“Danni neurologici ai bimbi italiani”. Allarme a scuola: che cosa li rovina

FONTE: Libero Quotidiano.it

AUTORE: 

DATA: 22 gennaio 2016

 

tablet

 

I tablet a scuola? Provocano "demenza digitale" e gravi danni neurologici ai bambini, incapaci di scrivere a mano, specialmente in corsivo, e soggetti più facilmente a cali di attenzione e di autostima.  

Posizioni - Tra i tecno-diffidenti c'è il regista Michael Moore, secondo cui il corsivo è uno stimolo alla creatività: "Non ci togliete l'unica cosa che tutti siamo in grado di fare ed è unica per ciascuno di noi. Il corsivo è l'impronta digitale della nostra creatività". Anche uno dei riferimenti accademici italiani, il professor Benedetto Vertecchi, difende a spada tratta la scrittura a mano. L'ha scritto in un recente dossier Alfabeto aperto. A proposito dei cosiddetti "nativi digitali", ovvero quelli nati dopo il '95 in poi, il neuroscienziato Manfred Spitzer coniò l'espressione "demenza digitale": "Quando si dichiara che a scuola si studia meglio grazie ai media digitali, non bisogna dimenticarsi che non esistono dimostrazioni di questa tesi. Anzi. Ci sono molte più ricerche che affermano quanto l'apporto della tecnologia informatica abbia un effetto negativo sull'istruzione". Il Giorno, che si è occupato della questione, ha sottolineato come il tema della scrittura a mano è delicatissimo e non si tratta di fare crociate contro i supporti digitali, ma di preservare le abilità e le competenze legate all'esplorazione fisica e mentale del mondo.

Scrivere a mano - Migliora la capacità di leggere e contare, potenzia l'attenzione e la facoltà di apprendimento. Stimola il pensiero critico, aiuta a costruire buone relazioni, incoraggia ad uscire dall'anonimato, migliora le capacità motorie e tante altri sono gli effetti positivi che la scrittura a mano si porta dietro. La diagnosi diventa difficile ma "l'uso dei mezzi digitali comporta l'attenuazione e talvolta la perdita delle capacità di coordinare il pensiero con l'attività necessaria per tracciare i segni", aggiunge Il Giorno.

Usa - Ma l'allarme "spaventoso" arriva dagli Usa. I bimbi non sanno più leggere il corsivo, viene insegnato solo in prima elementare. In seguito a questa ricerca che ha rilevato segnali negativi dopo l'introduzione dei tablet nelle scuole è stata creata una campagna per il corsivo proprio contro la linea federale in corso negli Usa. Sheila Lowe - scrittrice, grafologa e portavoce della Campagna per il corsivo - ha rilasciato un'intervista a Il Giorno sulla tragica questione: "La direttiva federale è stata adottata da molti stati. Alcuni, consapevoli del "danno" stanno indietreggiando e noi stiamo cercando di incoraggiarli a non smettere di insegnare il corsivo". "La scuola l'ha rifiutato perché a sua volta anche gli insegnanti hanno difficoltà con la scrittura e così si rifiutano di insegnarlo" - dice la portavoce - "Gli insegnanti non conoscono i rischi. Negli ultimi anni c'è stato un enorme aumento dei disturbi di apprendimento nei bambini". Alla domanda se esistono prove scientifiche di quanto si sta dicendo, la scrittrice menziona gli studi diVirginia Berninger e Karin James: hanno dimostrato che il cervello si "illumina" in più aree quando si scrive in corsivo, al contrario di quando si scrive con la tastiera. Sheila non esclude lo zampino dell'industria informatica, rispetto alla questione: "Mi risulta che Bill Gates abbia fatta pressione sul sistema educativo per spingerlo a utilizzare maggiormente il computer". La questione è tenere - per la portavoce - un posto per la scrittura a mano e un posto per i dispositivi elettronici".

Il fallimento della scuola

FONTE: Il Messaggero

AUTORE:  Lorena Loiacono

DATA:  4 maggio 2019

Se queste fossero le pagelle di fine anno, le bocciature in Italia fioccherebbero a migliaia. Soprattutto al Sud. In terza media infatti non raggiungono la sufficienza in italiano più di un ragazzo su tre, in matematica addirittura 4 su dieci. È quanto emerge dalla fotografia scattata dal Rapporto Istat sui Sustainable Development Goals, gli obiettivi dello sviluppo sostenibile adottati con l'Agenda 2030 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per intervenire sulle criticità. Tra i vari obiettivi fissati dall'Agenda 2030, c'è anche quello legato all'educazione e alla formazione dei ragazzi.

Secondo i dati dell'Istat, che si basano sulle rilevazioni svolte dall'Invalsi, i ragazzi che frequentano l'ultimo anno delle scuole medie si affacciano alle superiori con gravi insufficienze: il 34,4% infatti non raggiunge la sufficienza nelle competenze alfabetiche, riportando gravi difficoltà nella comprensione dei testi, mentre il 40,1% ha seri problemi con la matematica.

 

LE REGIONI IN DIFFICOLTÀ

Il quadro generale svela differenze importanti a livello territoriale. Le regioni dove si registra la maggiore presenza di ragazzi con difficoltà a ricostruire significati complessi, infatti, si trovano al Sud: in Campania si raggiunge la percentuale più alta pari al 50,2% di insufficienze in lettura, di poco inferiori le percentuali che si registrano in Calabria e in Sicilia dove si resta comunque sull'ordine di uno studente su due impreparato in italiano. Sempre al Sud e sempre in queste tre regioni si rilevano i peggiori risultati anche in matematica. A fronte di una media nazionale di 4 ragazzi impreparati su 10, in Campania e Calabria si sale addirittura a quota 6 su 10 e in Sicilia il dato cala di poco.

 

MASCHI E FEMMINE

In entrambi i campi presi in considerazione dai test invalsi, italiano e matematica, a fare la differenza è il genere: in matematica infatti i ragazzi vanno meglio rispetto alla media nazionale, le femmine al contrario raggiungono risultati migliori in italiano.

Quando poi si passa al secondo ciclo di istruzione, alla scuola superiore, le criticità continuano a farsi sentire, ma con un quadro molto differenziato a seconda del percorso di studi scelto. Per quanto riguarda il secondo anno delle scuole superiori, infatti, il risultato medio cambia in base al tipo di istituto: il 17,7% dei liceali non raggiunge la sufficienza nelle competenze alfabetiche mentre uno su tre è scarso in quelle matematiche. Se invece si osservano i ragazzi al secondo anno degli istituti tecnici, risultano insufficienti in lettura poco meno di 4 ragazzi su 10 e in matematica il 42,3%. La pagella più brutta arriva dai professionali: sette studenti su dieci non raggiungono la sufficienza in lettura mentre quasi 8 su 10, il 77,2%, è insufficiente in competenze numeriche.

 

L'UNIVERSITÀ

Nel rapporto Istat una sezione a parte è dedicata al titolo di studio terziario: la laurea. In Italia meno di un ragazzo su 3, in età compresa tra i 30 e i 34 anni, possiede una laurea: il 27,9%. Il dato soddisfa l'obiettivo nazionale previsto da Europa 2020, fissato al 26-27%, ma resta comunque decisamente inferiore rispetto a quello dell'Unione Europea che arriva al 40,5%: il dato italiano è superiore solo a quello della Romania.

A spiccare in questo campo sono le donne: nel 2018, infatti, il 34% delle donne di 30-34 anni ha una laurea contro il 21,7% dei coetanei maschi. Si tratta di percentuali in aumento rispetto al passato: nel 2004, erano rispettivamente il 18,4% e il 12,8%.

Scrivere a mano fa bene

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE:  Candida Morvillo

DATA:  4 gennaio 2019

Pare che stia tornando di moda scrivere a mano. Un’inchiesta del magazine americano Medium racconta che, ultimamente, molti professori di Harvard impongono agli studenti di prendere appunti manuali invece che su computer e tablet, e che in Arizona e North Carolina le scuole hanno lanciato campagne per insegnare correttamente il corsivo. In Cina, c’è un movimento per riappropriarsi della capacità di scrivere di proprio pugno: disabituarsi a maneggiare i loro difficili caratteri starebbe depauperando la memoria nazionale.

Popolo di scriventi

Anche l’Italia si sta scoprendo un popolo di scriventi oltre che di digitatori. Nel 2015 è nata l’associazione Smed (Scrivere a mano nell’era digitale). Riunisce insegnanti e calligrafi, organizza corsi da Roma in su, per «evitare un impoverimento della motricità fine, della memoria visuale e motoria, dell’organizzazione cognitiva della scrittura e della capacità di esprimere noi stessi in modo unico, immediato, personale». L’Aci, Associazione calligrafica italiana, sta registrando il boom d’iscrizioni ai suoi corsi, una cinquantina l’anno. Fenomeno, questo, globale, almeno da quando si sa che la duchessa Meghan Markle, da ragazza, per lavoro, scriveva inviti ai matrimoni. La vicepresidente dell’Aci Anna Schettin racconta al Corriere: «Scrivere in bella grafia è un’attività lenta e tutti abbiamo bisogno di rallentare. Le persone stanno scoprendo che la grafia è personale, lascia un segno di sé, può essere lieve, forte, calcata, parla della propria personalità». È come se a furia di digitare, e anche dettare agli smartphone, di usare faccine, scrittura predittiva che non contempla l’intero alfabeto del cuore e della mente, abbiamo cominciato a chiederci se non ci stiamo perdendo qualcosa.

Aiuta a pensare meglio

Ricerche scientifiche dimostrano che scrivere a mano aiuta a pensare meglio e l’Istituto grafologico internazionale di Urbino Girolamo Moretti si è adoperato affinché la scrittura a mano sia proclamata dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Benedetto Vertecchi, professore emerito di Pedagogia all’Università Roma Tre, autore di oltre 600 pubblicazioni, è a capo di un gruppo di studio sui bambini e la scrittura manuale e spiega al Corriere: «I nostri test hanno dimostrato che scrivere a mano aumenta enormemente la capacità di usare il linguaggio. Non è solo questione di tracciare segni, ma del pensiero che corrisponde al segno che si traccia. Scrivendo sulla carta, il pensiero si esprime in modi molto più distesi e riflessivi che con altri mezzi». Le sue ricerche rilevano anche che usare la penna ha effetti positivi sulla manualità in generale: «Un bimbo che la tiene correttamente con pollice, indice e medio, invece che con due dita o impugnandola come una clava, è anche un bimbo che tipicamente sa allacciarsi le scarpe e usare bene un cucchiaio».

I convertiti

Molti che scrivono per mestiere non si sono mai convertiti al pc. James Ellroy scrive a mano i suoi libri, così le loro sceneggiature Quentin Tarantino e George Clooney, che assicura di essere un disastro nel «copia e incolla». Da oltre trent’anni, Maria Venturi produce best seller (l’ultimo libro, per HarperCollins, è Tanto cielo per niente) e lo fa sempre a mano. Dice: «Quando ero una giovane giornalista, ero anche una veloce dattilografa e ora so usare il computer, però ho sempre creato solo con carta e penna: è come se il pensiero mi scivolasse dalla testa lungo la mano destra. È un testa-mano continuo, ho un cervellino nelle dita che reggono la penna e mi correggono o mi dettano il sinonimo. Se in mezzo ci metto una macchina, vado lenta e la concentrazione si spezza. Per cui, scrivo a mano e poi copio al computer e mando».

Taccuino

Se s’incontra in aereo o in treno l’ex Miss Italia Martina Colombari, è facile vederla intenta a compilare un taccuino. Lei stessa lo spiega così al Corriere: «Scrivere a mano mi rende i pensieri più chiari e limpidi. Lo faccio se prendo appunti e, dopo aver seguito i seminari di meditazione, metto su carta le mie riflessioni. È un momento per stare con me stessa che non sarebbe uguale se avessi per filtro una tastiera. Anche quando devo dire qualcosa d’importante a una persona cara, scrivo lettere, non email». Il professor Vertecchi suggerisce un esercizio pensato per i più piccoli, ma utile anche agli adulti. Lo si trova nel suo libro I bambini e la scrittura (Franco Angeli editore, 2016) ed è l’esperimento intitolato a una frase di Plinio il Vecchio, «Nulla dies sine linea», «Nessun giorno senza un segno». Basta scrivere ogni giorno poche righe — gli scolari di quinta ne hanno scritte sei — ogni volta esercitandosi su un semplice tema, tipo «com’è il tempo oggi». In quattro mesi, si scopre che sono migliorati la qualità del linguaggio e del pensiero. Provare per credere.

Mio figlio ha disturbi specifici dell’apprendimento (DSA)?

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Silvia Turin

DATA: 12 aprile 2017

I DSA coinvolgono dal 3 al 5% della popolazione italiana e sono disturbi del neuro-sviluppo che riguardano le capacità di leggere, scrivere o calcolare. Fondamentale la diagnosi precoce perché i bambini che fanno il loro ingresso nella scuola non si sentano inadeguati. Con l’aiuto dell’Istituto Serafico di Assisi e la collaborazione di Giacomo Guaraldi, Elisabetta Genovese ed Enrico Ghidoni del Servizio Accoglienza Studenti con DSA dell’Università di Modena e Reggio Emilia, abbiamo stilato l’elenco dei segnali cui fare attenzione e dei singoli disturbi, con un focus su cosa fare e cosa prevede la legge italiana

I numeri

I “Disturbi Specifici dell’Apprendimento” (DSA) sono disturbi del neuro-sviluppo che riguardano le capacità di leggere, scrivere o calcolare. A livello internazionale l’incidenza di tutti i DSA varia dal 5 al 10% in relazione alle diverse lingue. In Italia sono meno frequenti (tra il 3 ed il 5% della popolazione) grazie alle caratteristiche dell’italiano in cui a ogni suono corrisponde sempre e solo una lettera e che rende ai dislessici la vita meno difficile. Più che di «sovradiagnosi» quindi, nel nostro Paese si dovrebbe parlare di «sottodiagnosi». 

I DSA non hanno le caratteristiche tipiche di una malattia: dipendono dalle peculiari modalità di funzionamento delle reti neuronali coinvolte nei processi delle abilità. Possono essere considerati caratteristiche specifiche dell’individuo, così come altri aspetti del comportamento (quali l’orecchio musicale o il senso dell’orientamento). Non è tanto il tipo di errore a caratterizzare il disturbo, ma la frequenza e costanza degli errori.

 Dislessia

Si manifesta con una difficoltà nell’automatizzare la lettura, cioè ad attivare in maniera fluente e senza affaticamento tutte quelle operazioni mentali necessarie per leggere. 

- Errori tipici sono dovuti alla difficoltà nel riconoscere grafemi che differiscono visivamente per piccoli particolari: “m” con “n”, “c” con “e”, “f” con “t”. 
- In altri casi la difficoltà riguarda suoni simili: “F/V”, “T/D”, “P/B”, “C/G”, “L/R”, “M/N”, “S/Z”. 
- Un altro aspetto riguarda la capacità di procedere metodicamente da sinistra a destra e dall’alto in basso con lo sguardo: nella persona dislessica rimane un ostacolo che si protrae nel tempo. 
- Altri errori tipici sono le omissioni di parti di parole: “pato” invece che “prato”, “futo” invece che “fiuto”. Possono verificarsi salti di intere parole o addirittura di righe intere. 
- Altre volte la sequenza dei grafemi viene invertita: “la” al posto di “al”, “cimena” al posto di “cinema”. 
- A volte ci può essere un’aggiunta di un grafema o di una sillaba: “tavovolo” al posto di “tavolo”. 
- Un altro segnale è dato dalla tendenza a completare la parola in modo intuitivo e a procedere con parole di fatto inventate.

Esistono dei segnali precoci anche negli anni che precedono la scolarizzazione e che possono essere considerati degli indicatori di rischio: ritardi e incertezze nello sviluppo del linguaggio (per esempio, alcuni tra i bambini che a 24 mesi producono meno di 50 parole svilupperanno difficoltà ad apprendere la lettura con l’inizio della scuola) o del metalinguaggio, cioè la capacità di giocare con i suoni che compongono le parole, di individuarli e manipolarli intenzionalmente. Altri fattori di rischio riguardano l’attenzione visiva e la capacità di denominare rapidamente i nomi delle cose.

 

Discalculia

La Discalculia, o Disturbo dell’Apprendimento del Calcolo, può essere considerata l’equivalente matematico della Dislessia. È una condizione che può riguardare fino al 3% della popolazione scolastica. Come si manifesta? I bambini con Disturbo dell’Apprendimento del Calcolo non riescono a fare calcoli in modo automatico, non riescono a fare numerazioni progressive e/o regressive, a imparare le procedure delle principali operazioni aritmetiche e a memorizzare quelli che vengono definiti “fatti matematici”, come per esempio le tabelline o altre combinazioni come le somme nell’ambito delle prime due decine (7+5, 9+8, etc.).

Per questi bambini non c’è differenza tra 25 e 52, oppure tra 427 e 40027 (quattrocento ventisette) o 724 in quanto, pur conoscendo i singoli numeri, non riescono a cogliere il significato dato dalla posizione di ognuno di loro all’interno della cifra totale. Alla base della Discalculia, oltre alle specifiche difficoltà in ordine alla compromissione della cognizione numerica, possiamo ritrovare anche carenze relative alle abilità visuo-spaziali, percettivo-motorie o alla memoria di lavoro. Spesso sono presenti anche lentezza nel processo di simbolizzazione, difficoltà prassiche e di organizzazione spazio-temporale.

 

Aiutare un discalculico

Per il raggiungimento degli obiettivi e l’avvio del percorso verso l’autonomia nello studio, sono disponibili diversi strumenti informatici (software e nuove tecnologie) e metodologie educativo-riabilitative. Due in particolare le strategie di intervento: 

1. la mediazione educativa, per guidare lo studente verso l’acquisizione di un metodo di studio basato su strategie in grado di promuovere l’autonomia nel calcolo, nella comprensione della quantità, nella comprensione dell’aspetto semantico, sintattico e lessicale del numero.

  1. l’approccio di tipo meta-cognitivo, per permettere ad ogni studente di riflettere sui propri processi cognitivi, accrescendo la propria consapevolezza in merito alle difficoltà e soprattutto, alle proprie potenzialità. Tale approccio prevede anche la proposta di specifiche modalità di organizzazione dello studio per ottimizzare l’uso delle risorse attenitive e migliorare la gestione del tempo. Per favorire l’apprendimento dello studente discalculico è possibile, dopo averlo fatto esercitare, permettergli di utilizzare la calcolatrice di base e concedergli un tempo maggiorato in sede di verifica.

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