Le parole di Pietro Bordo al Convegno sulla Scuola, Sala Tatarella, Camera dei Deputati

FONTE: Pietro Bordo

AUTORE: Pietro Bordo

DATA: 16 novembre 2023

Avevo previsto un intervento di 11 minuti. Lì ho saputo che avevo solo 3 minuti.

Prima dell’intervento ho tagliato molto, ma il mio modo partecipato di esporre ha allungato i tempi del mio intervento. L’on.le Russo a provato a fermarmi due volte…

Alla fine ha detto (Loredana, mia moglie, aveva interrotto la registrazione): dopo 8 minuti e mezzo… (lunga pausa), ma bellissimi e intensissimi…

Quello che segue è l’intervento integrale, quello che avevo preparato, senza tagli.

Mi chiamo Pietro Bordo. Ad un passo dalla laurea quinquennale in ingegneria elettronica il vento impetuoso ed imprevedibile della vita mi ha portato dietro la cattedra della scuola elementare. Ne ho avuto di conseguenza una vita felice. Ho insegnato per quarantasette anni: alla parificata, alla privata, alla paritaria e gli ultimi anni alla pubblica.

Ritengo che possa essere utile a tutti, al di là di tanta teoria, pur importante, sentire concretamente a cosa porta un uso appropriato del voto a scuola, anche se molto brutto.

A tal fine vorrei leggervi, in pochi minuti, un racconto dei tanti che ho scritto, con la speranza che diventino un libro; che non essendo pervaso dall’ideologia della sinistra, ancora imperante a scuola e non solo, ha possibilità quasi nulle di essere pubblicato.

 

Matias, dal “3 -20” al “10”, per la vita

Matias venne nella mia classe in seconda elementare. La prima l’aveva frequentata in un’altra scuola.

Piccolino, magrolino, timido, simpatico, educatissimo, con gli occhietti curiosi che brillavano per la voglia di sapere, di imparare.

Durante le partite di calcio della ricreazione si scatenava e non evitava contrasti anche molto duri con compagni molto più alti e robusti di lui.

I compagni avevano fatto in prima un notevole lavoro per la correttezza ortografica, Matias no. In conseguenza, al primo dettato commise moltissimi errori. Così tanti che lo portarono a prendere il voto “3”, con l’aggiunta di un “-20”, che indicava quanti errori avrebbe dovuto evitare per avere un “3” pieno.

Prima di dargli il voto gli parlai in privato. “Matias, in questo momento non sei bravo nei dettati, ma lo diventerai. Sta’ tranquillo, ho fiducia in te, ti aiuterò e diventerai bravissimo in tutto”.

Poi gli diedi il quaderno con il voto ed il bambino, appena l’ebbe visto, mi disse “La prossima volta…”, stringendo il pugno e portandolo ripetutamente verso di sé. Intendeva, ovviamente, che si sarebbe impegnato molto di più.

Qualche giorno dopo i genitori vennero a scuola per un colloquio e mi dissero con grande stupore e soddisfazione che a casa il bambino li aveva tranquillizzati per quel “3 -20” nel dettato, dicendo loro che indicava la situazione di quel momento e lui sarebbe diventato bravissimo.

Alla fine della quinta praticamente non commetteva più alcun errore di ortografia, anche in dettati molto lunghi e complessi e nelle composizioni. Ed era bravissimo in tutto.

Episodi come quello descritto me ne sono capitati molti, anche se raramente con un’escursione così clamorosa dall’insufficienza gravissima all’eccellenza.

Matias ora ha più di trent’anni e qualche mese fa su un social mi ha scritto che ogni volta che ha un problema serio ripensa al suo ingresso in seconda elementare, prende il quadernone con la raccolta di tutti i quaderni di allora, che ha gelosamente conservato, e vede quel “3 -20”. Poi prende il quaderno dove si trova l’ultimo dettato di classe quinta, vede il voto, “10” e si dice: “Come tanti anni fa sei passato dall’insufficienza gravissima all’eccellenza (da “3 -20” a “10”) così ora risolverai il problema che ti affligge”.

Al di là di tante parole, c’è il brutto voto che affossa ed il brutto voto che fotografa la situazione e stimola, se spiegato. Ma per stimolare ci deve essere una relazione significativa fra docente e discente. Che quasi nessun docente cerca. Perché non ne sa nulla.

Siamo tutti qui perché abbiamo a cuore la scuola italiana e vorremmo migliorarla. Non posso quindi fare a meno di dire quanto segue, in estrema sintesi. Anche perché la caratura dei miei ascoltatori (la piaggeria non è fra i miei difetti) mi dà la speranza che le mie parole non restino solo onde sonore. Potrei parlare a braccio per ore, ma sarò brevissimo.

Per cambiare sul serio la scuola tutti i docenti e gli operatori scolastici dovrebbero ricordarsi che ogni alunno è prima di tutto una persona, con tutti i suoi problemi; che quando entra in aula non lascia fuori della porta.

Da decenni per risolvere i problemi che affliggono la scuola si cercano soluzioni mirabolanti, straordinarie, geniali, innovative; generalmente basate sui miracoli della tecnologia, nuova “religione” per tantissime persone. Chiarisco: nulla contro la tecnologia, ma va ben usata. Quante volte ho visto alunni disabili che giocavano al computer ed i loro insegnanti di sostegno che conversavano amabilmente, disinteressandosi dei bambini.

Ci si dimentica la vera soluzione, che ha il gravissimo torto di non essere moderna, ma è antichissima e non richiede l’uso della tecnologia, ma del cuore, ovviamente supportato dalla mente: l’uomo.

Sì, l’uomo docente e le persone genitori sono la soluzione. Il rapporto personale fra di loro e col futuro uomo, l’attuale ragazzo, rappresentano la vera soluzione dei tanti problemi della scuola e, di conseguenza, della società.

Con la premessa appena fatta, ecco i tre fattori specifici che, nel medio termine, concretamente, possono migliorare radicalmente la situazione nella scuola primaria e negli altri ordini di grado, oltre alle ordinarie competenze professionali specifiche.

 

1° fattore: Migliorare di molto la collaborazione scuola-famiglia, che produrrebbe effetti sinergici incredibili sulla crescita del ragazzo.

Scuola e famiglia si devono scambiare informazioni, formulare diagnosi, progettare interventi mirati per ogni singola necessità del bambino. Ho sempre constatato che la maggior parte dei ragazzi sono dei Giano Bifronte: un volto a casa ed uno a scuola.

È evidente, ineludibile, che tocca ai docenti creare un buon rapporto con le famiglie, a qualsiasi costo.

Un rapporto stretto, possibilmente cordiale, con i genitori. Soprattutto con quei genitori con i quali possa sembrare impossibile il solo parlare. Credetemi: si può fare! Son riuscito a farlo anche a Tor Bella Monaca, quartiere di Roma che non gode di buona fama. E io non sono né un genio, né un santo.

 

2° fattore:   Impegno dei docenti a realizzare una relazione significativa con tutti gli alunni, fatta non solo di insegnamenti ed informazioni, ma di comprensione ed accoglienza.

Prima dell’inizio del mio primo giorno d’insegnamento il direttore mi disse: “Ricordati che non potrai insegnare nulla ai bambini se non li amerai. Ma non basta: loro lo dovranno capire; aiutali a capirlo”. Mi sembrava un’affermazione esagerata, ma nel corso degli anni ho sperimentato che era vera.

In varie relazioni scientifiche ho letto che per insegnare al meglio agli alunni, a tutti, è indispensabile che fra il docente e il discente si instauri una relazione significativa per la quale il bambino capisce che è accolto, accettato, amato a prescindere da qualsiasi altra considerazione.

Nei colloqui in privato con i bambini è emerso di tutto, che i genitori non sapevano. In un colloquio seppi di molestie sessuali subite dal bambino in ambito familiare, senza che i genitori neanche immaginassero…

Giovanni Bollea, padre della neuropsichiatria infantile italiana, ma anche un umanista, diceva che le relazioni umane curano. Se ci pensate, anche voi ne avete esperienza.

Nel mondo scolastico ormai caratterizzato da un tecnicismo esasperato (DSA, BES,…), per il quale a volta invece che di bambini mi sembra di parlare di robotini, con i relativi software (uno per ogni materia), purtroppo tanti si dimenticano che il primo e più importante lavoro si compie nel "cuore dell'uomo" (Giovanni Paolo II, “Centesimus Annus”) e il modo con cui questi si impegna a costruire il proprio futuro, fin da bambino, dipende del rapporto instaurato con chi lo dovrebbe aiutare a crescere, sotto tutti i punti di vista, rispettando la sua libertà; e dipende anche dalla concezione che ha maturato di se stesso e del suo destino.

Le relazioni significative di cui sopra durano nel tempo. Io mi vedo con continuità, a tu per tu ed in gruppo, con miei ex alunni, con età compresa fra i 20 ed i 50 anni.

 

3° fattore:   Sforzo che devono fare i genitori per trovare il tempo di parlare con i figli.

Il terzo fattore, che in realtà è una parte significativa del primo, per migliorare radicalmente la situazione nella scuola primaria e anche negli altri ordini di grado, è la comunicazione genitori-figli.  I genitori devono essere aiutati a capire che devono fare qualsiasi sforzo per trovare il tempo di parlare con i figli, tutti i giorni possibilmente, anche solo cinque-dieci minuti. Ciò per conoscerli, quindi capire i loro problemi appena insorgono ed aiutarli. Ed avere la grande gioia di comunicare con loro.

Così facendo i genitori difficilmente rischieranno di trovarsi davanti a comportamenti gravissimi dei loro figli, che li costringerebbero ad ammettere di “non conoscerli”.

Ovviamente la maggior parte dei genitori ignorano i fattori suddetti. Devono essere i docenti ad informarli. Io nelle assemblee dei genitori parlavo di questi argomenti.

 

Utilizzando i tre fattori suddetti si può migliorare molto la qualità della vita degli studenti, i loro apprendimenti e ridurre drasticamente gli episodi di abbandono scolastico e di bullismo.

Infine una curiosità, molto indicativa: sapete quante ore, sulle quaranta della settimana di tempo pieno nella scuola primaria, l’elementare, sono dedicate alla lingua italiana? Provate a dare una risposta.

Quella giusta è sei! Sei ore su 40 e non vi devo spiegare l’assurdità della situazione. Anche se così c’è il vantaggio che si possono fare tanti progetti, ad esempio quello che mi è stato proposto sui canti e sulle danze dei Maori; utilissimo…

La conoscenza della lingua italiana è propedeutica a tutti gli altri apprendimenti; ed anche allo sviluppo del pensiero.

 

Sintesi di tutto quanto ho detto.

Primo: qualsiasi intervento sulla realtà scolastica avrà sicuramente un'efficacia limitatissima se tutti quelli che si occupano di scuola, a qualsiasi livello, non comprendono che lo scolaro è prima di tutto una persona, con tutti i suoi problemi che ne condizionano la vita, e quindi l'apprendimento. Problemi che non lascia fuori della scuola.

Secondo: una relazione positiva fra docente, discente e genitori è la chiave che può aprire la porta delle soluzioni per quasi tutti i problemi degli alunni, con le ovvie conseguenze. Tutto sperimentato per decenni.

Grazie per l’attenzione.

 

Paolo Crepet: “La scuola è fallita. Il 99% degli alunni viene promosso e per i genitori è un diplomificio dove parcheggiare i figli”

FONTE: La Tecnica della Scuola

AUTORE: Redazione

DATA: 31 marzo 2023

In questi giorni si parla molto di disagio giovanile, di problemi psicologici dei ragazzi, di stress della Generazione Z. A dire la sua, facendo un commento molto pungente e, per certi versi, controcorrente, è stato lo psichiatra Paolo Crepet oggi, 31 marzo, intervistato da Radio Cusano Campus all’interno del programma “L’Italia s’è Desta”, come riporta AgenPress.

Fallimento psicologico a causa dei genitori?

“Un dato disarmante quello che riguarda l’onda vasta di malcontento e disagi psicologici tra gli studenti. Personalmente ho sempre avuto un certo timore all’idea che si aprissero questi sportelli di aiuto psicologico negli istituti scolastici. Non so se siano in grado, io penso facciano peggio. Sono scettico sul fatto di considerare tutte le figure coinvolte in grado di evidenziare le reali problematiche che quotidianamente emergono”.

Di fronte all‘alto numero di ragazzi con problemi psicologici Crepet, che mette in evidenza gli sbagli che a suo avviso commettono i genitori in primis, si mostra molto scettico: “Considero questi numeri in percentuale dei ‘falsi positivi’, al primo momento di stanchezza il ragazzo cerca lo psicologo che gli certifichi di essere molto stressato. Il problema degli adolescenti e dei bambini oggi è che hanno dei genitori più giovani, più adolescenti, più paturniati dei propri figli. E per questo motivo siamo di fronte a un vero e proprio ‘marketing della depressione’ che si sviluppa a forza di compatirci”.

Crepet si è poi scagliato contro la Dad, affermando che il disagio dei più giovani è anche conseguenza di come è stata gestita la pandemia: “Io sono stato tra i primi che quando è stata nominata la parola Dad l’ho definita la più grande schifezza che potevamo fare. Bisogna chiudere tutto ma tenere aperte le scuole, almeno parzialmente. Abbiamo detto che andava benissimo fare tutto da casa. Evidentemente è stato un danno, non c’è nulla di peggio di isolare i bambini. E lo abbiamo fatto cocciutamente, due ministri di seguito. Nessuno ha pensato che c’è stato un danno”.

Smettiamola di tutelare i figli nei modi peggiori”

“È necessario considerare una categoria molto vasta, i ragazzi e le ragazze che non hanno voglia di studiare. L’ipotesi che io mi farei da genitore è chiedermi perché mio figlio non studia, prima di decretarne il fallimento psicologico. Io stesso ho ceduto tante volte durante la scuola, ho preso tantissime insufficienze e per fortuna non c’erano gli psicologi. Avevo solo dei genitori che invece che compatirmi mi hanno spronato. Smettiamola di tutelarli nei modi peggiori e di pensare che andare a scuola sia un modo per parcheggiare i figli in un diplomificio”, ha continuato, tirando in ballo la scuola.

“A valle di tutto questo c’è un dato terrificante di cui nessuno si preoccupa, una percentuale altissima, il 99% dei ragazzi che oggi si trovano inseriti in un percorso studi, viene promosso. Basta che si respira si viene promossi. La scuola è fallita. Avete mai visto genitori o ragazzi in sciopero generale contro questo dato evidentemente catastrofico? No perché va bene che quel diploma non conti nulla, perché va bene che metta sullo stesso piano tutti, chi si è sforzato di fare, con chi non ha fatto nulla. Non credo che in questi anni le difficoltà siano aumentate da parte dei professori”.

“Certo che sei più fragile se stai tutto il giorno solo davanti al cellulare. Come si frequentano i ragazzi? Con un emoticon?”, ha aggiunto lo psichiatra.

“Il registro elettronico? Terrificante. I ragazzini non possono più trasgredire. A scuola si trasgredisce: cosa vuol dire, spaccare tutto? No, tentare di prendere sei anche se non hai studiato, è un diritto provarci. Il registro controlla ogni minima mossa. Poi di notte i genitori non sanno dove sono i loro figli”, queste le parole sarcastiche dello psichiatra.

Fuga dal liceo Berchet, ansia e stress negli studenti

Emblematico il caso del liceo classico Berchet di Milano di cui abbiamo parlato: ben 56 studenti hanno lasciato la scuola per trasferirsi altrove. La Repubblica ha condotto un’indagine per capire cosa ci fosse dietro queste decisioni e quale sia il clima che regna nell’istituto.

Dal sondaggio – che chiedeva agli allievi di dare punteggi da uno a cinque su diverse questioni – emerge che oltre la metà di chi ha partecipato (303 allievi) soffre di stress e ansia a causa della scuola, che il 53 per cento sente una forte pressione da parte degli insegnanti e che il 57 per cento non affronta con serenità le prove orali e scritte.

“Ci sono delle difficoltà, per la maggior parte provocate dagli anni di Covid, dal periodo trascorso a casa e dalla didattica a distanza – sottolinea il preside Domenico Guglielmo –. Stiamo cercando di affrontarle con un supporto maggiore di tipo didattico: abbiamo attivato già dall’inizio dell’anno corsi integrativi di italiano e matematica, per rafforzare le basi degli allievi, prevediamo la possibilità di tutoraggio tra pari, quindi con studenti più grandi che affiancano i più piccoli, e, da quest’anno, lo studio assistito con la presenza di un docente”. L’idea è di intervenire sulle competenze dei ragazzi per “cercare di rafforzare la loro fiducia in se stessi”, mettendo poi a disposizione il supporto “di una psicologa presente da tempo a scuola e di un’altra disponibile grazie alle risorse arrivate per far pronte alle conseguenze della pandemia e confermate”.

“Molte criticità erano già presenti prima del Covid, ora stanno venendo alla luce con più forza e non riguardano solo i ragazzi più piccoli – spiega Biancamaria Strano, rappresentante d’istituto e tra i promotori del sondaggio –. C’è un problema, noi lo riconosciamo e vogliamo cercare di cambiare una concezione di scuola sbagliata. A partire dal rapporto tra insegnanti e studenti: chiediamo maggiore sensibilità e attenzione per gli allievi, che non devono sentirsi aggrediti e vedere quindi aumentare i livelli di stress. È importante iniziare un percorso per aprire un dialogo con tutti gli insegnanti. L’obiettivo non è denigrare la scuola, ma far emergere ciò che non funziona e far sì che le cose cambino”.

Mi permetto un commento.

Nell’articolo non vengono individuati alcuni fattori che possono cambiare di molto, a mio avviso, la situazione. Eccoli.

Migliorare di molto la collaborazione scuola-famiglia, che produce effetti sinergici incredibili sulla crescita del ragazzo.

Impegno dei docenti a realizzare una relazione significativa con l’alunno, fatta non solo di insegnamenti ed informazioni, ma di comprensione ed accoglienza, nel dialogo individuale. Non una generica “maggiore sensibilità e attenzione per gli allievi”, come dice la rappresentante d’istituto

Sforzo dei genitori per trovare il tempo di parlare con i figli, tutti i giorni possibilmente. Per conoscerli, quindi capire i loro problemi appena insorgono ed aiutarli.

Bambini: futuri uomini o futuri robot?

FONTE: Il Sole 24 Ore

AUTORE: Pietro Bordo

DATA: 2 ottobre 2019

Questo che sta per iniziare è il mio quarantasettesimo anno di insegnamento nella scuola primaria, la scuola elementare (quattordici anni nella parificata, ventuno nella paritaria “d’elite” e dodici  nella pubblica), tutti a Roma. Con il testo che segue vorrei semplicemente evidenziare quello che è, a mio avviso, oltre alle ordinarie competenze professionali specifiche, l’elemento fondamentale per riuscire ad insegnare qualcosa ai bambini: una buona relazione significativa fra docente e discente.

 

Prima dell’inizio del mio primo anno d’insegnamento il direttore della parificata mi disse: “Ricordati che non potrai insegnare nulla ai bambini se non li amerai. Ma non basta: loro lo dovranno capire; aiutali a capirlo”.

Mi sembrava un’affermazione esagerata, ma nel corso degli anni ho sperimentato che era vera.

Qualche anno dopo non mi ha stupito leggere una relazione scientifica che diceva che è praticamente impossibile insegnare qualcosa agli alunni se fra docente e discente non si instaura una relazione significativa per la quale il bambino capisce che è accolto, accettato, amato a prescindere da qualsiasi altra considerazione.

Ho imparato che per realizzare questa relazione bisogna parlare al bambino individualmente, dandogli attestati di affetto, stima e fiducia. Soprattutto bisogna saperlo ascoltare, rispettando i suoi tempi comunicativi. Ogni bambino con il quale l’ho fatto (sono ormai migliaia) ne è stato felice e successivamente lui mi ha chiesto di parlare in privato, confidandomi problemi e gioie, piccole e grandi, di scuola e di casa. Ovviamente le gioie le abbiamo condivise e per i problemi abbiamo cercato insieme le possibili soluzioni. Ed i genitori sono stati informati di questi colloqui, dai quali spesso sono venuti a sapere ciò che nemmeno immaginavano, soprattutto paure del bambino che a volte non avevano motivo razionale di esistere ma lo angosciavano.

In alcuni casi ci sono stati problemi veri. Ricordo che molti anni fa un bambino, durante un colloquio in privato, dopo che gli ebbi chiesto come andavano le cose mi disse che la notte faceva sogni molto brutti, che si svegliava urlando e la mattina seguente era agitato, angosciato. Gli chiesi di che sogni si trattasse. Me li raccontò ed io gli dissi semplicemente che come erano venuti forse se ne sarebbero andati. Il giorno dopo volle parlare in privato e sorridente mi disse che i sogni erano spariti e quella mattina si era alzato felice. E le notti successive i sogni brutti non tornarono.

Quanto detto si realizza già in prima, con i bambini di sei anni, ed il contributo alla crescita personale e culturale del bambino è straordinario. I risultati scolastici hanno sempre tratto grande beneficio da questa relazione significativa, che non fa miracoli ma aiuta molto i bambini a dare il meglio di sé, poiché li motiva fortemente, li fa sentire importanti e sicuri che c’è chi è disposto ad aiutarli, a casa ed a scuola.

Ho trovato l’ennesima conferma di quanto anche a scuola le relazioni umane siano importanti studiando, e quindi “conoscendo”, Giovanni Bollea, un umanista della neuropsichiatria, padre riconosciuto della neuropsichiatria italiana, morto nel 2011.

In effetti Bollea attribuiva una grandissima importanza all’azione educativa degli adulti (insegnanti e genitori); considerava la società e il mondo degli adulti come responsabili nel prevenire il disagio, la sofferenza e anche le psicopatologie nello sviluppo dei bambini e degli adolescenti. Giovanni Bollea aveva una concezione aperta e globale del suo stesso lavoro clinico e credeva molto in un approccio integrato tra neuropsichiatria, educazione e azione sociale. Senza trascurare una analisi dei fattori neurobiologici per comprendere il comportamento dei bambini, attribuiva tuttavia una attenzione particolare agli aspetti psico-affettivi e socio-relazionali del suo sviluppo.

Pensava che insegnanti e genitori possono fare molto per prevenire il disagio e le psicopatologie. “Le madri non sbagliano mai” e “I genitori grandi maestri di felicità” sono diventati due bestseller. Essi affrontano la questione dell’educazione dei bambini e degli adolescenti con l’ottica di prevenire il disagio e i percorsi destrutturanti della personalità.

Era convinto che lo scopo dell’educazione è “la gioia di vivere insieme”. Ciò è molto di più del semplice educare, del guidare verso uno sviluppo armonico della personalità o l’acquisizione di una buona cultura».

Bollea staccò la neuropsichiatria infantile dalla medicina pediatrica mostrando che la sofferenza del bambino non è mai del tutto riconducibile ad una base organica. Secondo lui sono le relazioni umane a curare e ad avere bisogno di essere curate; e questo anche quando la malattia ha un’origine organica e genetica. Attribuiva una grandissima importanza alle relazioni sociali e affettive in qualsiasi progetto psicoterapeutico.

Bollea credeva molto nel ruolo educativo e anche terapeutico del contesto di vita. Giovanni Bollea consiglia ai genitori, ed immagino anche ai docenti, di parlare con i ragazzi e di ascoltarli; raccomanda anche ai genitori di fare il racconto della loro vita, di creare davvero una relazione basata sul dialogo.

 

Nel mondo scolastico ormai caratterizzato da un tecnicismo esasperato (DSA, BES,…), per il quale a volta invece che di bambini mi sembra di parlare di robotini, con i relativi software (uno per ogni materia), purtroppo tanti si dimenticano che il primo e più importante lavoro si compie nel "cuore dell'uomo" e il modo con cui questi si impegna a costruire il proprio futuro, fin da bambino, dipende del rapporto instaurato con chi lo dovrebbe aiutare a crescere, sotto tutti i punti di vista, rispettando la sua libertà; e dipende anche dalla concezione che ha maturato di se stesso e del suo destino.

 

Le scuole Faes (famiglia e scuola)

AUTORE: Pietro Bordo

DATA: 2 gennaio 2017

 

 

Le scuole Faes

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Esistono in Italia delle scuole che hanno un progetto di educazione globale: formazione più istruzione.

Questo progetto è teorizzato concretamente nel "metodo Faes".

Le scuole Faes hanno una caratteristica che le differenzia da tutte le altre scuole, anche cattoliche, e che le rende uniche.

In esse non si vede il bambino esclusivamente come alunno, ma principalmente come una persona, nella sua completezza, con tutti i suoi problemi, soprattutto quelli extrascolastici. Quelli che generalmente altrove non vengono tenuti in considerazione non solo per disinteresse per la crescita dello scolaro-persona, ma nemmeno per comprendere i risultati nello studio; che invece sono fortemente determinati da quei fattori.

Per risolvere questi ed altri problemi scuola e famiglia si scambiano informazioni, formulano diagnosi, progettano interventi mirati per ogni singola necessità del bambino.

E questi interventi vengono poi effettuati in parallelo, sia a casa che a scuola, con evidente effetto sinergico.

Il momento fondamentale per realizzare quanto sopra detto è quello del colloquio tutoriale fra l'insegnante incaricato ed entrambi i genitori. Entrambi, poiché entrambi educano.

Altri momenti ordinari molto importanti sono gli incontri collettivi periodici fra docenti e genitori e quelli fra i genitori, senza la presenza dei docenti, per parlare delle mete educative.

Vorrei ribadire che i colloqui tutoriali fra genitori ed insegnante incaricato e quelli fra insegnante incaricato ed alunno sono veramente degli strumenti preziosi per il bene del bambino.

Personalmente ne ho sperimentato gli influssi positivi sulla crescita della persona e conseguentemente sui risultati scolastici.

La collaborazione scuola-famiglia produce effetti sinergici incredibili sulla crescita del bambino.

Lo scopo fondamentale delle lezioni è quello di favorire lo sviluppo armonico di tutte le potenzialità del bambino, fisiche, psichiche e spirituali, e la gioia di imparare

Ciò è realizzato offrendo all'alunno stimoli che risveglino e indirizzino le sue energie vitali verso la formazione della "persona" che è chiamato a diventare. Quindi non coercizione o imposizione: stimoli, sin dal primo giorno.

Aiutando il bambino a conoscersi, accettarsi, a diventare una persona integrale in grado di operare moralmente, razionalmente, criticamente e responsabilmente nella società si realizza l'obiettivo di una vera educazione.

In questo contesto, nelle scuole Faes si evita di dare più importanza alle discipline che allo scolaro e di privilegiare in lui la sfera cognitiva a discapito di quella spirituale, affettiva e del corporeo.

Ciò poiché per essere efficace l'intervento educativo presuppone fra maestro ed alunno una relazione significativa, fatta non solo di insegnamenti ed informazioni, ma di comprensione ed accoglienza.

Una relazione nella quale l'adulto propone i valori come obiettivi da conoscere, da far poi propri in piena libertà e verso i quali tendere insieme.

La disciplina è tenuta in grande considerazione; ma non come valore in assoluto, ma come mezzo per poter lavorare al meglio. E non la si ottiene con comportamenti autoritari, ma responsabilizzando gli alunni (non punizioni, ma aiuti: tutti ne abbiamo bisogno, ripetono spesso i docenti)

E non si dimentica mai che "il primo e più importante lavoro si compie nel "cuore dell'uomo", e il modo con cui questi si impegna a costruire il proprio futuro dipende dalla concezione che ha di se stesso e del suo destino "(Centesimus annus).

Con particolare impegno si cerca di sviluppare nel bambino la consapevolezza della responsabilità verso la propria salute: un patrimonio ricevuto in dono da conoscere, da amministrare, da difendere, da accrescere non solo per sé, ma per il bene di tutti (lo stato di benessere è un diritto di ogni essere umano, ma si afferma nella misura in cui ognuno è fedele ai "doveri" verso la salute).

Ogni volta che è possibile, sicuramente quando, ad esempio, si parla di persone ed avvenimenti che hanno cambiato il corso dell’umanità, si cerca di stimolare i bambini a “pensare in grande”, a “volare alto”. Sono cioè aiutati a far nascere ed a sviluppare in loro la volontà di dare un contributo significativo al cammino dell’uomo.

Si cerca di raggiungere questo obiettivo non prospettando loro la possibilità del successo economico e sociale, ma la certezza della gioia di far del bene ai propri fratelli, anche quando fossero soltanto quelli più vicini.

Particolare cura si pone nel cammino del bambino verso l'autonomia; su questa strada è particolarmente favorito e attentamente accompagnato.

Poiché la famiglia è la sede primaria dell'educazione del bambino, attraverso continui colloqui con entrambi i genitori, come già detto, si favorisce l'interazione formativa con la medesima, e con la più vasta comunità sociale.

Tutto ciò, naturalmente, nell'esercizio della responsabilità del singolo insegnante.

Le attività si svolgono nell'ambito della giornata scolastica tenendo conto dei modi e dei tempi di apprendimento degli alunni e delle loro esigenze di igiene fisica e mentale.

Le varie attività si svolgono individualmente e in gruppi, a seconda delle necessità del singolo bambino o del tipo di capacità che si vuol raggiungere.

Il lavoro personale costituisce il momento di partenza e di arrivo in funzione del quale il gruppo esisterà ed otterrà dei risultati che saranno di buon livello scolastico se sarà rispettata l'individualità di ognuno.

Così facendo, se la riflessione, l'approfondimento e la conquista del singolo stimolano il gruppo ad un lavoro in continua evoluzione e miglioramento, il lavoro di gruppo a sua volta risponderà ai bisogni del singolo, ne svilupperà il senso di responsabilità e la solidarietà verso il prossimo, lo porterà a comunicare con gli altri e gli permetterà attraverso scambi, aiuti, confronti e rinunzie, ad accettare le proprie e le altrui limitazioni.

Si cerca di far nascere fra tutte le persone della classe la gioia di stare insieme in amicizia, in ogni tipo di relazione, pur con differenti ruoli, in un clima di rispetto reciproco, e l'interesse per le varie attività.

Quest’ultimo obiettivo è raggiunto anche attraverso molti giochi didattici.

Ogni tanto i bambini avranno momenti del tutto individuali, non programmati, durante i quali potranno sfogliare un libro, disegnare, raccontarsi a voce alta qualche bella barzelletta. Sì, barzellette, perché l'allegria, oltre alla disciplina, non mancheranno mai.

Si cerca sempre di sviluppare negli alunni il piacere della lettura.

A tal fine si evita l'imposizione della lettura di libri, che darebbe forse risultati ottimi a breve, ma potrebbe nel medio e nel lungo termine portare i ragazzi a nutrire avversione verso questa attività, che invece prima o poi scopriranno essere molto piacevole.

In classe ogni alunno ha degli incarichi, che ruotano mensilmente e saranno visibili su un'apposita tabella esposta in bacheca. L'obiettivo è quello di stimolarli ad una partecipazione attiva e responsabile alla vita scolastica e, di riflesso, a quella famigliare; e poi a quella nella società.

Se possibile, si terranno lezioni fuori dell'ambiente scolastico.

I compiti per casa serviranno a consolidare quanto appreso in aula. Essi saranno facili, poiché saranno stati spiegati in aula. Aumenteranno gradualmente e non saranno mai tanti.

Se necessario, per gli alunni in condizioni di svantaggio si realizzano realizzati percorsi individuali di apprendimento scolastico che, considerando con particolare accuratezza i livelli di partenza, pongono una progressione di traguardi orientati, da verificare in itinere. Così poi si potrà fornire ai bambini una base comune su cui poggiare la costruzione disciplinare successiva.

Tutti i compiti eseguiti in classe degli alunni sono corretti dall'insegnante, poi spiegati individualmente, punto per punto. Per quanto riguarda i testi di lingua italiana, gli alunni avranno per iscritto, oltre alla correzione degli errori, anche molti consigli per migliorare la capacità espositiva.

Durante gli ultimi mesi dell'anno scolastico si effettua un ripasso del programma svolto e un approfondimento dei punti più significativi dello stesso.

I compiti per le vacanze estive sono assegnati in funzione del programma svolto e al fine di consolidare la sua acquisizione.

 La valutazione degli alunni è continua ed è basata su prove oggettive. Sarà effettuata al fine di verificare il livello di preparazione degli alunni, per poter quindi elogiare chi è arrivato a buoni livelli, per poter programmare eventuali azioni di recupero e sostegno per chi ne mostrasse la necessità. Di tutto viene tempestivamente informata la famiglia.

La realizzazione di quanto detto richiede la costante e precisa verifica di tutto il lavoro svolto nella classe, unitamente ad una periodica, dettagliata programmazione.

Anche a tal fine, gli incontri fra gli insegnanti operanti sulla classe sono continui e, naturalmente, improntati all'amicizia ed alla massima collaborazione reciproca.

Nelle scuole Faes le squadre di insegnati sono molto coese.

Per aumentare l’impegno e l’interesse dei bambini durante le lezioni di lingua inglese, e quindi i risultati concreti, gli insegnanti di questa materia e quello incaricato della classe cercano di realizzare situazioni di sovrapposizione, specialmente durante le verifiche.

Una settimana prima del colloquio con i genitori l'insegnante tutor riceve dai colleghi che insegnano in quella classe, attraverso una piattaforma informatica, informazioni dettagliate su tutti gli aspetti della vita scolastica del bambino. Queste sono poi naturalmente riferite dal tutor ai genitori, insieme alle sue. In questo modo il lavoro svolto durante l'anno non è slegato, episodico, approssimativo.

Sono previste alcune uscite didattiche, per conoscere meglio la natura e il mondo che li circonda.

I bambini sono avvicinati al mondo dell’informatica in maniera intelligente e sono portati a realizzate varie ed interessanti esperienze scientifiche nel laboratorio della scuola e all’esterno.

Nelle scuole Faes il bambino è sempre rispettato, senza sopraffazioni.

Viene portato a consolidare o ad acquisire la consapevolezza che la famiglia è più importante della Scuola e di ogni altra persona.

Nelle scuole Faes ovviamente non c’è la sicurezza che i genitori riusciranno a realizzare i loro progetti sul proprio figlio, ma la certezza che molto probabilmente insieme, collaborando, si riuscirà a trovare la chiave per la soluzione degli eventuali problemi che impedissero al ragazzo di dare il meglio di sé.

Quanto sopra scritto deriva dalla mia felice attività di docente, per ventun anni, allo Iunior International Institute; ma sono sicuro che gli elementi fondamentali dell’attività del Petranova International Institute siano gli stessi.  

Attraverso i “link utili” della home page si arriva facilmente al sito delle due scuole Faes menzionate ed a quelli degli asili CEFA, che operano con modalità didattiche e pedagogiche correlate a quelle delle due scuole.