - che è anche educatrice e docente all’università di Yale - in cui condensa la sua teoria sull’importanza di un apprendimento che parta dal gioco. «The importance of being little» boccia innanzitutto l’approccio formale, meccanico e prestazionale sempre più diffuso, addirittura a partire dalla scuola materna. E non solo negli Stati Uniti. «Sovraccarica il cervello e fa perdere di vista ciò che conta veramente», dice la studiosa: cioè i bambini e le nostre relazioni con loro. In secondo luogo, le obiezioni di Christakis si spostano sulla questione dei lavoretti fatti a mano, forme di artigianato infantile che si traducono troppo spesso in un’esibizione di abilità delle maestre e in un modo per i genitori per toccare con mano quello che il loro bambino fa a scuola. Attenzione a che il prodotto finale non diventi l’obiettivo - mette in guardia la docente - sacrificando la naturale curiosità e la spontaneità dei bambini. Che devono essere lasciati liberi di sperimentare forme, colori e uno «stile» personale, anziché limitarsi a riprodurre o assemblare quanto proposto dalla maestra: una messinscena senza alcun valore educativo.
È così? I «lavoretti» non servono a niente, anzi possono limitare la creatività dei bambini? «Va detto innanzitutto che il “lavoretto” in Italia è un po’ superato - risponde Susanna Mantovani, professore ordinario di Pedagogia all’Università Bicocca di Milano -. Resiste nelle scuole più tradizionali, dove ancora si mettono in mano ai bambini dei cartoncini ritagliati dalla maestra e loro si limitano magari ad incollarli. Questo, certo, è la negazione della creatività. Ma gli insegnanti più giovani e aggiornati sanno come mettere a frutto il naturale amore dei piccoli per la manipolazione, l’assemblare, il costruire. Non dimentichiamo che fino ai 6-7 anni l’apprendimento ha una fortissima componente sensoriale ed è importante che lo sviluppo coinvolga tutto il corpo». Bambini guidati nell’osservazione di un campo fiorito, o di insetti, o piccoli animali «quando si troveranno della creta tra le mani la utilizzeranno probabilmente per riprodurre qualcosa che hanno visto, magari qualcosa che duri nel tempo». Senza il sovrappiù di frustrazione di un manufatto che non corrisponde al modello proposto dalla maestra o a quello prodotto dal compagno. «Piace ai bambini e alle famiglie il portfolio dei lavori fatti durante l’anno, magari con foto e racconti che consentono di rivedere, far domande, costruire una memoria senza cristallizzare l’attività in un prodotto da portare a casa», suggerisce la docente. Che, senza demonizzare i lavoretti («dipende da quanti se ne fanno e con quale spirito», dice), suggerisce di sperimentare anche altro: «L’origami, per esempio. O un bel disegno: fatto tutti insieme, poi ciascuno ne porta a casa una copia. La fotografia. Le interviste ai nonni in occasione della loro festa».