IL MAESTRO NON C’È PIÙ: ALLE ELEMENTARI IN CATTEDRA SOLO DONNE

FONTE: Il Messaggero

AUTORE:  ANNA OLIVERIO FERRARIS

DATA: 3 ottobre 2004

LE STATISTICHE più recenti ci dicono che nella scuola dell'obbligo gli insegnanti di sesso maschile sono sempre più rari. La presenza delle donne nelle materne e nelle elementari si avvicina al 100% e nelle medie al 70%: il fenomeno, che non riguarda soltanto il nostro paese ma anche altre nazioni europee, da noi raggiunge il massimo nelle regioni del Centro Italia.

 

Com'è noto, la carenza di maschi all'interno della scuola è in primo luogo dovuta ai modesti stipendi dei maestri e dei professori, cosicché gli uomini per svariati motivi tendono a orientarsi fin dall'inizio verso attività più redditizie. Un secondo fattore che ha contribuito a femminilizzare la scuola è legato al fatto che l'insegnamento lascia più tempo libero di altre attività lavorative e consente di godere di vacanze estive più lunghe, il che si concilia meglio con gli impegni domestici e la cura dei figli.
Ma questo forte squilibrio nel rapporto maschi-femmine tra gli insegnanti, può avere degli effetti sugli alunni, oppure il sesso dell'insegnante non incide sull'apprendimento e sul buon andamento delle classi? Ovviamente la preparazione culturale e didattica dei docenti è l'aspetto più rilevante della questione; non bisogna però sottovalutare altri fattori che contribuiscono ad aumentare o ridurre la motivazione allo studio e a far sentire a proprio agio bambini e ragazzi.
La scuola è per gli alunni anche un luogo di vita molto importante, in cui essi vengono a contatto non solo con altri bambini e ragazzi ma anche con adulti diversi, ognuno con il proprio bagaglio di esperienze, la propria cultura e le proprie caratteristiche individuali: la presenza di adulti dei due sessi la rende più ricca perché c'è una maggiore varietà di modelli, una differenza di comportamenti e di interessi, e anche perché lo sviluppo dei bambini e dei ragazzi si basa su processi di identificazione con figure del proprio sesso. Si aggiunga a ciò il fatto che in numerose famiglie, a causa della separazione dei genitori, i padri sono meno presenti e quindi la disponibilità di un maestro o di un professore può servire a ridurre questa carenza. Il che vale sia per gli alunni che per le alunne: anche queste ultime traggono vantaggio da un confronto con insegnanti dell'uno e dell'altro sesso.
Per i maschi, poi, il fatto di non incontrare mai uomini tra le mura scolastiche può, inconsciamente, convincerli che una buona parte delle attività che si svolgono in classe - come leggere, scrivere, disegnare - siano "femminili" e che quindi non sia consono al loro sesso impegnarvisi a fondo. In più, man mano che si avvicinano all'adolescenza, molti maschi mal tollerano di essere guidati o disciplinati da figure femminili, mentre una figura maschile viene percepita più simile a loro e quindi dotata di una maggior presa, anche quando si tratta di controllare la loro aggressività.
In sostanza, ci sono buoni motivi per cercare di incrementare la presenza di docenti di sesso maschile a scuola.

Meno tennis e cinese, più «no» ai nostri figli

FONTE: Corriere della Sera

AUTORE: Rita Querzè

DATA: 31 dicembre 2013

La «valigia giusta» per crescere? La psicologa: «Troppe aspettative fanno male. Meglio insegnare il sacrificio»

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I figli, questi sconosciuti. Almeno per noi genitori. E non parliamo delle incomprensioni con ragazzi ormai adolescenti. Il problema c’è già dalle elementari, quando i nostri piccoli cominciano a mostrare la propria identità. Al bambino piace giocare a calcio? Noi siamo convinti che l’ideale per lui sia il basket. Il ragazzo è poco portato per la matematica? Secondo noi ha un futuro legato ai numeri. A scuola ha risposto con una parolaccia alla maestra? E’ lei ad aver capito male. L’elenco potrebbe continuare e ciascuno ha una propria casistica. Sempre legata, però, agli atteggiamenti dei genitori dei compagni di classe. Perché quando guardiamo gli altri, allora tutto risulta chiaro: «La mamma di Piergiorgio? Sta tirando su un teppista e non se ne rende conto». Noi, invece, siamo convinti di saperla lunga. Di conoscere alla perfezione di che pasta è fatto nostro figlio. Ma poi accade l’imprevisto. Un richiamo da parte di un insegnante, la telefonata di un altro genitore. La reprimenda di un vicino di casa. E ai più coraggiosi sorge qualche dubbio: «Mi sta sfuggendo qualcosa?». Urge il consulto di un esperto.

GUARDARE I FIGLI CON LE LENTI DELLE PROPRIE AMBIZIONI - «Il problema esiste, molto spesso i genitori guardano i figli indossando gli occhiali deformanti delle proprie speranze/aspettative - diagnostica Anna Oliverio Ferraris, psicologa dell’età evolutiva -. I genitori dovrebbero fare uno sforzo e rispettare la natura e la personalità dei figli. Purtroppo spesso questo non avviene». A discolpa di mamme e papà c’è il fatto che i bambini in quanto tali sono esseri in divenire, con inclinazioni non ancora chiare e definite. Se davvero– chessò – sogni di avere una figlia ballerina classica non è poi così difficile convincersi che la ragazza abbia la stoffa per esibirsi sulle punte. «E’ una debolezza comprensibile. E c’è di più: è giusto proporre ai bambini stimoli e opportunità. Ma poi bisogna osservare le reazioni. Saper fare un passo indietro e lasciare lo spazio perché la loro indole si manifesti», continua Ferraris. Possibile che noi genitori siamo così egoisti? Non era la felicità dei nostri figli il primo degli obiettivi?

ASPIRAZIONI O STEREOTIPI? - Azzardiamo un’ipotesi. Il benessere e le sovrastrutture della società in cui viviamo aumentano il livello di attese rispetto ai nostri piccoli. E più la classe sociale dei genitori è elevata, più le aspettative crescono. Si tratta di aspirazioni spesso legate a stereotipi: il nostro ragazzo da grande dovrà essere laureato, «smart», suonare il pianoforte, parlare due lingue tra cui il cinese. E, naturalmente, eccellere nel tennis. E se invece volesse fare l’elettricista e si appassionasse al podismo? Va anche detto che di questi tempi noi genitori di soddisfazioni ne abbiamo pochine. Al lavoro (quando c’è) mediamente non va un granché bene. Di soldi ne girano pochi. Bisogna fare bene i conti e spendere meno. E’ in questo contesto che la mamma di Andrea ti prende da parte davanti alla scuola per informarti che tuo figlio ha fatto un occhio nero al suo piccolino, del tutto innocente. E’ umano che la prima cosa che ti viene alla mente sia la seguente: «Innocente un corno, Andrea se la sarà cercata». «Come no, tutta la comprensione per i genitori, ma un buon educatore deve prima di tutto saper leggere in se stesso e non farsi confondere dalle proprie aspettative», insiste Oliverio Ferraris, che volentieri si presta allo scomodo ruolo di grillo parlante. Per poi aggiungere: «Attenzione, se stiamo facendo degli errori meglio accorgercene subito». In fondo se la luce dei nostri occhi in seconda elementare ha fatto un occhio nero ad Andrea ancora si può rimediare. Con una bella reprimenda e spiegando che così non si fa. E poi chi l’ha detto che la laurea, il tennis, il pianoforte e il cinese facciano la felicità? Nessuno oggi sa cosa servirà davvero ai nostri figli per cavarsela nel mondo quando saranno adulti, tra 15-20 anni. Anzi, un attrezzo utile da mettere nella loro valigia forse ci sarebbe. Uno solo, ma preziosissimo. Si potrebbe definire così: «Determinazione, serenità e spirito di sacrificio in abbondanza per perseguire obiettivi complessi in un contesto difficile». Ma forse è proprio quello che ci stiamo dimenticando.